sentenza corte UEAl centro della controversia approdata dinanzi agli eurogiudici le disposizioni dell’accordo sulla libera circolazione delle persone per la parità di trattamento dei lavoratori dipendenti. La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’accordo tra la Comunità europea ed i suoi Stati membri, da una parte, e la Confederazione elvetica, dall’altra, sulla libera circolazione delle persone, firmato a Lussemburgo il 21 giugno 1999 ed è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone, da un lato due coniugi cittadini tedeschi residenti in Germania, e, dall’altra, l’Amministrazione tributaria tedesca in ordine al diniego, da parte di tale Amministrazione, di tener conto, quali redditi esenti dall’imposta sul reddito dei redditi percepiti dal marito nell’ambito di un’attività di insegnamento esercitata da quest’ultimo in via accessoria presso un istituto di diritto pubblico con sede in Svizzera. Detti coniugi sono cittadini tedeschi residenti  in Germania. Sono assoggettati congiuntamente all’imposta sui redditi in questo Stato membro. Risulta inoltre che il marito è integralmente assoggettato all’imposta sui redditi in tale Stato membro. Inoltre, il marito esercitava un’attività d’insegnamento in via accessoria presso un istituto di diritto pubblico in Svizzera. L’esercizio di questa attività è stato oggetto di un contratto di lavoro tra questi  e l’istituto. L’amministrazione tributaria tedesca assoggettava l’importo corrisposto per tale attività all’imposta sui redditi, dopo aver dedotto dalla somma dovuta per tale imposta quella percepita alla fonte dall’amministrazione tributaria svizzera.

 

Le valutazioni della Corte Ue

 

Ciò premesso, la controversia approdava alla competente autorità giurisdizionale, che sottoponeva al vaglio pregiudiziale della Corte Ue la seguente questione, con cui si chiede in sostanza, se le disposizioni dell’accordo sulla libera circolazione delle persone relative alla parità di trattamento dei lavoratori dipendenti vadano interpretate nel senso che ostano alla normativa di uno Stato membro, che non concede a un cittadino residente integralmente assoggettato all’imposta sui redditi, che abbia fatto uso del suo diritto alla libera circolazione per esercitare in via accessoria un’attività dipendente di insegnamento al servizio di una persona giuridica di diritto pubblico stabilita in Svizzera, il beneficio dell’esenzione dall’imposta relativa al reddito proveniente da detta attività di lavoro dipendente, mentre la stessa esenzione sarebbe stata concessa se tale attività fosse stata esercitata al servizio di una persona giuridica di diritto pubblico stabilita in tale Stato membro, in un altro Stato membro o in un altro Stato al quale si applichi l’accordo SEE.

 

Le disposizioni dell’accordo sulla libera circolazione delle persone

 

Dagli articoli 1 e 16, paragrafo 2, dell’accordo sulla libera circolazione delle persone, si evince che quest’ultimo mira a realizzare, a favore dei cittadini dell’Unione e di quelli della Confederazione svizzera, la libera circolazione delle persone nei territori delle parti contraenti di tale accordo basandosi sulle disposizioni applicate nell’Unione, le cui nozioni devono essere interpretate in modo conforme alla giurisprudenza comunitaria. Tra gli obiettivi perseguiti dall’accordo vi è quello di concedere ai cittadini, tra l’altro, un diritto di ingresso, di soggiorno, di accesso a un’attività economica dipendente nonché le stesse condizioni di vita, di occupazione e di lavoro di cui godono i cittadini nazionali. L’articolo 9 dell’allegato I dell’accordo sulla libera circolazione delle persone, in tema di parità di trattamento, garantisce l’applicazione del principio di non discriminazione sancito dall’articolo 2 di detto accordo nell’ambito della libera circolazione dei lavoratori. L’articolo 9 stabilisce, al suo paragrafo 2, una norma specifica, volta a far godere il lavoratore dipendente e i membri della sua famiglia degli stessi vantaggi fiscali e sociali dei lavoratori dipendenti nazionali e dei membri delle loro famiglie. In materia di vantaggi fiscali, la Corte ha già avuto occasione di dichiarare che il principio della parità di trattamento, previsto in tale disposizione, può essere invocato anche da un lavoratore cittadino di una parte contraente, che abbia esercitato il suo diritto alla libera circolazione nei confronti del suo Stato d’origine.

 

Nel merito della questione pregiudiziale

 

Nel negare ai contribuenti residenti in Germania che esercitano in via accessoria un’attività d’insegnamento al servizio di una persona giuridica di diritto pubblico stabilita in Svizzera il beneficio dell’esenzione dall’imposta sui redditi relativa alla retribuzione proveniente da tale attività di lavoro dipendente, mentre una tale esenzione sarebbe stata concessa se detta attività fosse stata esercitata al servizio di una persona giuridica di diritto pubblico stabilita sul territorio nazionale, in un altro Stato membro dell’Unione o in un altro Stato al quale si applichi l’accordo SEE, la normativa nazionale provoca una differenza di trattamento fiscale tra i contribuenti tedeschi residenti in Germania in funzione dell’origine dei loro redditi. Tale differenza di trattamento è tale da dissuadere i contribuenti tedeschi residenti in Germania dall’esercitare il loro diritto alla libera circolazione svolgendo un’attività di lavoro dipendente di insegnamento sul territorio svizzero continuando a risiedere nel loro Stato di residenza e, pertanto, costituisce una disparità di trattamento, in contrasto con l’articolo 9, paragrafo 2, dell’allegato I dell’accordo sulla libera circolazione delle persone.

 

Il ruolo della giurisprudenza comunitaria

 

Atteso che il principio della parità di trattamento costituisce una nozione di diritto comunitario, al fine di determinare l’esistenza di una eventuale disparità di trattamento nel contesto dell’accordo sulla libera circolazione delle persone, occorre riferirsi, per analogia, ai principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte UE. Nella fattispecie in esame, non è stato fatto valere che dei contribuenti tedeschi residenti in Germania che esercitano in via accessoria un’attività di lavoro dipendente di insegnamento sul territorio svizzero non si trovino, per quanto riguarda l’imposta sui redditi, in una situazione comparabile a quella dei contribuenti tedeschi residenti in Germania ai quali l’esenzione in questione è stata concessa.

 

Disparità di trattamento e motivi imperativi d’interesse generale

 

La giustificazione di una disparità di trattamento, dunque, può essere attinente solo a motivi imperativi d’interesse generale. Anche in tale ipotesi, però, essa dev’essere idonea a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non deve eccedere quanto necessario per raggiungerlo. In una precedente sentenza, la Corte UE ha specificato che una differenza di trattamento non poteva essere giustificata dalla ragione di interesse generale connessa alla promozione dell’insegnamento, della ricerca e dello sviluppo, dato che tale differenza arreca pregiudizio alla libertà degli insegnanti che svolgono la loro attività in via accessoria di scegliere il luogo delle loro prestazioni di servizi all’interno dell’Unione senza che sia stato dimostrato che, per raggiungere l’obiettivo di promozione dell’insegnamento, risulti necessario riservare il beneficio dell’esenzione fiscale concessa dalla disciplina nazionale ai soli contribuenti che svolgono un’attività simile in università stabilite nel territorio nazionale. Gli Stati membri devono, in ogni caso, nell’esercizio della competenza e della responsabilità di cui dispongono per organizzare il loro sistema di istruzione, rispettare le disposizioni del Trattato relative alla libertà di circolazione. Ne consegue che, anche qualora una normativa nazionale costituisse una misura connessa a detta organizzazione, essa resterebbe tuttavia incompatibile con il Trattato in quanto incide sulla scelta degli insegnanti che svolgono la loro attività in via accessoria relativamente al luogo delle loro prestazioni di servizi. Tali considerazioni si possono estendere alla fattispecie in esame. Difatti, la circostanza che l’attività in questione sia esercitata a titolo di lavoro autonomo,  o a titolo di lavoro dipendente, come nel procedimento principale, non è decisiva. Di contro, in entrambi i casi, la normativa tributaria all’esame può incidere sulla scelta dei contribuenti residenti che esercitino in via accessoria un’attività di insegnamento per quanto riguarda il luogo di esercizio di tale attività.

 

Le conclusioni della Corte di giustizia

 

La Corte Ue perviene alla conclusione che le disposizioni dell’accordo sulla libera circolazione delle persone relative alla parità di trattamento dei lavoratori dipendenti vanno interpretate nel senso che ostano alla normativa di uno Stato membro che non concede a un cittadino residente integralmente assoggettato all’imposta sui redditi, che abbia fatto uso del suo diritto alla libera circolazione per esercitare in via accessoria un’attività dipendente di insegnamento al servizio di una persona giuridica di diritto pubblico stabilita in Svizzera, il beneficio dell’esenzione dall’imposta relativa al reddito proveniente da detta attività di lavoro dipendente, mentre la stessa esenzione sarebbe stata concessa se tale attività fosse stata esercitata al servizio di una persona giuridica di diritto pubblico stabilita in tale Stato membro, in un altro Stato membro dell’Unione o in un altro Stato al quale si applichi l’accordo SEE.