L’effettiva ricezione dei beni e il relativo pagamento, riportati nei documenti contabili emessi da un operatore diverso, consentono l’esercizio del diritto da parte dell’utilizzatore.
La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva 77/388/Cee ed è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone una società all’amministrazione finanziaria polacca, in merito al diniego opposto da quest’ultima di riconoscere il diritto alla detrazione Iva assolta a monte dalla società, in relazione a operazioni da considerare sospette.
La compagine (di seguito società A), in particolare, ha effettuato vari acquisti di carburante diesel, utilizzato nell’ambito della sua attività economica. Le fatture relative a tali acquisti sono state emesse da altra società B. La società A ha, comunque proceduto alla detrazione dell’Iva pagata per gli acquisti in argomento.
In seguito a un controllo fiscale, l’amministrazione tributaria polacca le ha negato il diritto alla detrazione dell’Iva, sulla base della motivazione che le fatture erano state emesse da un soggetto inesistente. Il caso è giunto alla valutazione della competente autorità giurisdizionale, che ha sottoposto al vaglio pregiudiziale della Corte Ue alcune questioni, con le quali intende conoscere se le disposizioni della sesta direttiva debbano essere interpretate nel senso che esse ostano a una normativa nazionale, che nega a un soggetto passivo il diritto di detrarre l’Iva dovuta o assolta per beni che gli sono stati ceduti, in base al fatto che le fatture sono stata emesse da un soggetto considerato inesistente e che è impossibile identificare il vero fornitore dei beni.
Le valutazioni della Corte
Per quanto riguarda le condizioni sostanziali richieste per avere diritto alla detrazione (articolo 17, paragrafo 2, lettera a), della sesta direttiva) per poter beneficiarne, occorre, da un lato, che l’interessato sia un soggetto passivo ai sensi di tale direttiva e, dall’altro, che i beni o i servizi invocati a base di tale diritto siano utilizzati a valle dal soggetto passivo ai fini delle proprie operazioni Iva e che, a monte, detti beni siano ceduti o che tali servizi siano forniti da un altro operatore passivo.
In relazione alle condizioni formali richieste per il diritto alla detrazione, l’articolo 18, paragrafo 1, lettera a) della sesta direttiva dispone che il soggetto passivo deve essere in possesso di una fattura redatta secondo l’articolo 22, paragrafo 3, della stessa direttiva. In particolare, il medesimo articolo, alla lettera b), recita che la fattura deve indicare, in maniera distinta, il numero di identificazione ai fini dell’Iva con il quale il soggetto passivo ha effettuato la cessione, il nome e l’indirizzo completo di quest’ultimo, nonché la quantità e la natura dei beni ceduti.
Da quanto risulta dal giudizio pendente dinanzi al giudice del rinvio, la società A, che ha intenzione di esercitare il diritto alla detrazione in qualità di soggetto passivo, ha effettivamente ricevuto e pagato il carburante indicato nelle fatture emesse dalla società B e ha utilizzato tale bene a valle per le sue operazioni gravate da imposta. L’inesistenza della società B, sostiene il giudice del rinvio, sarebbe avvalorata dal fatto che tale compagine non era registrata ai fini dell’Iva, non effettuava dichiarazione fiscale, non pagava imposte e non disponeva di autorizzazione per la vendita di combustibili liquidi. Inoltre, lo stato fatiscente dell’immobile, indicato come sede sociale, renderebbe impossibile qualsiasi attività economica. L’esistenza di un’attività economica della società B, però, non sembra esclusa in considerazione delle circostanze relative alle cessioni di carburante, a nulla influendo le condizioni dello stabile indicato come sede societaria.
In particolare, quando l’attività consiste nella cessione di beni effettuata nell’ambito di varie vendite successive, il primo acquirente e rivenditore può limitarsi a dare ordine al primo venditore di trasportare i beni in questione direttamente al secondo acquirente, senza che disponga egli stesso dei mezzi di stoccaggio e di trasporto indispensabili per effettuare la cessione dei beni in questione.
È pur vero che l’articolo 22, paragrafo 1, lettera a), della direttiva dispone che ogni soggetto passivo deve dichiarare l’inizio, il cambiamento e la cessazione della propria attività in qualità di operatore Iva. Tuttavia, malgrado l’importanza che tale dichiarazione riveste, quest’ultima non può costituire una condizione supplementare richiesta ai fini del riconoscimento dello status di soggetto passivo ai sensi dell’articolo 4 della medesima direttiva.
La Corte ha già, altresì, precisato che l’eventuale inadempimento, da parte del fornitore dei beni, dell’obbligo di dichiarare l’inizio della sua attività imponibile non può rimettere in discussione il diritto a detrazione del destinatario dei beni ceduti per quanto riguarda la relativa Iva pagata. Pertanto, il destinatario beneficia del diritto alla detrazione anche quando il fornitore di beni sia un soggetto passivo che non è registrato ai fini dell’Iva, qualora le fatture relative ai beni ceduti presentino tutte le informazioni richieste dall’articolo 22, paragrafo 3, lettera b), della sesta direttiva, in particolare quelle necessarie per l’identificazione della persona che le ha emesse e della natura di tali beni.
La Corte è giunta alla conclusione che l’amministrazione tributaria non può negare il diritto a detrazione in base al rilievo che l’emittente della fattura non dispone più della licenza di imprenditore individuale e che, quindi, egli non è più legittimato a utilizzare il proprio numero di identificazione fiscale, qualora tale fattura presenti tutte le informazioni previste dal richiamato articolo 22, paragrafo 3, lettera b).
Nel caso concreto, emerge che le fatture relative alle operazioni in esame indicavano, nel rispetto di detta ultima disposizione, la natura dei beni ceduti e l’importo dell’Iva dovuta, nonché il nome della società B, il suo numero d’identificazione fiscale e l’indirizzo della sua sede sociale. Pertanto, non sussistono le circostanze idonee a giustificare l’assenza della qualità di soggetto passivo della società B né, pertanto, di negare alla società A il diritto alla detrazione.
Inoltre, per quanto riguarda le cessioni di carburante, risultavano parimenti soddisfatte le altre condizioni sostanziali del diritto alla detrazione.
Poiché la nozione di “cessione di beni” (articolo 5, paragrafo 1 della sesta direttiva) non si riferisce al trasferimento di proprietà nelle forme previste dal diritto nazionale vigente, bensì a qualsiasi operazione di trasferimento di un bene materiale effettuata da una parte che autorizza l’altra a disporre, di fatto, di tale bene come se ne fosse il proprietario, l’eventuale assenza del potere della società B di disporre giuridicamente dei beni in questione non può escludere una cessione di tali beni ai sensi di detta disposizione, una volta che i beni sono stati effettivamente rimessi alla società A che li ha impiegati per le sue operazioni Iva.
Conclusioni
Tutto ciò premesso, la Corte Ue ha deciso che le disposizioni della sesta direttiva devono essere interpretate nel senso che esse ostano a una normativa nazionale, che nega a un contribuente Iva il diritto di detrarre l’imposta dovuta o assolta per beni che gli sono stati ceduti, in base al fatto che la fattura è stata emessa da un soggetto considerato, secondo i criteri previsti da tale normativa, un inesistente e che è impossibile identificare il vero fornitore dei beni, tranne nel caso in cui si dimostri, alla luce di elementi oggettivi e senza esigere dall’interessato verifiche che non gli incombono, che tale soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che detta cessione si iscriveva in un’evasione dell’Iva, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.