commercialista-La trattenuta in fattura può essere detratta dal commercialista solo se corrisposta all’Erario dal sostituto entro il termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi.

 


 

Integra il reato di infedele dichiarazione la condotta del commercialista che indica elementi attivi per un ammontare inferiore a quelli effettivi, non inserendo, tra i componenti positivi, la ritenuta d’acconto operata ma non versata dal sostituto d’imposta; tali somme, infatti, concorrono alla determinazione dell’imposta evasa.

 

A fornire questa interessante precisazione è la Corte di cassazione, con la sentenza 2256 del 18 gennaio 2017.

 

Vicenda processuale

 

Il giudizio di legittimità ha avuto origine dall’impugnazione, da parte di un commercialista, dell’ordinanza con la quale il Tribunale del riesame aveva confermato il decreto di sequestro preventivo emesso dal giudice per le indagini preliminari con riferimento al reato previsto dall’articolo 4 del Dlgs 74/2000. Il libero professionista aveva indicato, nella dichiarazione relativa all’anno d’imposta 2012, elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo, non inserendo, in particolare, tra i componenti positivi, le somme corrispostegli per prestazioni professionali da una società cliente.

 

Il commercialista aveva omesso di contabilizzare la fattura emessa nei confronti di quest’ultima e l’imposta evasa superava la soglia di punibilità prevista dall’articolo 4 del Dlgs 74/2000. La Procura, pertanto, richiedeva e otteneva dal Gip il sequestro preventivo sui beni dell’indagato.

 

Avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame, che confermava la legittimità della misura cautelare, il professionista ricorreva per cassazione, lamentando il mancato superamento della soglia di punibilità prevista per il reato di dichiarazione infedele: non sarebbero state scomputate dall’importo ritenuto evaso le ritenute d’acconto indicate in fattura, anche se mai versate dalla società cliente, in qualità di sostituto.

 

La tesi difensiva eccepiva, in particolare, l’inesatta interpretazione della nozione di imposta evasa dettata dall’articolo 1 del Dlgs 74/2000, sottolineando, altresì, che il “sostituito” non avrebbe alcun obbligo specifico una volta che il “sostituto” abbia effettuato materialmente la ritenuta, ciò equivalendo a estinzione da parte sua dell’obbligazione tributaria fino alla concorrenza dell’importo per il quale la ritenuta è stata effettuata.

 

La Corte di cassazione ha respinto il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

Le osservazioni della Corte suprema

 

Ai sensi dell’articolo 1, lettera f), del decreto legislativo 74/2000, per “imposta evasa” va intesa la differenza tra l’imposta effettivamente dovuta e quella indicata nella dichiarazione ovvero l’intero tributo dovuta nel caso di omessa dichiarazione, al netto delle somme versate dal contribuente o da terzi a titolo di acconto, di ritenuta o comunque in pagamento di detta imposta prima della presentazione della dichiarazione o della scadenza del relativo termine.

 

I giudici di legittimità hanno precisato che la somma corrispondente alla ritenuta d’acconto può essere detratta, da parte del sostituito, dall’ammontare complessivo dell’imposta dovuta, esclusivamente ove effettivamente corrisposta all’Erario entro il termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi.

 

La pronuncia in esame precisa, difatti, che la definizione di “imposta evasa” ai fini penali fa riferimento alle “somme versate dal contribuente o da terzi a titolo di ritenuta”. La norma penale intende evitare che gli obblighi dichiarativi siano elusi sulla base di collusioni tra sostituto e sostituito in danno dell’Erario.

 

Nel caso di specie, la ritenuta d’acconto non era stata versata né dal professionista/sostituito, né dalla società/sostituto e “la circostanza del mancato versamento della ritenuta d’imposta da parte del sostituto era nota al sostituito, essendo quest’ultimo commercialista della persona giudica inadempiente“.

 

I giudici ribadiscono, come statuito in numerose pronunce di legittimità, che il fatto che la legge definisca il sostituto come colui che è obbligato al pagamento di imposte in luogo di altri non toglie che anche il sostituito debba ritenersi obbligato solidale (tra le altre, Cassazione, pronunce 8653/2011 e 8504/2009). La ritenuta, quindi, non poteva essere scomputata dall’imposta evasa dal contribuente.

 

Configura, in definitiva, il reato di infedele dichiarazione previsto dall’articolo 4 del Dlgs 74/2000, la condotta del professionista che indica nella dichiarazione fiscale elementi attivi per un ammontare inferiore a quelli effettivi, non inserendo tra i componenti positivi gli importi della ritenuta d’acconto operata dal sostituto d’imposta e da questi non versata, costituendo, tali voci, elementi attivi del reddito che concorrono alla determinazione dell’imposta evasa.

 

Al rigetto del ricorso è conseguita altresì la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.