Credito ai contribuenti spettante solo se l’utile è regolarmente indicato in Unico. Il principio della generale e illimitata emendabilità delle dichiarazioni fiscali incontra il limite invalicabile di quelle destinate a rimanere irretrattabili per il sopravvenire di decadenze.
In tema di dichiarazioni integrative, il contribuente, in sede contenziosa, può sempre opporsi alla maggiore pretesa tributaria, allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione. Tuttavia, il principio in questione non si riferisce alla facoltà di far valere crediti d’imposta per il cui riconoscimento siano previsti termini di decadenza. Questo il principio affermato dalla Corte di cassazione con la sentenza 21242 del 13 settembre 2017.
Credito ai contribuenti: la vicenda processuale
In data 31 gennaio 2006, il contribuente presentava dichiarazione integrativa con la quale provvedeva a dichiarare gli utili che lo stesso aveva percepito nel corso del 2000 in qualità di socio, non inseriti nella dichiarazione modello Unico 2001. La Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna – nella controversia relativa all’impugnazione dell’avviso di accertamento per il recupero a tassazione del credito d’imposta sugli utili percepiti, ai sensi dell’articolo 14, Dpr 917/1986, vigente ratione temporis – rigettava l’appello dell’ufficio, ritenendo illegittimo il diniego di efficacia della dichiarazione integrativa presentata in data 31 gennaio 2006. La Commissione d’appello riteneva che, ai sensi dell’articolo 2, comma 8, Dpr 322/1998, al contribuente è riconosciuta la possibilità di integrare le dichiarazioni dei redditi, per correggere errori od omissioni, sia a favore che a carico dello stesso, entro il termine del 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione originaria.
Ricorreva per cassazione l’ufficio, affidando la censura del pronunciamento di secondo grado alla violazione o falsa applicazione dell’articolo 2, commi 8 e 8-bis, Dpr 322/1998, anche in combinato disposto con l’articolo 14, comma 5 del Tuir, in relazione all’articolo 360, comma primo, numero 3, codice di procedura civile. Dalla ricostruzione che veniva offerta dall’ufficio, appariva evidente come la dichiarazione integrativa, presentata oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, doveva considerarsi tardiva in quanto integrativa a favore presentata oltre i termini.
Infatti, ai sensi del comma 8-bis, del Dpr 322/1998, come modificato dall’articolo 2 del Dpr 435/2001, vigente ante riforma, “Le dichiarazioni dei redditi (…) possono essere integrate dai contribuenti per correggere errori od omissioni che abbiano determinato l’indicazione di un maggior reddito o, comunque, di un maggior debito d’imposta o di un minor credito, mediante dichiarazione da presentare, secondo le disposizioni di cui all’art. 3, utilizzando modelli conformi a quelli approvati per il periodo d’imposta cui si riferisce la dichiarazione, non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo”.
Dalle disposizioni succitate si evince come, una volta decorso il termine previsto dall’articolo 2, comma 8-bis, Dpr 322/1998, non sia più possibile presentare dichiarazioni integrative con esito favorevole per il contribuente. L’ufficio rilevava, peraltro, che anche il termine erroneamente ritenuto applicabile alla fattispecie (quarto anno successivo) doveva considerarsi nel caso di specie comunque spirato, atteso che questo scadeva il 31 dicembre 2005 mentre la dichiarazione integrativa veniva presentata solo in data 31 gennaio 2006.
La pronuncia della Corte suprema
In accoglimento dei motivi proposti dall’ufficio, la Corte ha ritenuto come, nel caso di specie, anche a voler considerare la scadenza del più lungo termine del 31 dicembre del quarto anno successivo, la dichiarazione relativa all’anno d’imposta 2000, da presentarsi nell’anno 2001, era venuto a scadenza il 31 dicembre 2005.
A ogni modo, definita la controversia, la Corte precisava incidentalmente quanto segue. A norma dell’articolo 14, comma 5, Tuir (vigente ratione temporis), “la detrazione del credito di imposta deve essere richiesta, a pena di decadenza, nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta in cui gli utili sono stati percepiti e non spetta in caso di omessa presentazione della dichiarazione o di omessa indicazione degli utili nella dichiarazione presentata”.
Benché alla luce del principio affermato dalle Sezioni unite n. 13378/2016 “il contribuente, indipendentemente dalle modalità e termini di cui alla dichiarazione integrativa prevista dal D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, e dall’istanza di rimborso di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, in sede contenziosa, può sempre opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria, allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione, incidenti sull’obbligazione tributaria”, nessun rilievo può assumere lo stesso nel caso di specie. Il principio, infatti, si riferisce alla facoltà di resistere alla pretesa impositiva contestandone i fatti che ne sono posti a fondamento, non anche alla facoltà di far valere crediti d’imposta per il cui riconoscimento siano previsti termini di decadenza.
Al riguardo, già le Sezioni unite succitate avevano precisato che “il principio della generale e illimitata emendabilità della dichiarazione fiscale incontra il limite delle dichiarazioni destinate a rimanere irretrattabili per il sopravvenire di decadenze, come nell’ipotesi prevista nel d.m. 22 luglio 1998, n. 275, il quale, all’art. 6, stabilisce che il credito di imposta è indicato, a pena di decadenza, nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta nel corso del quale il beneficio è concesso (Cass. 19868/2012)”.
Alla luce dei principi richiamati, la Corte, cassando senza rinvio, ha rigettato il ricorso di parte, non ritenendo necessario alcun ulteriore accertamento in fatto.