La Banca d’Italia rileva alcune grandezze della finanza pubblica relative al mese di aprile. Tra queste, il debito pubblico in termini nominali, che ha raggiunto la cifra di 2.194,5 miliardi di euro.
Si tratta della cifra più elevata mai raggiunta dal debito pubblico italiano e viene legittimamente indicata come un record. Alcuni commentatori segnalano che questo dato sarebbe in contraddizione con le affermazioni del Ministro dell’Economia e delle Finanze, che in più occasioni ha indicato come la programmazione economico-finanziaria abbia posto il debito pubblico su una traiettoria discendente.
Un chiarimento è possibile facendo riferimento ai dati contenuti nel Documento di Economia e Finanza 2015: nella Sezione I (Programma di Stabilità dell’Italia) si può rilevare che la stessa programmazione del Governo prevede che il debito in valore assoluto o in termini monetari cresca in modo continuativo fino al 2019 quando dovrebbe raggiungere il valore di 2.218,2 miliardi di euro (tavola III.9, pag. 60).
Nella stessa tabella viene però indicato l’andamento del valore del debito in relazione al prodotto interno lordo (PIL), che raggiunge il picco nel 2015 (132,5%) e poi declina (120% nel 2019).
Quindi: il debito monetario aumenta, il rapporto debito/PIL diminuisce.
Peraltro i supplementi mensili ai bollettini della Banca d’Italia riportano le oscillazioni relative alla gestione del fabbisogno nel corso dell’anno, quindi nella serie mensile è possibile rilevare dei mesi in cui il debito assoluto scende per poi risalire, ma il dato atteso a fine anno è comunque in crescita rispetto al dicembre 2014, e alla fine del 2016 sarà in crescita rispetto al dicembre 2015.
L’aumento del debito è ovviamente legato al deficit: poiché i conti pubblici registrano ogni anno una spesa superiore alle entrate, il fabbisogno viene finanziato contraendo debito. Nel dibattito pubblico accade che alcuni commentatori che a volte chiedono maggiore flessibilità nelle finanze pubbliche, cioè una programmazione economica che produca più deficit, si stupiscano dell’aumento del debito. La relazione tra le due grandezze è però molto chiara. Finché c’è un fabbisogno da soddisfare per finanziare il deficit c’è aumento del debito.
Infine è opportuno ricordare che la recente programmazione finanziaria in deficit non è frutto di una logica dissipativa: lo Stato spende meno di quanto incassa, al netto degli interessi sul debito pubblico. Nel 2015 la differenza tra entrate e uscite dello Stato senza tener conto degli interessi sul debito (il cosiddetto avanzo primario) sarà positiva e pari a 1,7% del PIL. Ma poiché gli interessi sul debito ci costeranno 4,2% del PIL, il saldo finale tra entrate e uscite sarà negativo e pari al 2,5% del PIL.
Il Governo ha messo in atto una programmazione finanziaria che concilia l’esigenza di ridurre il debito – attraverso una progressiva riduzione del deficit – con l’esigenza di favorire la ripresa, attraverso misure espansive come la riduzione dell’IRAP, il bonus fiscale di 80€ per i lavoratori a basso reddito, la revisione della spesa per ridurne il peso complessivo e migliorare l’allocazione delle risorse pubbliche con l’obiettivo di erogare servizi migliori ai cittadini. La riduzione del deficit è progressiva proprio perché la programmazione finanziaria deve tenere conto dell’esigenza, in questa fase, di sostenere la ripresa.