fattura elettronicaIn forza dei principi europei che subordinano il diritto di detrazione dell’acquirente all’emissione, da parte del fornitore, di una fattura corretta, la giurisprudenza nazionale ha ribadito che, ai fini della detrazione, è necessario il possesso della fattura. Secondo la giurisprudenza nazionale, intorno alla emissione e ricezione della fattura ruota l’intero sistema normativo comunitario e nazionale che disciplina l’Iva (Cassazione, sentenza 3104/2014). La tesi volta a sostenere la superfluità della fattura in quanto mero “supporto cartaceo delle registrazioni” e privo di alcuna rilevanza giuridica e probatoria è, dunque, palesemente infondata, rimanendo smentita dalle richiamate norme di diritto positivo.

 

La suprema Corte nazionale, in linea con la giurisprudenza europea, afferma che l’esercizio del diritto di detrazione è limitato soltanto alle imposte dovute, vale a dire alle imposte corrispondenti a un’operazione soggetta all’Iva o versate in quanto dovute, e non si estende all’imposta che sia stata pagata per il semplice fatto di essere stata indicata in fattura (Cassazione, sentenze: 2693/2011, 2692/2011, 12146/2009). Il pagamento dell’imposta al cedente da parte di soggetto che non vi sia tenuto non perché l’operazione sia esente, ma perché l’operazione è del tutto estranea all’ambito di applicazione dell’imposta, può essere recuperato soltanto attraverso l’azione d’indebito esercitata nei confronti del cedente stesso e non – attraverso la detrazione – nei confronti dell’amministrazione finanziaria del tutto estranea a quell’operazione (Cassazione, sentenze 1669/2013, 7602/1993; conformi, 8786/2001, 13222/2001, 12756/2002).

 

Con riguardo al livello di responsabilità del cessionario\committente che invoca la detrazione, secondo la giurisprudenza della Cassazione, il controllo sulla irregolarità della fattura richiesto al cessionario o al committente dal Dlgs 471/1997, comma 8, è limitato alla regolarità formale della fattura, e, dunque, alla verifica dei requisiti essenziali individuati dal Dpr 633/1972, tra i quali rilevano, tra gli altri, i dati relativi alla natura, qualità, quantità dei beni e dei servizi, all’ammontare del corrispettivo, all’aliquota e all’ammontare dell’imposta e dell’imponibile. La regolarizzazione richiesta al cessionario o committente consiste nel fornire le indicazioni del Dpr 633/1972, articolo 21, il quale appunto elenca gli elementi da inserirsi nella fattura. L’inclusione, fra i compiti del cessionario o committente, di un apprezzamento critico, su quanto remittente di fattura completa dichiari in ordine alla individuazione della base imponibile e dell’aliquota applicabile, in esito a una ricognizione critica del rapporto giuridico sottostante, trasformerebbe l’obbligato in rivalsa in un collaboratore con supplenza in funzioni di esclusiva pertinenza dell’ufficio finanziario, e, dunque, andrebbe oltre la ratio di assicurare all’ufficio medesimo la conoscenza piena dei fatti rilevanti ai fini impositivi, introducendo una sorta di accertamento privato in rettifica della dichiarazione del debitore d’imposta (Cassazione, sentenza 15303/2015).

 

Con riguardo al momento in cui sorge il diritto di detrazione, secondo la giurisprudenza dell’Unione, il diritto a detrazione sorge quando l’imposta detraibile diventa esigibile. Ciò significa che il diritto a detrazione dell’imposta di cui beneficia il soggetto passivo riguarda non soltanto l’Iva che (questo) ha versato, ma anche l’Iva dovuta, vale a dire quella che deve essere ancora pagata, in quanto “..il termine si riferisce ad un debito tributario esigibile e presuppone quindi che il soggetto passivo abbia l’obbligo al versamento dell’importo dell’IVA che intende detrarre in quanto imposta a monte” (Corte di giustizia, sentenza 29 marzo 2012, n. C-414/10, Véleclair SA).

 

Con riguardo al momento in cui può essere esercitato il diritto di detrazione, la suprema Corte di cassazione ha chiarito che il diritto alla detrazione dell’imposta relativa ai beni e servizi acquistati o importati sorge nel momento in cui l’imposta diviene esigibile e può essere esercitato, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto e alle condizioni esistenti al momento della nascita del diritto medesimo (Cassazione, sentenza 5355/2015). Il limite temporale entro i quale il contribuente deve esercitare la facoltà di detrazione del credito d’imposta (“al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto”) non incide sui relativi presupposti e, ai sensi del Dpr 633/1972, articolo 55, l’ufficio non è tenuto all’accertamento induttivo al solo fine di consentire al contribuente il recupero del proprio credito d’imposta. Tanto premesso, va osservato che, secondo l’ormai consolidata giurisprudenza della Corte in tema di Iva, in caso di inosservanza dell’obbligo della dichiarazione annuale, al contribuente, è preclusa, in forza della complessiva disciplina dell’imposta, la possibilità di recuperare il credito d’imposta maturato in detta annualità attraverso il trasferimento della correlativa detrazione nel periodo d’imposta successivo, pur se detto credito sia stato regolarmente annotato nella dichiarazione mensile di competenza; ciò, fermo restando, tuttavia, in applicazione del successivo articolo 30, comma 2, il diritto del contribuente al soddisfacimento del credito mediante rimborso, ai fini del quale non rileva l’esposizione del credito nella dichiarazione annuale, ma soltanto il suo obiettivo riscontro documentale (cfr Cassazione, sentenze 20040/2011, 21947/2007, 11584/2006, 16477/2004, 19495/2003, 1029/2002, 1823/2001).

 

In presenza di operazioni inesistenti non si realizzano i presupposti del diritto alla detrazione

 

Come ripetutamente affermato dalla Corte di cassazione, in presenza di operazioni inesistenti non si realizza l’ordinario presupposto impositivo, né la configurabilità stessa di un “pagamento a titolo di rivalsa” né i presupposti del diritto alla detrazione di cui al Dpr 633/1972, articolo 19, comma 1, e la previsione del successivo articolo 21, comma 7, d’altro canto, se per un verso incide direttamente sul soggetto emittente la fattura, costituendolo debitore d’imposta pur in assenza del suo ordinario presupposto, sulla base del solo principio di cartolarità, per altro verso incide, indirettamente, anche sul destinatario della fattura, confermandone, in combinato disposto con il Dpr 633/1972, articolo 19, comma 1, e articolo 26, comma 3, la preclusione a esercitare il diritto alla detrazione o alla variazione dell’imposta, in assenza del relativo presupposto costituito dall’acquisto o dalla importazione di beni e servizi nell’esercizio dell’impresa, arte o professione (cfr Cassazione, sentenze 26854/2014, 12353/2005, 22882/2006).

 

La tematica della detraibilità dell’IVA nel caso di fatturazione per operazioni inesistenti (oggettivamente o soggettivamente) o per operazioni comunque iscritte in un meccanismo negoziale attuato allo scopo di frodare il fisco (“frodi carosello”), è stata oggetto di numerosi interventi della Corte di cassazione. La fatturazione per operazione soggettivamente inesistente postula che la fornitura sia stata acquisita effettivamente dal contribuente, ma che la merce sia stata fornita da soggetto diverso dal fatturante, di solito fittizio o comunque incapace di svolgere quell’attività. C’è fatturazione per operazioni oggettivamente inesistenti quando si fatturano operazioni che costituiscono una mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere da alcuno. In altri casi, l’operazione si inscrive “in una combinazione negoziale fraudolenta, di cui l’acquirente era o partecipe o consapevole e che contempla l’avvalimento in vario modo da parte dei cessionari successivi del non versamento dell’Iva da parte del cedente”.

 

È possibile, quindi, riepilogare i principi sanciti a livello di Corte di cassazione, che costituiscono ormai ius receptum (Cassazione, sentenze 19420, 23065 e 9356 del 2015; 25775, 26516, 26007, 26854, 18767, 18777 e 16228 del 2014), in base ai quali:

 

 

  • il diritto del contribuente alla detrazione costituisce principio fondamentale del sistema comune europeo, non suscettibile in linea di principio di limitazioni, con la conseguenza che, ove l’Amministrazione finanziaria intenda negare tale diritto, perché correlato a fatturazione di operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti, essa ha l’onere di provare, rispettivamente, che le operazioni non sono state effettuate ovvero che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene o il servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che l’operazione si inseriva in una evasione commessa dal fornitore (Cassazione, sentenze 9001/2014, 24426/2013, 9108/2012)
  • tale onere probatorio riguarda, nelle ipotesi più complesse (come la “frode carosello”), gli elementi di fatto caratterizzanti la frode e la consapevolezza di essi da parte del contribuente, mentre in quelle più semplici (come le operazioni soggettivamente inesistente di tipo triangolare) può esaurirsi nella prova che la prestazione non è stata effettivamente resa dal fatturante, in quanto sfornito di dotazione personale e strumentale adeguata alla sua esecuzione (Cassazione, sentenze 6229/2013, 23074/2012)
  •  la prova può essere fornita, ai sensi del Dpr 633/1972, articolo 54, comma 2 (così come, in materie di imposte dirette, del Dpr 600/1973, articolo 39, comma 1, lettera d), anche mediante presunzioni semplici (Cassazione, sentenze 27844, 27718 e 24426 del 2013), dirette a dimostrare che il destinatario della fattura sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione si inseriva nel quadro di un’evasione dell’imposta sul valore aggiunto (Cassazione, 23560/2012), senza potersi però esigere verifiche – sulla qualità di soggetto passivo Iva in capo al fatturante, o sulla disponibilità dei beni di cui trattasi – alle quali questi non è tenuto (cfr Corte di giustizia, 6.12.2012 e 31.1.2013 citate)
  • solo il preliminare assolvimento di siffatto onere probatorio produce l’effetto di spostare sul contribuente l’onere di provare, a sua volta, di non essere a conoscenza del fatto che il fornitore effettivo del bene era non già il fatturante, ma altri (Cassazione, 6229/2013)
  • a tal fine, non è sufficiente la semplice dimostrazione della regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, trattandosi di dati e aspetti facilmente falsificabili (Cassazione, 12802/2011), né che la merce sia stata consegnata e la fattura (Iva compresa) sia stata effettivamente pagata, trattandosi di circostanze compatibili con il modello di frode fiscale posto in essere mediante un’operazione soggettivamente inesistente (Cassazione, sentenze 230744/2012 e 17377/2009): il contribuente deve invece fornire la prova liberatoria della sua incolpevole ignoranza dimostrando, anche alternativamente, di non essersi trovato nella situazione giuridica oggettiva di conoscibilità delle operazioni ovvero, nonostante il possesso della capacità cognitiva adeguata all’attività professionale svolta in occasione dell’operazione contestata, di non essere stato in grado di abbandonare lo stato di ignoranza sul carattere fraudolento delle operazioni degli altri soggetti coinvolti nell’evasione (Cassazione, sentenze 23074/2012 e 8132/2011)
  • pertanto, in caso di apparente regolarità della fattura, la contestazione dell’amministrazione finanziaria, o la mera allegazione di elementi indiziari inidonei ad assurgere al rango di prova presuntiva – assimilata nel regime giuridico alla prova testimoniale, ex articolo 2729 cc – non è sufficiente a invertire l’onere della prova, dovendo essa dimostrare che l’operazione commerciale oggetto della fattura non è stata affatto posta in essere ovvero è stata posta in essere tra soggetti diversi (cfr Cassazione, 21953/2007); ciò anche in forza della diversa valenza probatoria della fattura, che mentre quale nel sistema civilistico è inidonea, per la sua formazione unilaterale ex articolo 2709 cc (e nonostante l’annotazione nei libri contabili obbligatori) alla prova del rapporto controverso a favore dell’emittente, salva l’eccezionale efficacia probatoria ex articolo 2710 cc (vedi Cassazione, sentenze 9593/2004 e 13651/2006), in ambito tributario rappresenta a tutti gli effetti un costo dell’impresa, ai sensi del Dpr 633/1972, articolo 21, e in tali limiti può costituire una prova a favore del soggetto emittente (Cassazione, 8537/2014).Il cessionario, in particolare, ha l’onere di dimostrare almeno, anche in via alternativa, di non essersi trovato nella situazione giuridica oggettiva di conoscibilità delle operazioni pregresse intercorse tra il cedente e il fatturante in ordine al bene ceduto, oppure, nonostante il possesso della capacità cognitiva adeguata all’attività professionale svolta in occasione dell’operazione contestata, di non essere stato in grado di abbandonare lo stato di ignoranza sul carattere fraudolento delle operazioni degli altri soggetti coinvolti nell’evasione (Cassazione, sentenze 8132/2011 e 23074/2012).
    A tal fine, per le ragioni suesposte, non è – tuttavia – sufficiente dedurre, da parte del contribuente, che la merce sia stata consegnata e la fattura, Iva compresa, sia stata effettivamente pagata, trattandosi di circostanze pienamente compatibili con il modello di frode fiscale, posto in essere mediante un’operazione soggettivamente inesistente (Cassazione, sentenze 17377/2009 e 230744/2012). E tanto meno può considerarsi sufficiente la dimostrazione della regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, in quanto si tratta – com’è del tutto evidente – di dati e circostanze facilmente falsificabili dal contribuente (cfr Cassazione, sentenze 1950/2007 e 12802/2011).

 

 

In ordine all’onere della prova, tuttavia, gli oneri incombenti su chi invochi il diritto di detrazione risultano temperati, in applicazione dei principi della tutela dell’affidamento e della certezza del diritto: l’esercizio del diritto alla detrazione dell’Iva versata a soggetto diverso dal cedente/prestatore che, ha tuttavia, emesso la fattura, va negato, nel rispetto, peraltro, delle norme nazionali sull’onere della prova, al cospetto di oggettivi elementi, anche presuntivi, che inducano a escludere la buona fede del committente/cessionario; buona fede configurabile qualora il committente/cessionario, pur avendo adottato tutte le ragionevoli precauzioni, non abbia avuto e non potesse avere la consapevolezza di partecipare, col proprio acquisto, a un illecito fiscale dell’emittente delle fatture contestate. Tuttavia, in caso di accertata assenza dell’operazione, è escluso che possa configurarsi la buona fede del cessionario o committente (il quale sa bene se una determinata fornitura di beni o prestazione di servizi l’ha effettivamente ricevuta o meno) (Cassazione, sentenze 21976/2015, 24426/2013, 15228/2001, 12802/2011).

 

In particolare, in tema di onere della prova nelle “frodi carosello” – fondate sul mancato versamento dell’imposta incassata da società “cartiere” a seguito di acquisti intracomunitari, o altrimenti esenti, e successivamente rivendute anche attraverso l’interposizione di una o più società o ditte filtro (“buffers“) -, il meccanismo dell’operazione e gli scopi che la stessa si propone (acquisizione di materiali a prezzi più contenuti al fine di praticare quelli di vendita più bassi, con alterazione a proprio favore del libero mercato), fanno presumere la piena conoscenza della frode e la consapevole partecipazione all’accordo simulatorio del beneficiario finale, con la conseguenza che, l’Iva assolta dal medesimo beneficiario nelle operazioni commerciali con la società filtro non è detraibile ai sensi del Dpr 633/1972, articolo 19, anche se le predette operazioni siano state effettivamente compiute e le relative fatture, al pari dell’intera documentazione contabile, sembrino perfettamente regolari, come nella specie (Cassazione, sentenze 6400/2013, 867/2010, 30055/2008).  Il tema delle operazioni inesistenti è strettamente collegato alla natura e operatività dell’articolo 21, comma 7, del Dpr 633/1972. In proposito, la Corte di cassazione ha chiarito che la predetta disposizione risponde all’esigenza “di ricondurre a coerenza il sistema impositivo dell’Iva, fondato sui principi della rivalsa e della detrazione artt. 18 e 19, secondo cui, siccome l’emissione della fattura legittima il suo destinatario ad un credito di imposta nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, è necessario che il soggetto che la emette sia debitore, nei confronti della stessa, della corrispondente imposta” (Cassazione, 21110/2011).

 

In presenza di una frode sull’Iva realizzata con una catena di successive cessioni, è posto a carico del cessionario un obbligo di diligenza nella scelta del fornitore e di attenzione ai requisiti del soggetto cedente, non formali (essendo evidente che ogni meccanismo fraudolento si cura in primo luogo di esibire all’esterno un’apparente correttezza contabile e cartolare) ma sostanziali, nel senso di un’effettiva esistenza nel cedente di un’efficiente struttura operativa e della capacità di fornire autonomamente i beni acquistati, senza ovviamente pretendere un inesigibile dovere di accurata indagine, ma fondandosi su quegli elementi obiettivi (assenza di strutture, assenza di una clientela qualificata, mancanza di indici di capacità commerciale – pubblicità, giro di affari eccetera) che non possono sfuggire a un contraente onesto che operi in un determinato settore commerciale e che in particolare (e qui è l’unica differenziazione terminologica accettabile) non devono sfuggire a un imprenditore mediamente accorto.