Nel caso in cui l’ufficio ritenga che una fattura concerna operazioni oggettivamente inesistenti, cioè sia una mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere da alcuno, e quindi contesti l’indebita detrazione dell’Iva o deduzione dei costi, l’Amministrazione finanziaria ha l’onere di fornire elementi probatori del fatto che l’operazione fatturata non è stata effettuata (ad esempio, provando che la società emittente la fattura è una “cartiera”) e a quel punto passerà sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate. A precisarlo, la Corte di cassazione con la sentenza n. 16437 del 5 agosto 2015.
I fatti
La vicenda riguarda l’impugnazione da parte di uno specialista ortopedico di due avvisi di accertamento relativi a Irpef e Irap, a seguito di ripresa a tassazione di costi indeducibili riferiti a prestazioni parzialmente inesistenti derivanti da fatture emesse da una società per la fornitura al professionista, mediante apposito contratto, di strutture e servizi sanitari (una sala operatoria e personale specializzato), risultati poi, secondo le verifiche dell’ufficio, mai messi a disposizione e utilizzati. È importante sottolineare che questa ricostruzione dei fatti non è stata mai contraddetta dal contribuente.
La Commissione provinciale adita rideterminava un minore importo della detrazione spettante, con esito confermato anche in secondo grado, ove il giudice del riesame, nel legittimare tale soluzione, ha sostenuto che, nel caso di specie, si tratta di costi per prestazioni risultate parzialmente inesistenti, non essendo sufficiente a tal fine “la semplice indicazione di un corrispettivo forfettario in un contratto”. Peraltro, il giudice d’appello ha accertato in via di fatto che non tutti i servizi inizialmente concordati erano stati poi effettivamente forniti al contribuente, che di conseguenza ha pagato per quanto ricevuto, pervenendo quindi a quantificare esattamente i costi sostenuti e il relativo diritto alla deduzione.
Nel conseguente ricorso per cassazione, il contribuente lamenta – per quanto di interesse – violazione dell’obbligo di motivazione nella parte in cui la sentenza impugnata afferma la non sufficienza della sola pattuizione di un corrispettivo per far sorgere l’obbligo di pagamento del medesimo.
Motivi della decisione
Decidendo la vertenza, con la sentenza n. 16437/2015, la Corte suprema rigetta il ricorso in quanto la motivazione della decisione impugnata risulta logica e coerente, dato che la Commissione del riesame, confermando la riduzione a circa la metà dei costi portati in deduzione dal contribuente, ha chiarito che l’ente impositore ha fornito dimostrazione dell’inesistenza parziale delle operazioni, malgrado le evidenze contrattuali delle prestazioni di servizi e di personale specializzato, da parte della società fornitrice dei beni e servizi poi fatturati (società della quale è, peraltro, presidente la moglie del contribuente), essendo emerso che alcuni dei servizi pattuiti non sono mai andati a buon fine.
Ad avviso della Cassazione, quindi, sulla base del fatto noto, rappresentato dalla circostanza che parte delle prestazioni dedotte in contratto non sono mai state rese dalla fornitrice, la Corte territoriale è risalita al fatto ignoto, dato dalla parziale inesistenza, per mancato pagamento di parte delle fatture indebitamente portate in deduzione dal professionista.
Con riferimento alla natura delle prestazioni contestate dall’ente impositore, la sezione tributaria ha poi ricordato che, in tema di detrazione/deduzione di costi ai fini Iva e delle imposte sui redditi derivanti da “frodi carosello”, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, in quanto relative a operazioni inesistenti, e fornisca attendibili riscontri indiziari sulla inesistenza delle operazioni fatturate, è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo, altrimenti indeducibili (Cassazione 2847/2008), non essendo sufficiente, a tale scopo, la dimostrazione della regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, in quanto si tratta di dati e circostanze facilmente falsificabili (Cassazione, sentenze 15228/2001, 1950/2007, 12802/2011).
La giurisprudenza di legittimità ha inoltre affermato che, in caso di accertata assenza dell’operazione, è escluso che possa configurarsi la buona fede del cessionario o committente, giacché la semplice buona fede non può essere invocata da parte di chi sfrutti gli effetti favorevoli di operazioni accertate come inesistenti senza mai mettere in moto alcun intervento di rettifica delle indebite appostazioni (Cassazione 24426/2013).
In questo caso, l’ufficio ha contestato la deducibilità dei costi, perché indicati in misura superiore al reale, perché correlati a operazioni parzialmente inesistenti e l’onere della prova è debitamente assolto dall’Amministrazione finanziaria, mentre invece il contribuente non ha provato il contrario a sua discolpa (articolo 2697, comma 2, cc), non essendo stati addotti validi elementi di contrasto ai dati in possesso dell’Amministrazione acquisiti nell’ambito di indagini istruttorie legittimamente compiute (cfr Cassazione 17377/2009).