Il Dott. Fabio Ascenzi fornisce una riflessione interessante riguardo le diseguaglianze territoriali e la ripartizione delle risorse statali alle Regioni.
In un mio precedente articolo dedicato al concetto di residuo fiscale, ho accennato alle diseguaglianze causate dallo stesso Stato con il metodo utilizzato, per interi decenni, nella ripartizione delle risorse assegnate alle Regioni per l’erogazione dei servizi ai cittadini. Ritengo, infatti, che questo sia un punto fondamentale da approfondire allorché si voglia approcciare in maniera seria all’analisi dei tanti motivi che sono alla base dei divari socio-economici già presenti nel nostro Paese.
È il tema della cosiddetta spesa storica, questione tutt’altro che semplice o pacifica, considerato che negli anni, a seconda della tesi che si è voluta sostenere, sono stati presi a riferimento differenti dati e modalità di calcolo. Ne riporto alcuni, da cui sono scaturite le mie considerazioni, ovviamente senza la pretesa che siano esaustivi o condivisi da tutti. Comunque sussistono, e qualche riflessione dovrebbero almeno indurla.
Dati sulla spesa storica italiana
Il problema è trasversale a tutto il settore della spesa pubblica, ma voglio concentrarmi innanzitutto sulla sanità. Essa, infatti, costituisce circa l’80% dei bilanci regionali; eppoi proprio in questo settore sono stati stabiliti sin dal 2001 i cosiddetti LEA (Livelli Essenziali Assistenza), cioè l’equivalente dei LEP (Livelli Essenziali Prestazioni) che dovranno essere determinati e finanziati per gli altri servizi; a maggior ragione se si volesse procedere verso il progetto dell’autonomia differenziata. Analizziamo, pertanto, diverse fonti.
Partendo dalla Relazione Annuale dei Conti Pubblici Territoriali 2020, si apprende che la spesa storica sanitaria nel 2018 risultava essere oltre i 118 miliardi di euro costanti, concentrata per circa il 70% nelle Regioni del Centro-Nord. La spesa in quelle meridionali e insulari, invece, sembrava attestarsi da alcuni anni attorno ai 34-35 miliardi di euro, un valore non molto dissimile da quelli rilevati a cavallo tra il 2006 e il 2010, ulteriore dimostrazione di una stasi nel tasso di crescita dell’aggregato.
Il divario si mostrava ancora più evidente se si ampliava il periodo di riferimento: simulando degli indici, ad esempio, emergeva che se nel 2000 si spendeva 100, dopo 18 anni al Centro-Nord tale cifra era stata pari a 137, mentre al Sud non si raggiungeva nemmeno la soglia dei 122. Su un altro aspetto fondamentale per valutare l’incidenza delle spese sanitarie, qual è la componente degli acquisti per beni e servizi, dalla Relazione CPT emergono ulteriori conferme del differente trattamento riservato dallo Stato: nel periodo 2000-2018 la media della spesa pro capite era sempre stata notevolmente superiore nel Centro-Nord (22 punti base di divario); i numeri del solo 2018 rivelavano che nel Centro-Nord si spendevano oltre 1.500 euro a persona per l’acquisto di beni e servizi, a fronte di poco più di 1.100 euro nelle restanti Regioni del Paese.
Già da questi dati potrebbero derivare molti spunti ma, volendo trovare conferme o smentite di quanto sopra, mi sono addentrato anche in una lettura analitica del corposo Rapporto annuale della Corte dei conti del 2019. Ho scoperto, così, che pure in questo si trova riprova che negli ultimi 18 anni vi era stato un forte squilibrio territoriale nella spesa per investimenti in sanità: degli oltre 47 miliardi di euro totali, oltre 27.4 miliardi erano stati impiegati nelle Regioni del Nord; 11.5 in quelle del Centro e 10.5 nel Mezzogiorno. In termini pro capite, a fronte di una spesa nazionale media annua di 44.4 euro, quella nel Nord- Est era stata pari a 76.7 euro (cioè di ben tre quarti più alta), mentre quella nelle Isole 36.3 euro e nel Sud Continentale 24.7 euro. Anche tornando alla Relazione CPT 2020 compare un siffatto divario storico, con un andamento sempre crescente negli anni.
Nel 2004 la differenza pro capite Nord- Sud era stata di circa 257 euro, ma nel 2011 era salita ancora, attestandosi a 516 euro. In termini assoluti si andava, perciò, dai 2.101 euro per un cittadino settentrionale ai 1.669 euro per uno meridionale (2018). Quindi, ancora conferme; ma conoscendo le obiezioni avanzate da alcuni sulla metodologia adottata dalla Relazione CPT, nonostante confortato dagli studi della Corte dei conti, ho completato questa mia indagine consultando anche le pagine internet Noi Italia 2022, dove l’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) traccia un quadro d’insieme dei diversi aspetti ambientali, economici e sociali dell’Italia, evidenziando le differenze regionali che caratterizzano il nostro Paese.
Qui, andando alla sezione dedicata alla salute e welfare, si legge che «nel 2019, a livello regionale, i livelli di spesa sanitaria per abitante sono molto variabili a causa delle differenze esistenti nelle condizioni socio-economiche delle famiglie e nei modelli di gestione dei sistemi sanitari regionali. La spesa pro capite delle ripartizioni geografiche del Centro (1.930,8 euro), del Nord-Est (1.922,1 euro) e del Nord-Ovest (1.978,4 euro) sono simili fra loro. La ripartizione del Centro Nord nel suo insieme (1.947,5 euro) è al di sopra della media nazionale (1.925,4 euro), mentre nel Mezzogiorno (1.882,4 euro) la spesa pro capite è inferiore alla spesa media nazionale».
Anche queste analisi, pertanto, continuano a certificare un evidente divario negli investimenti operati. Una situazione, tra l’altro, che ha contribuito a far aumentare l’odioso fenomeno della cosiddetta migrazione sanitaria, ossia la necessità per milioni di cittadini di ricevere cure in Regioni diverse da quella di residenza; questione molto delicata, che meriterà un apposito approfondimento. Tutti i dati citati sono anteriori al 2020, perciò offrono un quadro oltremodo realistico, essendo precedenti alla pandemia Covid-19, e dunque non alterati dagli investimenti straordinari effettuati durante il periodo dell’emergenza sanitaria.
Ma pure rapporti più recenti ne danno una sostanziale conferma. Diceva Agatha Christie: «Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova». Certo, nessuna statistica potrà mai dimostrare che se le Regioni del Mezzogiorno avessero ricevuto più risorse, o quantomeno le stesse di quelle settentrionali, avrebbero garantito automaticamente una sanità migliore, con strutture e servizi più efficienti.
Diseguaglianze territoriali e ripartizione delle risorse statali alle Regioni: non solo nella sanità
Ma se negli investimenti statali si è perpetrata una siffatta disparità di trattamento, proprio irrilevante non può essere stato. Da ultimo, come accennato in premessa, va sottolineato che tale divario non è avvenuto solo nell’ambito sanitario. Infatti, tornando ancora alla Relazione CPT 2020, si trova riprodotto in tutti gli ambiti della spesa totale del Settore Pubblico Allargato dove, con riferimento ai macro territori, le spese pubbliche del 2018 risultavano realizzate per 671 miliardi di euro nel Settentrione e per soli 262 miliardi nel Mezzogiorno.
Il quadro emerso dovrebbe essere sufficiente per indurre lo Stato, e le istituzioni che pro tempore lo rappresentano, a svolgere una seria riflessione su quanto accaduto; nonché a introdurre tutte le misure necessarie per rovesciare le modalità finora adottate nella ripartizione dei fondi. Magari superando una volta per tutte il parametro della spesa storica, svoltando finalmente verso un sistema basato sul concetto dei cosiddetti fabbisogni standard, più appropriato a definire il costo medio necessario a erogare un determinato servizio, e a garantire le risorse necessarie per assicurare il finanziamento dei relativi LEP.
Dovrebbe essere sufficiente. Ma invece ora s’impone tra le priorità il progetto dell’autonomia differenziata. Con buona pace dei princìpi di uguaglianza sostanziale dettati dalla nostra Costituzione, che con l’art. 3 affida proprio alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale; e con l’art. 119 alla legge dello Stato l’istituzione di un fondo perequativo per supportare i territori con minore capacità fiscale per abitante.
Errare humanum est, perseverare autem diabolicum.
Fonte: articolo del Dott. Fabio Ascenzi
Complimenti per la capacità comunicativa, ci ha reso un chiaro e sintetico il quadro del definitivo affossamento del Sud.