Le convenzioni per l’ufficio di segreteria degli enti locali, nate per i comuni piccoli, si stanno estendendo a quelli di grandi dimensioni e stanno coinvolgendo anche le Province.
In effetti, la versione originale del testo unico degli enti locali (comma 3 dell’art. 98 del d.lgs. 267/2000) prevedeva che soltanto i comuni “possono stipulare convenzioni per l’ufficio di segretario comunale comunicandone l’avvenuta costituzione alla Sezione regionale dell’Agenzia“.
Dopo la legge Delrio (L. n. 56/2014), mentre imperversava la smania di abolire le Province, con legge n. 125/2015 avente ad oggetto “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, recante disposizioni urgenti in materia di enti territoriali”, il legislatore estendeva la possibilità di convenzionare l’ufficio del segretario generale anche alle Province.
Così, mentre l’Unione delle Province Italiane (Upi) invoca un’organizzazione del personale tale da permettere la piena funzionalità della macchina amministrativa (vedi Documento “Ricostruire l’assetto amministrativo dei territori”), alcuni presidenti rinunciano, seppure parzialmente, al soggetto preposto al coordinamento dei dirigenti ed a sovrintenderne l’attività, utilizzandolo solo in convenzione.
Scelte che non sembrano coerenti con la necessità di rendere efficiente l’azione amministrativa e di rilanciare le Province, malgrado il forte impatto negativo del prolungato blocco delle assunzioni.
Il progetto del legislatore era quello di svuotare di funzioni, competenze e risorse le Province, nelle more di risolvere il vincolo di costituzionalità che ne impediva l’abolizione.
Come denunciato dalla stessa Unione delle Province, la legge Delrio più che essere una normativa di grande riforma economico-sociale è una disciplina nata con una funzione transitoria, finalizzata a regolamentare l’abolizione dell’ente intermedio.
L’UPI, richiama sovente la sentenza n. 188/2015 della Corte costituzionale che ha affermato come “la forte riduzione delle risorse destinate a funzioni esercitate con carattere di continuità ed in settori di notevole rilevanza sociale, risulta manifestamente irragionevole proprio per l’assenza di proporzionate misure che ne possano in qualche modo giustificare il dimensionamento” (sentenza n. 188/ 2015).
Paradossalmente, però, alcuni presidenti di provincia (o liberi consorzi in Sicilia) rinunciano volontariamente a parte dell’apporto del segretario generale, preferendo convenzionare la segreteria comunale, con la città capoluogo o con altri enti locali, proseguendo l’opera di svuotamento avviata dal legislatore.
Da un lato l’UPI dichiara di volere puntare su un’alta qualificazione del personale che assista e permetta la “ricostruzione” di una nuova classe dirigenziale sia tecnica, sia finanziaria, sia amministrativa, dall’altro alcune Province rinunciano al pieno apporto della figura di vertice, qualificata tramite più corsi-concorsi obbligatori.
Il segretario provinciale, infatti, prima di potere ricoprire tale ruolo, deve avere vinto un concorso pubblico, avere maturato un’esperienza di almeno otto anni (nella realtà, poi, sono molti di più), in Comuni di diverse dimensioni ed avere superato due corsi-concorsi.
Nel prendere atto che il processo di abolizione è fallito, i vertici politici degli enti di area vasta dovrebbero puntare al rilancio delle Province, partendo proprio dal rivendicare una struttura organizzativa in grado di affrontare le nuove sfide, senza “abboccare” all’amo di un esiguo risparmio, che comporta il prosciugamento delle risorse umane, a partire da quelle di vertice.