Anche il giudice di secondo grado è tenuto a rivolgere al contribuente l’invito a provvedere oppure può dichiarare direttamente l’inammissibilità dell’appello?
Nell’ordinanza interlocutoria n. 10080/2017, la Corte di cassazione affronta l’annosa questione relativa all’ambito di applicazione dell’articolo 12, comma 5, del Dlgs n. 546/1992 che, nella versione vigente ratione temporis (in vigore fino al 31.12.2015), prevedeva che, per le controversie di valore eccedente 5 milioni di lire (ora 2.582,28 euro), “il presidente della commissione o della sezione o il collegio possono tuttavia ordinare alla parte di munirsi di assistenza tecnica fissando un termine entro il quale la stessa è tenuta, a pena di inammissibilità, a conferire l’incarico a un difensore abilitato”. In particolare, il nodo interpretativo – sul quale il Collegio evidenzia l’opportunità che si pronuncino le Sezioni unite, stante la posizione interpretativa non univoca della giurisprudenza di legittimità – riguarda l’applicabilità della cennata previsione normativa anche al giudizio di appello e gli effetti che la formulazione o meno di tale invito possono avere sulla declaratoria di inammissibilità del gravame per difetto di assistenza tecnica.
Nell’ordinanza interlocutoria, il Collegio ripercorre le posizioni interpretative assunte dalla giurisprudenza di legittimità, evidenziando come vi sia un indirizzo secondo il quale “l’obbligo del giudice tributario di fissare al contribuente, che ne sia privo, un termine per la nomina di un difensore – previsto, per le controversie di valore eccedente Euro 2.582,28, dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art.12, comma 5, come interpretato dalla Corte costituzionale con le sentenze n.189 del 2000 e n. 2002 (rectius: 520) del 2002 e con l’ordinanza n. 158 del 2003 – sussiste solo nell’ipotesi in cui la parte sia “ab initio” sfornita di assistenza tecnica, e non riguarda il giudizio di secondo grado, come si desume sia dall’esplicito riferimento, nella citata giurisprudenza costituzionale, al solo giudizio di prime cure, sia dal tenore letterale dell’art. 12 cit., che si riferisce espressamente alla proposizione delle controversie, e non alla prosecuzione dei giudizi”, con la conseguenza che “quando la parte si sia munita di assistenza tecnica nel giudizio di primo grado a seguito di ottemperanza all’ordine emesso dal giudice e proponga appello personalmente l’impugnazione deve essere dichiarata inammissibile, non dovendo l’ordine essere reiterato, e l’appello va dichiarato immediatamente inammissibile, attesa la riferibilità di quello impartito in prime cure all’intero giudizio” (Cassazione 13 ottobre 2010, n. 21139; cfr anche Cassazione 4 aprile 2008, n. 8778; 30 giugno 2010, n. 15448; 13 settembre 2013, n. 20929; 18 dicembre 2014, n. 26851).
A sostegno della diversa posizione interpretativa – condivisa dal Collegio – secondo la quale il giudice tributario non può dichiarare inammissibile il ricorso se non ha prima invitato il contribuente a munirsi della difesa tecnica di cui risulta sprovvisto, il Collegio richiama poi l’indirizzo interpretativo tracciato dalle Sezioni unite con la sentenza 2 dicembre 2004, n. 22601. In tale pronuncia, il supremo Collegio nella sua più alta composizione ha chiarito che “l’inammissibilità del ricorso può essere dichiarata solo a seguito della mancata esecuzione di tale ordine” e precisato che tale lettura “è l’unica conforme a Costituzione, secondo la sent. n.189 del 2000 della Corte Costituzionale, non rinvenendosi interpretazioni alternative che assicurino effettività alla tutela del diritto fondamentale di difesa nel processo ed adeguata tutela contro gli atti della P.A., alla stregua degli artt. 24 e 113 Cost., ove si consideri la peculiarità del processo tributario (che, dovendo essere introdotto attraverso un meccanismo impugnatorio di determinati atti impositivi, da esercitarsi entro brevissimi termini di decadenza, già comporta, rispetto al modello classico del processo civile, fortissime compressioni di quelle garanzie costituzionali)”.
Poiché, peraltro, il principio affermato dalle Sezioni unite nel citato arresto non affronta in modo diretto la questione dell’applicabilità di tale previsione normativa anche al giudizio di appello, il Collegio giudicante ha ritenuto con l’ordinanza in rassegna che tale questione debba essere risolta dalle Sezioni unite. È quindi necessario, ad avviso del Collegio, che una volta per tutte si chiarisca se anche il giudice di appello è onerato dal formulare l’invito alla regolarizzazione del mandato ai sensi dell’articolo 12, comma 5, del Dlgs n. 546/1992 e, soprattutto, se l’eventuale declaratoria di inammissibilità del gravame sia subordinata al mancato ottemperamento a tale invito e non possa – come invece avvenuto nella specie – essere pronunciata senza previo invito rivolto al contribuente di dotarsi di assistenza tecnica.
Nel manifestare tale esigenza, la suprema Corte ha anche espresso il proprio punto di vista interpretativo. In particolare, ha ritenuto – giustamente, a sommesso parere di chi scrive – che circoscrivere l’invito al contribuente a dotarsi di assistenza tecnica al primo grado di giudizio, da un canto, si risolverebbe in una interpretatio abrogans degli articoli 53, comma 1 e 61 del Dlgs n. 546/1992 – che ritengono applicabili al giudizio di appello previsioni formali e procedurali dettate per il primo grado di giudizio – e, dall’altro, contrasterebbe con una lettura costituzionalmente orientata della norma diretta ad assicurare l’effettività del diritto di difesa e l’adeguata tutela dei diritti contro gli atti della Pa, nonché con il principio “conservativo” e di “salvataggio” manifestato dal legislatore con la novella dell’articolo 182 cpc.
Sebbene tale ultima norma prevede, infatti, in caso di difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione, la concessione di un termine perentorio per la regolarizzazione nell’ipotesi in cui si tratti di un “un vizio che determina la nullità della procura al difensore” (ipotesi diversa dalla mancanza di procura, che ci occupa in questo caso), comunque tale novella è diretta ad azzerare l’incidenza di difetti formali.
Quanto sin qui rilevato dal Collegio vale tanto più se si considera che – come evidenziato nella parte finale dell’ordinanza in commento – il Dlgs n. 156/2015, articolo 9, comma 1, lettera e), nel riscrivere il più volte richiamato articolo 12 del Dlgs n. 546/1992, dopo aver ribadito la regola generale dell’obbligatorietà dell’assistenza tecnica nelle controversie tributarie, salvo i casi di contenziosi di modico valore, con il comma 10 ha disciplinato le ipotesi di difetto di rappresentanza o di autorizzazione, rinviando alle disposizioni contenute nell’articolo 182 cpc, prevedendo che la predetta attività possa essere svolta dal presidente della commissione ovvero della sezione e dal collegio e ciò, come si legge nella relazione illustrativa del governo, “al fine di evitare l’inutile prolungamento dei tempi del giudizio”, anticipando “quanto più possibile la regolarizzazione dell’eventuale vizio dell’atto processuale (ad esempio, difetto di procura alla lite) attribuendo indifferentemente l’iniziativa per la regolarizzazione già al Presidente della Commissione o della sezione (oltre che al collegio)”.