In attesa dell’inizio a Palazzo Madama, giovedì 23 aprile, dell’esame del Documento, i tecnici di Camera e Senato avvertono: tesoretto e mancate riforme mettono a rischio il pareggio di bilancio, privatizzazioni non in linea con la Ue.
La parola d’ ordine é riforme. Anche per i conti pubblici e dunque anche nel Def. Senza le riforme strutturali che il governo si é impegnato ad attuare, il rischio è infatti di una manovra correttiva da 6 miliardi di euro. A mettere i numeri nero su bianco è il Servizio Bilancio di Camera e Senato che, esaminando in dettaglio il Documento di Economia e Finanza al vaglio di Palazzo Madama, ribadisce l’opportunità, se non addirittura la necessità, di optare per la clausola delle riforme offerta della flessibilità Ue, della quale il governo ha peraltro già annunciato di volersi avvalere.
“Nel caso in cui lo Stato non attui le riforme concordate, la deviazione temporanea dall’obiettivo di medio termine non sarebbe più garantita” e “la mancata attivazione della clausola sulle riforme (o il suo venir meno) – scrivono – comporterebbe la necessità di una correzione dell’ indebitamento netto strutturale dello 0,5% (a fronte dello 0,1 previsto), riportando quindi il pareggio del bilancio strutturale al 2016”.
La manovra necessaria per rispettare i vincoli sarebbe dunque pari allo 0,4%, cioé circa 6 miliardi di euro. La volontà del governo di sfruttare la clausola europea che permette una “deviazione” dalle regole in caso di implementazione delle riforme dovrebbe scongiurare ogni rischio, ma proprio per questo i tecnici non mancano di mettere in rilievo ritardi e incompletezze del lavoro fin qui portato avanti dall’esecutivo.
Sul fronte Jobs act, ad esempio, nel cronoprogramma del Def manca l’indicazione dell’ adozione di decreti legislativi per il tax credit a favore del lavoro femminile. Allo stesso tempo anche gli obiettivi di ricavi dalle privatizzazioni, sottolineano dal Servizio Bilancio, si stanno via via allontanando dai target indicati dall’ Unione europea.
I tecnici invitano anche a valutare attentamente la destinazione del tesoretto, da cui dipenderanno effetti “non secondari”, e si soffermano su uno di quelli che si preannuncia tra i punti più caldi della prossima legge di stabilità: la revisione delle tax expenditures. Ad oggi il loro valore è pari a 161 miliardi, in pratica il 10% del Pil.
Una massa di denaro che il governo sembra pronto ad aggredire con qualcosa che, leggendo il testo del Def, sembra molto più di un semplice tagliando. Dalla riduzione delle agevolazioni fiscali, l’esecutivo conta infatti di raccogliere 2,4 miliardi di euro, poco meno di quanto si sarebbe incassato facendo scattare la clausola di salvaguardia prevista dal governo Letta (pari a 3 miliardi) e che invece sarà disinnescata.
Buone notizie, per quanto attese, arrivano invece sul fronte degli interessi sul debito. Grazie al QE della Bce la spesa per interessi pagata dall’ Italia dovrebbe scendere quest’anno del 7,7% con un risparmio di 5,8 miliardi, seguito però da una lieve ripresa nel 2016. Si tratterà comunque di risorse importanti per evitare una spending review che altrimenti, per disinnescare le clausole di salvaguardia, sarebbe arrivata ad oltre 16 miliardi nel 2016, oltre 25 nel 2017 e sopra 28 miliardi a partire dal 2018.