La sentenza n. 20690/2016 della Corte di Cassazione, Sezione I Civile, verte sul valore (relativo) da attribuire al comportamento delle parti nelle gare d’appalto e sulle motivazioni per cui vige l’obbligo della forma scritta nei contratti con la Pubblica Amministrazione.
In tema di attività jure privatorum della Pubblica amministrazione è noto il principio, che il Collegio ha anche stavolta condiviso ed inteso ribadire, secondo cui i contratti degli enti pubblici devono essere stipulati, a pena di nullità, in forma scritta, la quale assolve una funzione di garanzia del regolare svolgimento dell’attività amministrativa, permettendo d’identificare con precisione il contenuto del programma negoziale, anche ai fini della verifica della necessaria copertura finanziaria e dell’assoggettamento al controllo dell’autorità tutoria.
Ciò comporta non solo l’esclusione della possibilità di desumere l’intervenuta stipulazione del contratto da una manifestazione di volontà implicita o da comportamenti meramente attuativi, ma anche la necessità che, salvo diversa previsione di legge, l’intera vicenda negoziale sia consacrata in un unico documento, contenente tutte le clausole destinate a disciplinare il rapporto (cfr. Cass., Sez. Un., 22 marzo 2010, n, 6827; Cass,, Sez. I, 20 marzo 2014, n. 6555; 26 marzo 2009, n, 7297). Tale principio trova applicazione non soltanto alla conclusione del contratto, ma anche all’eventuale rinnovazione dello stesso, a meno che la stessa non sia prevista come effetto automatico da una apposita clausola (cfr. Cass,, Sez. III, 11 novembre 2015, n, 22994; 21 agosto 2014, n. 18107; 10 giugno 2005, n. 12323), nonché alle modificazioni che le parti intendano in seguito apportare alla disciplina concordata, le quali devono pertanto risultare da un atto posto in essere nella medesima forma del contratto originario, richiesta anche in tal caso ad substanti am, non potendo essere introdotte in via di mero fatto mediante l’adozione di pratiche difformi da quelle precedentemente convenute, ancorché le stesse si siano protratte nel tempo e rispondano ad un accordo tacitamente intervenuto tra le parti in epoca successiva.
Nei contratti stipulati in forma scritta ad substantiam la volontà negoziale dev’essere dedotta unicamente dal contenuto dell’atto, interpretato secondo i criteri di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., non assumendo alcun valore, a tal fine il comportamento delle parti, ha escluso che l’emissione di fatture da parte dell’attrice e l’effettuazione di pagamenti da parte della convenuta per importi inferiori a quello previsto dal contratto avessero comportato, nella specie, una modificazione del dettato contrattuale, con la determinazione di un prezzo ridotto per le sole aree esterne. Ha infatti ritenuto che al comportamento dell’appaltatrice non potesse attribuirsi né la portata di una rinuncia parziale al corrispettivo, la quale avrebbe comportato una modificazione del contratto, né l’effetto d’invertire l’onere della prova, incombendo alla committente la dimostrazione dell’intervenuta modifica del contratto, da fornire anch’essa con atto scritto ad substantiam.
In allegato il testo completo della Sentenza.