La Corte di cassazione, con sentenza 18501 del 5 maggio 2015, ha statuito che nel reato omissivo per mancato versamento dell’Iva, “non può essere invocata, per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidità del soggetto attivo, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta di non far debitamente fronte alla esigenza predetta”. Grava sul contribuente l’obbligo di accantonare l’Iva dovuta, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all’obbligazione tributaria.
Evoluzione processuale della vicenda
Il tribunale di Bari, con sentenza del 13 aprile 2012, aveva dichiarato il contribuente colpevole dei reati di cui all’articolo 10-ter del Dlgs 74/2000, contestandogli l’omesso versamento dell’Iva dovuta per i periodi di imposta 2005 e 2006.
L’imputato ricorreva in appello sostenendo che non sussisteva il dolo di evasione perché i corrispettivi fatturati non erano mai stati incassati.
Con sentenza del 15 novembre 2013, la Corte d’appello aveva confermato la sentenza impugnata, ritenendo infondati i rilievi difensivi.
L’imputato proponeva ricorso per cassazione, per i seguenti motivi:
- la mancata considerazione delle pessime condizioni economiche in cui versava la società e la circostanza che in ogni caso l’imputato era stato ammesso a pagare (e stava pagando) ratealmente il dovuto, quali fatti che escludevano il dolo
- l’omesso versamento era dovuto alla mancata riscossione dell’Iva da parte di clienti insolventi o falliti, circostanza questa che aveva aggravato la crisi di liquidità dell’impresa.
Pronuncia della Cassazione
Per quanto riguarda l’anno d’imposta 2005, rileva la sentenza 80/2014 della Corte costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 10-ter del Dlgs 74/2000, nella parte in cui punisce l’omesso versamento dell’Iva per importi non superiori a 103.291,38 euro, privando il fatto di rilevanza penale.
Per l’anno 2006, invece, la Corte, confortata dalla sentenza a sezioni unite n. 37424/2103, ha stabilito che:
- il reato in esame è punibile a titolo di dolo generico e consiste nella coscienza e volontà di non versare all’erario le ritenute effettuate nel periodo considerato, non essendo richiesto che il comportamento illecito sia dettato dallo scopo specifico di evadere le imposte
- la prova del dolo è insita in genere nella presentazione della dichiarazione annuale
- il debito verso il fisco relativo ai versamenti Iva è normalmente collegato al compimento delle operazioni imponibili. “Ogni qualvolta il soggetto d’imposta effettua tali operazioni riscuote già l’IVA dovuta e deve, quindi, tenerla accantonata per l’Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all’obbligazione tributaria”.
Non può, quindi, essere invocata, per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine lungo, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta di non far debitamente fronte alla esigenza predetta.
Per quanto concerne il tema della “crisi di liquidità” d’impresa, quale fattore in grado di escludere la colpevolezza, la Corte ha ulteriormente precisato che “è necessario che siano provati la non imputabilità al contribuente della crisi economica dell’azienda, e la circostanza che detta crisi non potesse essere adeguatamente fronteggiata” (vedi anche Cassazione 5905/2014, 15416/2014, 5467/2013).
Nel caso di specie, le allegazioni sono del tutto generiche e non riescono a supportare le eccezioni di sussistenza della forza maggiore.
A giudizio della Suprema corte, “per la sussistenza del reato in questione non è richiesto il fine di evasione, tantomeno l’intima adesione del soggetto alla volontà di violare il precetto”. Il dolo del reato in questione è integrato dalla sola condotta omissiva posta in essere, nella consapevolezza della sua illiceità.
Con la sentenza in commento, la Corte ha confermato la posizione più volte espressa (sentenze 4529/2007, 18402//2013, 24410/2011, 9041/1997, 643/1984, 7779/1984) tesa a “escludere che le difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente possano integrare la forza maggiore penalmente rilevante, in considerazione del fatto che la forza maggiore postula la individuazione di un fatto imponderabile, imprevisto ed imprevedibile, che esula del tutto dalla condotta dell’agente, sì da rendere ineluttabile il verificarsi dell’evento”.
Costituisce corollario di queste affermazioni il fatto che nei reati omissivi integra la causa di forza maggiore l’assoluta impossibilità, non la semplice difficoltà, di porre in essere il comportamento omesso (Cassazione, 10116/1990). I giudici hanno concluso ritenendo inconsistente la tesi del ricorrente volta a giustificare la condotta dell’imputato con le sue pessime condizioni economiche e con il mancato pagamento delle fatture da parte dei clienti.