La nuova disciplina in materia di indeducibilità dei costi da reato, introdotta dall’articolo 8 del Dl 162/2012, non può essere applicata retroattivamente a favore del contribuente, se gli avvisi di accertamento sono divenuti definitivi per omessa impugnazione prima dell’entrata in vigore del predetto decreto.
La Corte suprema chiarisce però che l’impugnazione intempestiva, a differenza di quella tempestiva, nonché il relativo giudizio pendente, non possono a ogni modo precludere la definitività dell’atto originatasi, comunque, con lo spirare del termine stabilito per la presentazione del ricorso. È questo, oltre alla questione della validità degli atti sottoscritti da parte dagli incaricati di funzioni dirigenziali, l’interessante principio che si ricava dalla sentenza della Cassazione 22810 del 9 novembre 2015.
Il caso
L’Agenzia delle Entrate notificava ai componenti di una società in nome collettivo tre avvisi di accertamento, rispettivamente relativi agli anni 2005, 2006 e 2007. Negli atti notificati l’ufficio contestava, tra l’altro, l’indebita fruizione di agevolazioni contributive, ex legge 223/1991, in quanto la Snc a cui facevano capo aveva assunto, attingendo a liste di mobilità, quattro dipendenti precedentemente licenziati da altra società comunque collegata a quella dei ricorrenti. L’Agenzia, di conseguenza, recuperava a tassazione, in quanto indeducibili, ai sensi dell’articolo 14, comma 4-bis, della legge 537/1993, i costi relativi all’assunzione del predetto personale poiché riconducibili al reato di truffa (articolo 640 cp) nel frattempo contestato al legale rappresentante della società.
Gli avvisi di accertamento e le relative cartelle di pagamento venivano impugnati separatamente dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Udine che, previa riunione dei procedimenti, decideva:
- di accogliere i ricorsi relativi all’annualità 2005 in virtù dell’applicazione retroattiva della normativa sui costi da reato nel frattempo sopravvenuta che, nel caso di specie, doveva essere applicata in quanto più favorevole ai contribuenti (articolo 8 del Dl 16/2012, del citato articolo 14, comma 4-bis)
- di dichiarare inammissibili i ricorsi contro gli avvisi di accertamento relativi alle annualità 2006 e 2007 perché presentati tardivamente ossia oltre gli ordinari termini previsti per l’impugnazione.
Con riferimento agli atti delle annualità 2006 e 2007, la Commissione tributaria regionale confermava l’inammissibilità dei ricorsi introduttivi in virtù della tardiva presentazione degli stessi. Contrariamente a quanto accaduto per l’annualità 2005, tali tardività, non avendo l’effetto di escludere che si compisse la definitività degli avvisi di accertamento prima dell’entrata in vigore della “nuova” disposizione sui costi da reato, impedivano, di fatto, al giudice di applicare retroattivamente la norma sopravvenuta seppure più favorevole ai contribuenti.
Fra i motivi di ricorso in Cassazione, i contribuenti eccepivano che l’applicazione retroattiva dettata dalla norma transitoria, ex articolo 8, comma 3, del Dl 16 /2012, dovesse trovare come limite un diverso concetto di definitività dell’atto rispetto a quello elaborato dai giudici di merito e che non potessero essere intesi come definitivi gli atti in relazione ai quali, come nel caso di specie, la sentenza non fosse ancora passata in giudicato.
La pronuncia della Cassazione
La Cassazione, con la pronuncia in commento, ha respinto il ricorso dei contribuenti, condannandoli alla refusione delle spese di lite e al pagamento di oneri accessori. Nel caso di specie, secondo i giudici di legittimità, l’infruttuosa scadenza del termine di impugnazione, previsto dall’articolo 21, comma 1, del Dlgs 546/1992, ha prodotto la definitività degli atti di accertamento in data anteriore all’entrata in vigore del decreto legge introduttivo della “nuova” norma, con consequenziale esaurimento del rapporto sostanziale sottostante e impossibilità di un’estensione retroattiva degli effetti della modifica normativa.
Continuano i giudici, sottolineando che per “…escludere la definitività dell’atto fiscale è necessaria non l’impugnazione purchessia, sebbene l’impugnazione tempestiva”. Solo nel caso di impugnazione tempestiva, “…l’atto è destinato a essere assorbito nella (e sostituto dalla) statuizione giudiziale, in quanto, come da questa corte più volte affermato, anche a sezioni unite (v. sez. un. n. 25790-09), la sentenza del giudice tributario, che definisca il giudizio di impugnazione-merito, opera in funzione sostitutiva dell’atto amministrativo tributario”.
Se invece l’impugnazione viene proposta oltre i termini, la definitività è da riferire solamente all’atto, nel senso che l’obbligazione tributaria si consolida prima e indipendentemente dalla sentenza, la cui funzione è solo dichiarativa dell’inammissibilità dell’impugnazione.
Osservazioni
L’articolo 8, comma 1, del Dl 162/2012, ha sostanzialmente riscritto la disciplina dei costi da “reato” contenuta nel comma 4-bis dell’articolo 14 della legge 537/1993. Con la modifica normativa, ai fini dell’indeducibilità, si è passati dalla generica riconducibilità del costo a “fatti, atti o attività qualificabili come reato”, alla più stringente definizione di costi “direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo”. In sostanza, si è voluto limitare l’indeducibilità alle sole spese sostenute per la commissione del reato ovvero a quelle che ne costituiscano la causa.
Nella fattispecie esaminata, per quanto concerne la sola annualità 2005, i giudici di merito hanno ritenuto che i costi sostenuti per il personale assunto dalla società non fossero stati direttamente utilizzati per compiere il reato di truffa e, pertanto, fossero da ritenere deducibili in virtù dell’applicazione retroattiva dell’attuale disciplina. Retroattività, invece, negata per i procedimenti concernenti le annualità successive in virtù della acclarata definitività degli atti.
Infatti, secondo quanto disposto dal successivo comma 3, la modifica normativa, in quanto più favorevole al contribuente, assume valenza retroattiva solo se gli avvisi di accertamento emessi nel vigore della “vecchia” norma non siano già divenuti definitivi alla data del 2 marzo 2012 (data di entrata in vigore del decreto).
Sul punto, la circolare 32/2012 chiarisce che non sono da considerare definitivi “…quegli atti per i quali il contribuente non si sia avvalso degli istituti definitori di cui al decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218 o al decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, oppure di quelli per i quali ancora penda il termine di impugnazione ovvero la sentenza non sia ancora passata in giudicato”.
A tal proposito, la pronuncia in esame precisa che i ricorrenti hanno fornito una “lettura di comodo” proprio della circolare, intendendo, da quell’inciso, che la definitività possa essere automaticamente preclusa dalla pendenza di un qualsiasi giudizio sugli atti.
Il Collegio supremo tiene a precisare che dalla circolare si evince, al contrario di quanto inteso dai ricorrenti, che la definitività degli atti può essere preclusa solamente da una impugnazione tempestiva ossia da un ricorso proposto entro i termini consentiti dalla legge.