La disciplina delle Controlled foreign companies (Cfc rule) dispone un regime di tassazione per trasparenza, in capo al socio residente in Italia, dei redditi realizzati dalle sue controllate estere, indipendentemente dalla effettiva percezione degli stessi. La legislazione in materia è stata oggetto, nel corso dell’ultimo decennio, di importanti interventi che ne hanno modificato considerevolmente presupposti e ambito di applicazione.
Con la circolare n. 35/E del 4 agosto 2016, l’Amministrazione esamina le principali novità introdotte dal recente “decreto internazionalizzazione” (Dlgs 147/2015) in materia di tassazione degli utili provenienti da Paesi a fiscalità privilegiata (articolo 3), sulla disciplina antielusiva delle imprese estere controllate (articolo 8), sulle liste di Paesi che consentono un adeguato scambio di informazioni (articolo 10) e sulla disciplina del credito per le imposte pagate all’estero (articolo 15). Le diverse tematiche sono state affrontate e commentate anche alla luce degli interventi normativi apportati, prima, dalla legge 190/2014 (Stabilità 2015) e, più recentemente, dalla legge 208/2015 (Stabilità 2016).
L’individuazione dei regimi fiscali privilegiati
La residenza o la localizzazione di un’impresa, di una società o di altra entità in uno Stato o territorio a regime fiscale privilegiato comporta l’automatica applicazione della disciplina antielusiva in capo al socio controllante residente in Italia (articolo 167, comma 1, del Tuir). I criteri di individuazione degli ordinamenti a fiscalità privilegiata hanno subito nel tempo rilevanti modifiche, riassunti nella seguente tabella:
Periodo |
Fino al
31/12/2014 |
Dall’1/1/2015
al 31/12/2015 |
Dall’1/1/2016
|
Criterio di individuazione dei regimi fiscali privilegiati | – Inclusione nel Dm 21/11/2001 (black list) | – Inclusione nel Dm 21/11/2001 (come modificato dal Dm 30/3/2015 e dal Dm 18/11/2015) – Regime speciale che preveda un livello di tassazione inferiore al 50% di quello applicato in Italia – Esclusione dei Paesi Ue e See | – Livello nominale di tassazione inferiore al 50% di quello applicabile in Italia – Regimi speciali – Esclusione dei Paesi Ue e See |
A partire dall’anno di imposta in corso al 1° gennaio 2016, i regimi fiscali, anche speciali, di Stati o territori si considerano privilegiati qualora il livello nominale di tassazione risulti inferiore al 50% di quello applicabile in Italia (articolo 167, comma 4, del Tuir). Tale impostazione prescinde dall’esistenza di un adeguato scambio di informazioni tra l’Italia e il Paese di volta in volta interessato. Da tal nozione sono in ogni caso espressamente esclusi gli Stati appartenenti all’Unione europea ovvero quelli aderenti allo Spazio economico europeo con i quali l’Italia abbia stipulato un accordo che assicuri un effettivo scambio di informazioni. Il primo criterio che connota un regime come privilegiato è pertanto quello nominale di tassazione inferiore al 50% di quello previsto in Italia. Non è quindi più necessario verificare l’aggiornamento della black list a opera di un decreto ministeriale. Un regime fiscale di favore si considererà tale se, in linea di principio, concede un trattamento agevolato strutturale, risolvendosi in un’imposizione inferiore alla metà di quella italiana.
La dimostrazione della seconda esimente
La disapplicazione della Cfc Rule è ammessa al ricorrere, alternativamente, di una delle seguenti circostanze esimenti:
- la società non residente svolge un’effettiva attività industriale o commerciale, come sua principale attività, nel mercato dello stato o territorio di insediamento (prima esimente)
- dalle partecipazioni non consegue l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori a regime fiscale privilegiato (seconda esimente).
In particolare, la seconda esimente ricorre quando la controllata, alternativamente:
– gode di un regime fiscale privilegiato, ma oltre il 75% dei suoi redditi sono prodotti in Stati o territori non privilegiati dove sono ivi assoggettati a imposizione ordinaria
– gode di un regime fiscale privilegiato, ma svolge esclusivamente la propria principale attività, ovvero è fiscalmente residente, ovvero ha la sede di direzione effettiva, in uno Stato o territorio a regime fiscale non privilegiato, nel quale i redditi da essa prodotti sono integralmente assoggettati a tassazione ordinaria
– è residente in uno Stato o territorio non privilegiato, senza godere di regimi speciali, ma opera in un ordinamento fiscale privilegiato, mediante una stabile organizzazione, il cui reddito è assoggettato integralmente a tassazione ordinaria nello Stato di residenza della casa madre.
A partire dal 2015, tale esimente si considera dimostrata confrontando il tax rate effettivo estero con l’aliquota nominale italiana, data dalla sommatoria dell’aliquota Ires e dell’aliquota ordinaria Irap. Occorre, in altri termini, che il tax rate estero risulti superiore al 50% dell’aliquota nominale italiana, così determinata.
Determinazione del reddito per trasparenza in capo al socio residente
Il “decreto internazionalizzazione”, modificando il comma 6, penultimo periodo, dell’articolo 167 del Tuir, ha stabilito che i redditi della Cfc vengano determinati in base alle disposizioni applicabili ai soggetti residenti titolari di reddito d’impresa, a eccezione dell’articolo 86, comma 4, del Tuir. Con tale modifica, si garantisce una maggiore equivalenza della base imponibile del reddito estero, imputato per trasparenza in capo al socio italiano, rispetto a quella del reddito prodotto in Italia, ferma restando la modalità separata di tassazione del primo. Il reddito della Cfc sarà tassato per trasparenza applicando l’aliquota del socio residente, maggiorata delle eventuali addizionali (ad esempio, per le banche) e, nell’ipotesi di soggetto Irpef, in base all’aliquota media applicata sul suo reddito complessivo (se non inferiore all’aliquota ordinaria dell’imposta sul reddito delle società).
Ulteriori novità in tema Cfc
Il “decreto internazionalizzazione” ha abrogato l’articolo 168 del Tuir, che estendeva la disciplina Cfc anche alle società collegate localizzate in Paesi a fiscalità privilegiata. In tal modo, il legislatore ha adeguato la Cfc rule domestica ai regimi Cfc previsti negli altri ordinamenti. L’abrogazione tiene conto delle esigenze di semplificazione determinate dalla difficoltà di reperire gli elementi idonei a dimostrare le circostanze esimenti riscontrata dai contribuenti. Ha, inoltre, definitivamente sancito l’abbandono delle white list con l’abrogazione dell’articolo 168-bis. È stato, pertanto, conseguentemente eliminato ogni riferimento a tale articolo nell’ambito della disciplina delle Cfc. Sarà quindi nuovamente il Ministro a emanare periodicamente i decreti contenenti la lista di Paesi che consentono un adeguato scambio di informazioni.
La disciplina della tassazione degli utili provenienti da regimi fiscali privilegiati
In deroga al regime ordinario, gli utili provenienti da Stati o territori a regime fiscale privilegiato concorrono integralmente alla formazione del reddito complessivo.
Nello specifico, il regime di integrale tassazione si applica ai dividendi relativi a:
- partecipazioni dirette in società localizzate in Stati o territori a regime fiscale privilegiato
- partecipazioni indirette in tali società, detenute per il tramite di partecipazioni di controllo, diretto o indiretto, anche di fatto, in una o più società intermedie che non siano localizzate in Stati o territori a regime fiscale privilegiato.
A partire dal 2015, sono regimi fiscali privilegiati quelli individuati con decreti del ministro delle Finanze in ragione del livello di tassazione inferiore al 50% di quello applicato in Italia, della mancanza di un adeguato scambio di informazioni ovvero di altri criteri equivalenti, oppure che, in ogni caso, consentono un livello di tassazione inferiore al 50% di quello applicato in Italia.
Pertanto, per verificare la provenienza del reddito da un Paese non a fiscalità privilegiata, occorre preliminarmente accertare se lo Stato o territorio di localizzazione della società partecipata non sia incluso nella black list (contenuta nel Dm 21 novembre 2001), vigente al momento in cui gli utili sono stati percepiti o le plusvalenze sono state realizzate dal socio italiano.
Inoltre, i Paesi non inclusi non possono ritenersi automaticamente a fiscalità ordinaria, in quanto occorre effettuare un’ulteriore verifica, relativa alla eventuale sussistenza di un regime fiscale speciale.
Il credito d’imposta spetta anche al socio di controllo di una società residente in uno Stato o territorio a fiscalità privilegiata, qualora in capo al medesimo i dividendi provenienti da quest’ultima concorrano integralmente alla formazione della base imponibile. È indiretto, in quanto è riconosciuto in ragione delle imposte pagate all’estero non dal contribuente beneficiario del credito stesso, ma dalla società partecipata dalla quale provengono gli utili tassati in Italia.
Novità in materia di istanze di interpello Cfc
L’istituto dell’interpello è stato oggetto di importanti modifiche a opera del Dlgs 156/2015, diventando da obbligatorio, facoltativo. In particolare, l’interpello Cfc risulta inquadrabile nella categoria dei “probatori”.
A differenza da quanto accadeva in passato, a partire dal 2016, l’istanza di disapplicazione della disciplina Cfc può essere utilmente proposta all’amministrazione finanziaria entro il termine ordinario di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta cui si riferisce l’istanza medesima.
L’obbligo di segnalazione in dichiarazione dei redditi
A fronte della facoltatività dell’interpello Cfc, è obbligatorio, dal periodo d’imposta in corso alla data del 7 ottobre 2015, indicare in dichiarazione dei redditi la detenzione di partecipazioni in soggetti residenti o localizzati in paradisi fiscali. L’obbligo è imposto al socio residente che non abbia richiesto la disapplicazione della Cfc rule o, anche avendolo fatto, abbia ricevuto parere negativo dall’amministrazione fiscale. Analogo obbligo di segnalazione in dichiarazione dei redditi è imposto nel caso di percezione di utili e plusvalenze prodotti in Paesi a regime fiscale privilegiato. L’obbligo di indicazione permane anche qualora il contribuente ritenga di poter dimostrare la sussistenza della menzionata seconda esimente, ma non abbia presentato istanza di interpello a tal fine oppure, avendola presentata, non abbia ricevuto risposta favorevole da parte dell’amministrazione finanziaria.
Credito d’imposta estero
Il decreto ha reso più agevole e tempestiva la fruibilità del credito per le imposte pagate all’estero per tutti i contribuenti, a prescindere dalla tipologia di reddito/investimento effettuato (articolo 15). L’operatività è limitata ai tributi stranieri che si sostanziano in un’imposta sul reddito, da verificare in base ai principi e alle nozioni evincibili dal nostro ordinamento. Si è esonerati dal condurre tale indagine se, ai sensi di una Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata dall’Italia, il tributo rientra nell’oggetto del trattato (circolare 9/E del 2015). Il rimedio è azionabile in relazione a ogni altra imposta o tributo estero applicato sul reddito.