Si tratta di strutture “neutre”, che non godono di vantaggi e non soffrono di svantaggi. Tutti i movimenti economici da esse conseguiti vanno attribuiti alle partecipanti.
Con ordinanza n. 24102 del 13 ottobre 2017, la Corte di cassazione ha affermato il seguente principio di diritto: le società consorziate pagano sempre l’Iva sulle operazioni e sulle consulenze poste in essere dal consorzio, in quanto è obbligatorio il ribaltamento dei costi sulle partecipanti.
Vicenda processuale
La controversia riguarda un avviso d’accertamento con cui venivano contestate, tra l’altro, l’indeducibilità di costi non inerenti e l’indetraibilità dell’Iva, nei confronti di una società che non aveva prodotto la documentazione relativa alle consulenze rese. Inoltre, venivano messe in discussione le compensazioni effettuate tra la società e un consorzio di cui essa era socio maggioritario: in particolare, la compagine svolgeva consulenze a favore del consorzio per cui riceveva acconti, contabilizzandoli su un conto finanziario, senza emettere fattura nei termini stabiliti.
Il suddetto avviso veniva impugnato innanzi alla Ctp di Torino che respingeva il ricorso. In fase d’appello, invece, la Ctr riteneva erronea la ricostruzione contabile dell’ufficio.
Avverso la sentenza dei giudici di secondo grado, dunque, l’Agenzia proponeva ricorso per cassazione, che veniva accolto con l’ordinanza in esame. Tra i motivi di ricorso, in particolare, venivano denunziate la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2062 cc, degli articoli 11 e 21 del Dpr 633/1972, nonché degli articoli 1241 e seguenti del codice civile e dell’articolo 37 del Dpr 600/1973, in ordine ai principi generali dell’abuso del diritto.
Decisione della Corte
La Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia che lamentava la mancata autofatturazione dei proventi distribuiti dal consorzio e la mancata fatturazione dei costi specifici e generali di gestione per i vari anni d’imposta. Nello specifico, l’Agenzia invocava la normativa speciale sul consorzio per inferirne che tutti i costi consortili dovessero essere ribaltati sui consorziati, in modo che lo stesso consorzio non potesse trattenere gli utili o provvedere autonomamente ai costi.
Contestava, cioè, che attraverso la compensazione dei costi di gestione tra consorzio e consorziate, nell’ambito di partite tra dare e avere tra le parti, era stata realizzata un’evasione d’imposte, posto che le fatture e le autofatture avrebbero dovuto riguardare i proventi e i costi spettanti pro-quota alla impresa consorziata.
In merito, la Cassazione, ritenendo erronea la decisione della Ctr nella parte in cui aveva escluso l’obbligo di ribaltamento dei costi generali su tutti i consorziati, anche considerando la mancata partecipazione alle commesse, ha ribadito il consolidato orientamento secondo cui il consorzio costituito per gli scopi previsti dall’articolo 2602 cc – ovverosia per “costituire un’organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese” – ai fini dell’esecuzione di appalti di opere pubbliche o della gestione o del compimento di servizi, non assume la posizione di appaltatore, che resta puntualizzata sulle imprese socie riunite, ma il più modesto rilievo di una struttura operativa al servizio di tali imprese.
E infatti, sul piano civilistico, il contratto di consorzio, di cui all’articolo 2602, non comporta l’assorbimento delle imprese contraenti in un organismo unitario, con la creazione di un rapporto di immedesimazione organica tra consorzio e imprese consorziate, bensì unicamente la costituzione di una organizzazione comune per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive attività dei contraenti, avente essa stessa carattere strumentale e servente rispetto a quella delle imprese consorziate (cfr Cassazione n. 26480/2014).
Di conseguenza, ad avviso della Corte, dal punto di vista tributario, le operazioni e i costi della società consortile non possono che essere direttamente riferibili alle consociate. Per le imprese socie, infatti, costituiscono costi propri le spese affrontate per mezzo del consorzio, le quali, possono essere a esse riaddebitate attraverso il principio del cosiddetto ribaltamento dei costi o riaddebito (cfr Cassazione n. 16410/2008) e, allo stesso modo, i ricavi conseguiti dalla società consortile devono essere ribaltati sulle consorziate.
In realtà, non potendo il consorzio avere per sé – in quanto struttura sostanzialmente “neutra” – alcun vantaggio, poiché lo stesso, al pari dell’eventuale svantaggio, appartiene unicamente e solo alle imprese consorziate, l’ente consortile ha l’obbligo di ribaltare sulle stesse, secondo i criteri di legge (specie quanto all’inerenza), o quelli legittimamente fissati dallo statuto, se non elusivi della causa consortile e delle relative norme fiscali, tutte le operazioni economiche da esso conseguite che siano state realizzate da una o più imprese consorziate, oppure dallo stesso consorzio con strutture proprie o con impiego di imprese terze (cfr Cassazione nn. 14780 e 14781 del 2011, 20778 e 24014 del 2013).
In sostanza, secondo la suprema Corte non rileva che la società consorziata non abbia partecipato direttamente all’esecuzione di lavori nell’anno in contestazione, considerato che tutte le operazioni economiche poste in essere dal consorzio, o da altre consorziate o da imprese terze, devono essere ribaltate sulla singola società consorziata. Quest’ultima è, pertanto, tenuta a emettere – ai fini Iva – fattura nei confronti del consorzio in proporzione della quota consortile, per il ribaltamento dei proventi delle commesse a essa attribuiti, nonché autofattura, per il ribaltamento dei relativi costi.