Legittima la delega di firma all’incarico e non alla persona. Il “nominato” è soltanto un sostituto materiale e non esercita in autonomia e con assunzione di responsabilità i poteri che scaturiscono dalle competenze riservate a chi lo ha investito.
Secondo la suprema Corte, il conferimento della delega di firma può avvenire attraverso l’emanazione di ordini di servizio che individuino il soggetto delegato con riferimento all’incarico ricoperto nell’ambito delle articolazioni interne all’ufficio, senza l’indicazione delle generalità, purché sia consentita la successiva verifica, in sede giurisdizionale, della corrispondenza fra il sottoscrittore e il destinatario della delega.
È questo l’innovativo principio sancito dalla Cassazione con la sentenza n. 8814 del 29 marzo 2019.
Il giudizio di merito
L’Agenzia delle entrate notificava a una società un avviso di accertamento per il recupero di Ires, Iva e Irap, relativamente all’anno d’imposta 2008, a seguito di processo verbale di constatazione stilato dalla Guardia di finanza a conclusione di una verifica fiscale.
La contribuente impugnava l’avviso eccependo, fra l’altro, che l’atto fosse stato sottoscritto da un soggetto diverso dal titolare dell’ufficio in assenza di delega di firma, in quanto non allegata all’atto.
Per contrastare l’eccezione, l’ufficio produceva in giudizio un ordine di servizio con cui il capo ufficio ripartiva la competenza per materia e valore alla firma degli atti fra i responsabili delle varie articolazioni interne (capo team, capo area, capo ufficio controlli, legale o territoriale eccetera), senza indicazione delle generalità degli stessi.La Ctp di Latina annullava l’atto impugnato nel presupposto che la delega di firma dovesse indicare, a pena di nullità, le generalità del delegato alla sottoscrizione degli atti.
La Ctr del Lazio, rigettando l’appello dell’ufficio, confermava la statuizione del giudice di prime cure ritenendo decisiva la fondatezza del rilievo della Ctp in ordine all’invalidità della delega di firma in quanto non nominativa.
Contro tale pronuncia, l’ufficio proponeva ricorso per cassazione per la violazione degli articoli 42 del Dpr 600/1973 e 21-septies, 21-octies e 21-nonies della legge 241/1990.
La pronuncia della Cassazione
La suprema corte, con la pronuncia in commento, accogliendo il ricorso dell’ufficio, ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, sancendo il principio secondo cui “… pur dovendosi ribadire l’orientamento (…) in relazione agli oneri probatori in capo all’amministrazione in caso di contestazione della sottoscrizione dell’avviso di accertamento, deve affermarsi che non è richiesta alcuna indicazione nominativa della delega, né la sua temporaneità, apparendo conforme alle esigenze di buon andamento e della legalità della pubblica amministrazione ritenere che, nell’ambito dell’organizzazione interna dell’ufficio, l’attuazione della c.d. delega di firma possa avvenire, come nella specie, attraverso l’emanazione di ordini di servizio che abbiano valore di delega (Cass., 20 giugno 2011, n. 13512) e che individuino il soggetto delegato attraverso l’indicazione della qualifica rivestita dall’impiegato delegato, la quale parimenti consente la successiva verifica della corrispondenza fra il sottoscrittore e il destinatario della delega stessa”.
Il Collegio ha innanzitutto rilevato che l’articolo 42, primo comma, del Dpr 600/1973 non contiene alcuna specificazione in ordine alle modalità di rilascio della delega né alla sua funzione né ai requisiti di validità, sanzionando con la nullità, al successivo terzo comma, l’avviso di accertamento che non rechi la sottoscrizione del titolare dell’ufficio o di altro funzionario delegato.
Pertanto, pur osservando come la Ctr si fosse correttamente conformata ai principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di delega di firma, la Cassazione ha precisato che, non essendo normativamente previsti dei requisiti di validità della delega di firma e non addicendosi alla stessa il rigore caratterizzante la disciplina della delega di funzioni, la delega alla sottoscrizione degli atti ben può avvenire mediante ordini di servizio che non indichino le generalità del delegato, ma il solo incarico ricoperto dallo stesso nell’ambito delle articolazioni interne all’ufficio.
Tuttavia, la Cassazione aggiunge in proposito che, ai fini della validità delle deleghe conferite ratione officii, è necessario che la documentazione versata in atti consenta la verifica in giudizio della corrispondenza fra delegato e sottoscrittore.
Osservazioni
Tale arresto, che al momento risulta isolato, sembra sconfessare i principi espressi dall’importante precedente in materia, rappresentato dalla sentenza 22803/2015.
Secondo questa pronuncia, le deleghe di firma sono validamente conferite a condizione che gli atti di delega, anche se diversamente nominati (disposizioni di servizio, atti dispositivi, eccetera), riportino, oltre alle cause che ne hanno resa necessaria l’adozione (carenza di personale, assenza, vacanza, malattia eccetera), il termine di validità e il nominativo del soggetto delegato.
Non sono, quindi, ammesse le deleghe conferite ratione officii, “non essendo possibile verificare agevolmente da parte del contribuente se il delegatario avesse il potere di sottoscrivere l’atto impugnato e non essendo ragionevole attribuire al contribuente una tale indagine amministrativa al fine di verificare la legittimità dell’atto”.
Tale concetto è stato ribadito da precedenti sentenze di legittimità in materia (cfr Cassazione, nn. 25017/2015, 12960/2017 e 5200/2018).
La pronuncia in commento, invece, partendo dalla distinzione fra delega di firma e delega di competenza elaborata dalla dottrina, conclude nel senso che la fattispecie delineata dall’articolo 42, primo comma, Dpr 600/1973, rientra nella prima categoria. Il delegato alla firma agisce solo come longa manus della persona fisica titolare dell’organo competente: è soltanto un sostituto materiale e non esercita in modo autonomo e con assunzione di responsabilità i poteri che scaturiscono dalle competenze amministrative riservate al delegante.
Tale tesi era stata già sostenuta in relazione agli atti processuali. Si veda, in particolare, la sentenza 20628/2015, secondo cui il funzionario è un mero sostituto nell’esecuzione dell’operazione materiale della sottoscrizione, dovendo presumersi ritualmente costituito in giudizio l’ufficio periferico, a mezzo del dirigente legittimato processualmente, laddove l’atto difensivo sia stato sottoscritto dal delegato alla firma, recando chiara indicazione di tale qualità, anche espressa con la formula “per il dirigente…”.
L’ipotesi di delegazione della competenza ha rilevanza esterna perché può alterare il regime dell’imputazione dell’atto.
Nella delega di firma, al contrario, il delegante rimane l’unico soggetto dal quale proviene l’atto e che se ne assume la piena responsabilità verso l’esterno.
Secondo la giurisprudenza amministrativa, a differenza della delega di funzioni, la delega di firma non altera l’ordine delle competenze, ma attribuisce al soggetto titolare dell’ufficio delegato (e non all’ufficio oggettivamente considerato) il potere di sottoscrivere atti, i quali continuano a essere sostanzialmente atti dell’autorità delegante e non di quella delegata (cfr Consiglio di Stato, n. 1573/2015; Tar Toscana n. 3372/2002).
In base a tale impostazione, nell’ambito della delega di firma, la mancata indicazione delle generalità del delegato non costituisce un vizio invalidante, essendo l’atto comunque riconducibile all’autorità delegante.