In caso di colpevolezza del consulente fiscale, il contribuente deve dimostrare di non essere nelle condizioni di reperire i documenti non registrati e non conservati.
L’Iva versata per l’acquisizione di beni e/o servizi, in caso di omessa dichiarazione, non può essere detratta e contribuire alla determinazione dell’imposta “a credito”, se non è stata annotata nelle liquidazioni periodiche e il soggetto non è in possesso delle relative fatture passive. A stabilirlo, l’ordinanza 14537/2015 della Corte di cassazione.
La Commissione tributaria provinciale di Foggia accoglieva il ricorso presentato da una contribuente avverso un avviso di rettifica, ai fini Iva, per l’anno d’imposta 2001, con il quale era stato ricostruito induttivamente, in ragione dei ricavi dichiarati ai fini Irap, il volume d’affari dell’attività di rivendita al pubblico di carburanti, sul presupposto dell’omissione della presentazione della dichiarazione dei redditi.
La parte, costituitasi in giudizio, eccepiva sia che la mancata presentazione della stessa dichiarazione fosse da imputare a negligenza colpevole del proprio consulente fiscale (per tale ragione denunciato in sede penale) sia l’erroneità dell’omessa detrazione Iva versata al momento dell’acquisto dei carburanti, in quanto essa ben poteva essere desunta sulla base dei dati oggettivi presenti, per l’appunto, nella dichiarazione presentata ai soli fini Irap.
L’Agenzia delle Entrate interponeva appello alla predetta sentenza di primo grado, ma la Ctr della Puglia lo rigettava. In particolare, i giudici di secondo grado motivavano la decisione nel senso che, in conformità all’orientamento giurisprudenziale di legittimità, secondo il quale “…la perdita incolpevole di un documento fiscale o contabile legittima la parte alla prova per presunzioni o testimoni del fatto che quel documento era destinato a provare…”, e considerato che la contribuente, nel corso del contenzioso, aveva dimostrato di avere “…incolpevolmente perso la disponibilità della documentazione fiscale…”, doveva ragionevolmente presumersi, anche in virtù della dichiarazione presentata ai fini Irap e adottata dall’ufficio per il calcolo induttivo del maggior reddito imponibile, che il carburante, poi venduto al dettaglio, fosse stato acquistato in maniera regolare, con conseguente riconoscimento della relativa Iva da detrarre.
Inoltre, sempre secondo la Ctr, se si fossero accolte le tesi dell’ufficio, si sarebbe giunti a conseguenze “…del tutto svicolate dalla realtà economica di un’azienda…”, non potendo un’impresa, della tipologia di quella oggetto di accertamento, aver acquistato carburante, poi venduto al dettaglio, senza avere, a sua volta, versato al rivenditore l’imposta dovuta.
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a un unico motivo. La contribuente non ha svolto alcuna difesa nel grado di legittimità.
Il ricorso dell’Amministrazione è stato definito ai sensi dell’articolo 375 cpc con pronunciamento in camera di consiglio (ordinanza 14537 del 13 luglio 2015).
Con l’unico motivo di impugnazione, incentrato sulla denuncia di violazione degli articoli 19 e 55 del Dpr 633/1972, in tema di detrazione e accertamento ai fini Iva, e dell’articolo 2724, n. 3, cc (divieto di prova testimoniale), nonché degli articoli 115 e 116 cpc (disponibilità e valutazione delle prove), l’Amministrazione eccepiva la circostanza secondo la quale il giudice di merito avesse considerato sostituibile, con semplici presunzioni, la prova documentale circa la maturazione del diritto alla detrazione dell’Iva assolta sugli acquisti.
Possibilità questa del tutto esclusa espressamente dal combinato disposto degli articoli 19, 25 e 36 del Dpr 633/1972 sia pure in caso di assenza di un comportamento colpevole da parte del soggetto contribuente il quale deve:
- essere in possesso della fatture relative
- annotarle sull’apposito registro
- opportunamente e debitamente conservarle.
Sempre secondo l’ufficio resistente, pur ammettendo che il contribuente si trovasse in una condizione di impossibilità di fornire la richiesta prova documentale, consegnata a un depositario, del relativo diritto alla detrazione, tale inattuabilità non deve considerarsi in senso assoluto, ben potendo, il contribuente, provvedere alla ricostruzione materiale del carteggio mancante tramite una riconciliazione delle proprie liquidazioni con le fatture emesse dai soggetti fornitori.
La Cassazione ha ritenuto fondato il motivo di impugnazione proponendone l’accoglimento. I giudici di legittimità hanno basato la loro decisione sulla scorta dei seguenti principi di diritto già oggetto di precedenti pronunce della stessa Corte e, in particolare:
- nei casi di omessa presentazione della dichiarazione annuale (come nel caso di specie), è possibile, ai sensi dell’articolo 55 del Dpr 633/1972, la detrazione dei soli versamenti eventualmente operati dal contribuente e delle imposte, ex articolo 19 del medesimo decreto Iva, risultanti dalle dichiarazioni periodiche prescritte dai successivi articoli 27 e 33 (cfrCassazione, pronunce 433/2008 e 16477/2004). Quindi, l’inosservanza, da parte del contribuente, dell’obbligo di presentazione della dichiarazione annuale – oltre all’attivazione della procedura induttiva di accertamento – impedisce la detrazione dell’Iva versata sugli acquisti di beni e servizi se non opportunamente registrata nelle predette dichiarazioni periodiche, attesa, in tali ipotesi, l’irrilevanza del fatto che il pagamento di tale imposta sia riscontrabile da altra documentazione, compresa la stessa contabilità sociale
- qualora venga eccepita l’impossibilità della conservazione dei relativi documenti, derivante dal fatto altrui o forza maggiore, è onere del contribuente provare non solo di non aver potuto incolpevolmente esibire quanto richiesto, ma anche di non essere in condizione di reperire le fatture mancanti presso i propri fornitori di beni o servizi. Solo qualora la parte superi positivamente detti obblighi, può trovare applicazione la regola prevista dall’articolo 2724, n. 3, cc, in base alla quale la perdita incolpevole di documenti attestanti situazioni favorevoli al contribuente (pur non essendo causa di totale esenzione dall’onere della prova e non trasferendo tale incombenza a carico dell’ufficio) permette, comunque, il ricorso alla prova per testimoni o per presunzioni (cfr Cassazione, pronunce 13943/2011, 5182/2011 e 21233/2006)
- la semplice denuncia di furto non è di per sé sufficiente a fornire la prova dei fatti controversi, qualora sia priva della puntuale indicazione delle singole fatture e del loro determinato contenuto (cfr Cassazione, pronunce 1650/2010 e 13605/2003).
Applicando i suddetti principi alla fattispecie in esame, i giudici di legittimità hanno ritenuto che:
– anche la provata incolpevole perdita della contabilità da parte del contribuente – di cui è indispensabile la conservazione per poter godere della relativa detrazione Iva – non è, comunque, di per sé, idonea a legittimare il ricorso a differenti strumenti di prova dei fatti controversi
– pertanto, l’utilizzo di argomenti presuntivi, come sviluppato nella sentenza della Ctr, e sulla base della sola (non censurata) asserzione circa il positivo superamento della prova della non imputabilità al contribuente dell’oggettivo impedimento, si scontra con il diritto vivente così come sviluppato dalla Corte giustificando, pertanto, la cassazione della pronuncia dei giudici di merito.
Alla luce di quanto puntualmente argomentato dalla Corte suprema, si può evincere, pertanto, che l’imposta versata in relazione all’acquisizione di beni e/o servizi, da parte di un contribuente, nel periodo di riferimento, non può essere portata in detrazione e, quindi, contribuire alla determinazione complessiva dell’Iva “a credito”, qualora la medesima imposta non sia stata annotata nelle apposite dichiarazioni periodiche e il soggetto non sia in possesso delle relative fatture passive. A tal fine, non rileva nemmeno che il pagamento dell’imposta risulti da ulteriore documentazione sia pure afferente la contabilità sociale o aziendale.