comportamento, entrateIl codice di comportamento dei dipendenti dell’Agenzia delle Entrate è stato approvato con provvedimento 16 settembre 2015 del direttore Rossella Orlandi, dopo essere stato reso disponibile in bozza per un periodo di consultazione di trenta giorni, sino al 13 maggio 2015. Tale “procedura aperta alla partecipazione”, prevista dal comma 5 dell’articolo 54 del Dlgs 165/2001, ha avuto lo scopo di raccogliere ogni utile contributo dagli stakeholder e di rendere ancora più efficace il regolamento nella sua versione definitiva.

 

Il risultato del lavoro svolto dall’Agenzia è quello di avere creato uno strumento di acuta originalità, perfettamente coerente con la sua natura di soggetto pubblico deputato a svolgere le funzioni di gestione, accertamento e partecipazione al contenzioso dei tributi erariali, allo scopo di perseguire il massimo livello di adempimento degli obblighi fiscali.

 

È nota la distinzione in dottrina tra codici etici, codici disciplinari e codici di comportamento, a seconda che esaltino l’aspetto della moral suasion, della deterrenza sanzionatoria o compendino entrambi. Il codice dell’Agenzia è indubitabilmente un codice di comportamento, in quanto, armonicamente e senza trascurare l’aspetto del contrasto sanzionatorio, dedica molto del suo spazio alla cultura dell’etica e alla creazione di strumenti di prevenzione ancor più efficaci di quelli punitivi.

 

Ad esempio, è già rinvenibile nella sua premessa, mentre risulta assente tale aspetto nel codice nazionale, il rimarcare la natura anche sanzionatoria del codice, attraverso una anticipazione della identità logica e della evidente conseguenza tra “violazione delle norme” e “fonte di responsabilità disciplinare”.

 

Sempre nel suo inizio, per la precisione al primo comma dell’articolo 1, il codice dell’Agenzia dà enfasi alla previsione, non espressa nel corrispondente articolo del Dpr 62, di “assicurare i doveri minimi … nei rapporti intercorrenti tra i dipendenti dell’Agenzia e in quelli che si instaurano tra questi ultimi e i soggetti esterni”. Il regolamento statale non distingue, infatti, tra rapporti interni alla Pa e rapporti tra dipendenti e cittadini. È questa una disposizione che ha, invece, a cuore sia l’efficienza organizzativa sia il valore etico dell’istituzione, in quanto afferma implicitamente che in egual misura il corretto esercizio dei poteri propri dell’amministrazione finanziaria e il miglioramento del clima interno e dei rapporti tra colleghi contribuiscono ad accrescere l’efficacia e l’efficienza dell’istituzione.

 

Come accennato, quello dell’Agenzia è un codice di comportamento che, però, tende anche a esaltare gli aspetti morali: ad esempio, nell’articolo 2 sui “principi generali”, assumono valenza di doveri minimi per il dipendente l’improntare il proprio comportamento al rispetto dei principi etici universalmente riconosciuti e il collaborare attivamente alla realizzazione degli obiettivi dell’Agenzia.

 

Non viene trascurata la trasparenza: il nostro codice, che ricorda che il dipendente deve esercitare i propri compiti orientando l’azione amministrativa alla massima efficacia, efficienza, economicità, aggiunge questo aspetto, certamente trattato anche dal codice nazionale, ma nei suoi principi generali meno enfatizzato.

 

È noto che il dipendente deve osservare le disposizioni del piano triennale di prevenzione della corruzione. Eppure, una significativa novità è introdotta ancora dai principi generali del codice dell’Agenzia, nel punto in cui si afferma che le norme di comportamento contenute nello stesso integrano quanto previsto dal piano dell’Agenzia e costituiscono, in tal senso, elementi di riferimento nella concreta definizione dei presidi anticorruzione negli uffici in ragione dello specifico livello di esposizione al rischio.

 

Già nei primi articoli, il codice affronta temi importanti in maniera efficace e innovativa, come regali, compensi e altre utilità: ad esempio, nella ordinaria previsione che il dipendente non possa in alcun caso chiedere o sollecitare, per sé e per altri, regali o altre utilità, l’Agenzia chiarisce tale divieto, escludendo espressamente questa possibilità anche nel caso di bene di modico valore. Il codice nazionale vieta al dipendente di chiedere regali o altre utilità, neanche di modico valore, a titolo di corrispettivo per compiere o per aver compiuto un atto del proprio ufficio, da soggetti che possano trarre benefici da decisioni o attività inerenti all’ufficio o da soggetti nei cui confronti è o sta per essere chiamato a svolgere o a esercitare attività o potestà proprie dell’ufficio ricoperto. Il codice dell’Agenzia è qui opportunamente più rigoroso, in ragione della delicatezza delle funzioni attribuite: il divieto, per dirimere ogni dubbio al riguardo, riguarda anche la semplice accettazione del bene e viene poi esteso all’esercizio delle funzioni o dei poteri, andando così oltre al mero collegamento con un atto dell’ufficio. Questa estensione si collega alla riformulazione dell’articolo 318 del codice penale operata dalla “legge Severino”: si tratta della trasformazione della corruzione per atto conforme ai doveri d’ufficio (o impropria) in corruzione per l’esercizio della funzione, in virtù della quale il reato si compie con il generico collegamento tra percezione o accettazione della promessa (espressamente richiamate nel codice dell’Agenzia) e attività propria del soggetto intraneo.

 

In altri termini, la novella attiva un più efficace contrasto dell’asservimento della pubblica funzione agli interessi privati, nell’ipotesi la dazione di denaro o altra utilità sia correlata alla generica attività, ai generici poteri e alla generica funzione cui il soggetto pubblico è preposto, senza che tale correlazione debba sussistere con uno specifico atto d’ufficio, compiuto o da compiere.

 

Importanti distinzioni sono rinvenibili anche nell’articolo 4, sulla partecipazione ad associazioni e organizzazioni. Innanzitutto, l’obbligo di comunicazione scatta non semplicemente se l’interferenza tra ambiti o interessi dell’associazione e lo svolgimento dell’attività dell’ufficio sia anche solo potenziale, ma quando in concreto si realizzi tale interferenza: in tal modo la norma imperativa viene opportunamente informata al criterio di specificità.

 

Un secondo elemento di attenzione rivolta al dipendente è dato dal fatto che l’interferenza deve essere relativa non genericamente allo svolgimento dell’attività dell’ufficio, ma alle attività concretamente assegnate al dipendente. Altresì, l’obbligo di comunicazione non scatta se dalla partecipazione a enti o associazioni possano presumersi condizioni di salute ovvero orientamenti religiosi o sessuali del dipendente associato.

 

La delicatezza dei compiti affidati all’Agenzia ha imposto la previsione di una specifica disposizione in materia di incompatibilità, allargando così le previsioni del codice nazionale in tema di conflitti di interesse. Oltre a confermare quanto previsto dalle norme in tema di incompatibilità e di cumulo di impieghi (ci si riferisce, in particolare, all’articolo 53 del decreto 165/2001 che, a sua volta, richiama le disposizioni ancora in vigore previste dagli articoli 60 e seguenti del Testo unico 3/1957 sugli impiegati civili dello Stato), l’articolo 5 del codice vieta al personale dell’Agenzia, anche con rapporto di lavoro a tempo parziale, di svolgere attività o prestazioni che possano incidere sull’adempimento corretto imparziale dei doveri d’ufficio, impedendo altresì di esercitare, a favore di terzi, attività di consulenza, assistenza e rappresentanza in materia fiscale, tributaria o tecnica, comunque in connessione con i propri compiti istituzionali. Un particolare divieto di svolgimento di attività è rivolto al personale tutto dell’Agenzia, anche con rapporto di lavoro a tempo parziale inferiore al 50 per cento.

 

Si tratta di una elencazione più tassativa che esemplificativa, afferente tutte le funzioni tipiche dell’Agenzia, indifferentemente se area Entrate o Territorio, con l’aggiunta di attività che possono considerarsi trasversali a esse (attività fiscali o tributarie proprie o tipiche degli avvocati, dei dottori commercialisti, dei ragionieri e dei periti commerciali e dei consulenti del lavoro; attività proprie o tipiche degli ingegneri, architetti, geometri e periti tecnici; consulenti immobiliari, agenti immobiliari e attività relative a servizi connessi agli immobili; amministratore di condominio, salva l’ipotesi in cui l’attività venga svolta per la cura dei propri interessi di condomino; mediatore civile e commerciale; custode giudiziario, con esclusione del caso in cui la custodia riguardi i propri beni; attività relative a servizi contabili ed elaborazione dati; attività relative a servizi di certificazione delle firme elettroniche o altri servizi connessi a tali firme; informazione commerciale), tant’è che la previsione conclusiva di una categoria residuale (ogni altra attività o incarico da soggetti privati che appaiano incompatibili con la corretta e imparziale esecuzione delle attività inerenti all’ufficio di appartenenza) appare quasi superflua.

 

La disposizione sulle incompatibilità viene completata dall’inibizione ad assumere la posizione di socio in qualsiasi tipo di società di persone, cooperative o in società di capitali a ristretta base azionaria aventi a oggetto attività fiscali o tributarie proprie o tipiche degli avvocati, dei commercialisti, dei ragionieri e dei periti commerciali e dei consulenti del lavoro, ovvero attività proprie o tipiche degli ingegneri, architetti, geometri e periti tecnici. Si tratta di una previsione che va ben oltre al disposto dell’articolo 60 del Testo unico sugli impiegati civili dello Stato (“L’impiegato non può esercitare il commercio, l’industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all’uopo intervenuta l’autorizzazione del Ministro competente”. La disposizione va intesa nel senso che non è astrattamente vietata la partecipazione in società di capitali ovvero la detenzione di quote in società in accomandita semplice quale socio accomandante, non integrando tale partecipazione l’effettivo esercizio del commercio, dell’industria o di una professione), tuttavia ben giustificata dalla delicatezza delle funzioni proprie dell’istituzione.

 

In tema di obbligo di astensione, il codice dell’Agenzia correttamente tratta congiuntamente nell’articolo 7 il “prendere decisioni o svolgere attività” e il “partecipare ad adozione di decisioni o ad attività”, che nel codice nazionale sono invece disciplinati separatamente negli articoli 6 e 7. Viene poi assegnato al responsabile dell’ufficio o sovraordinato gerarchico un termine di tre giorni per svolgere gli opportuni controlli e pronunciarsi sull’ammissibilità e fondatezza della astensione, a differenza del Dpr 62, ove non è precisato il termine entro il quale il responsabile dell’ufficio di appartenenza deve decidere sull’astensione.

 

Per il codice dell’Agenzia, il dipendente diventa un vero e proprio guardiano nella prevenzione degli illeciti all’interno dell’amministrazione: in aggiunta alle prescrizioni fissate dal codice di comportamento dei dipendenti pubblici, si prevede espressamente che il dipendente rispetti anche le prescrizioni del piano nazionale anticorruzione e che segnali al proprio superiore gerarchico le eventuali difficoltà incontrate nell’adempimento delle prescrizioni in materia, oltre alle ulteriori situazioni di rischio riscontrate nello svolgimento dell’attività istituzionale e non specificatamente disciplinati nei piani stessi. Oltre a quanto previsto dal codice nazionale, viene disposta la segnalazione da parte del dipendente delle condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza (il whistleblowing), con il richiamo alle specifiche indicazioni operative formulate dall’Agenzia e all’apposita procedura informatica; sono poi attribuite ai dirigenti specifiche incombenze sempre in tema di prevenzione della corruzione.

 

Il codice di comportamento, come ovvio che sia, regola l’attività lavorativa all’interno dell’Agenzia, individuando le condotte che il dipendente deve tenere o deve evitare in tale ambito. Più del Dpr 62, però, l’attenzione si rivolge ai doveri minimi che il dipendente deve osservare nel comportamento in servizio, fermo restando il dovere attribuito al dirigente di rispettare l’equa ripartizione dei carichi di lavoro tra collaboratori: ogni qual volta non può proseguire nell’espletamento di una attività, deve operare una sorta di passaggio di consegne; se ha un interesse personale in un procedimento dell’Agenzia ovvero riceve una richiesta di intervento da parte di contribuenti, conoscenti o altri dipendenti, si astiene dall’influenzare, direttamente o indirettamente, coloro che debbono o possano adottare il relativo atto; osserva scrupolosamente le disposizioni sull’ingresso in ufficio, utilizzando costantemente il badge, per registrare e rilevare automaticamente la propria presenza sul lavoro, comprese le attività esterne; analoga attenzione deve rivolgere alle procedure di sicurezza per l’accesso e alla permanenza di personale negli uffici, segnalando eventuali inefficienze dei sistemi di sicurezza; si attiene scrupolosamente alle politiche di sicurezza sui codici di accesso ai sistemi informatici, così da mantenerne la funzionalità e proteggerli; rispetta le disposizioni in materia di privacy; conforma il proprio comportamento in servizio ai principi e ai valori espressi nel “Codice di condotta per la prevenzione e il contrasto alle molestie sessuali, al mobbing e a ogni forma di discriminazione a tutela dell’integrità e della dignità delle persone” (approvato con atto del direttore dell’Agenzia delle Entrate del 17 marzo 2014); tiene un comportamento che favorisca il risparmio energetico e pone attenzione all’impatto sull’ambiente delle sue azioni, ad esempio riducendo i consumi di energia elettrica e di carta; nella consapevolezza della necessità dell’aggiornamento professionale, lo persegue anche partecipando attivamente ai corsi di formazione organizzati dall’Agenzia e utilizza le risorse anche informatiche messe da questa a sua disposizione; gli è rimessa la possibilità di non eseguire un ordine proveniente da un soggetto diverso dal suo superiore gerarchico, con l’obbligo di darne immediata comunicazione al sovraordinato funzionale o superiore gerarchico.

 

L’utilizzo dei sistemi informatici e la delicatezza dei dati a disposizione dell’Agenzia, spesso personali ma frequentemente anche sensibili, hanno imposto la previsione di uno specifico articolo proprio destinato a essi. È sempre necessaria l’autorizzazione per l’utilizzo di tali strumenti ed è vietata l’effettuazione di download di programmi o di file di provenienza esterna sul computer dato in uso dall’Agenzia, se non inerenti l’attività d’ufficio; non si possono detenere o utilizzare abusivamente codici, parole chiave o altri mezzi idonei all’accesso a un sistema informatico o telematico; parallelamente, non si possono trasferire all’esterno o trasmettere file o documenti riservati se non per finalità strettamente attinenti alle proprie mansioni e in ogni caso è necessaria la previa autorizzazione del responsabile dell’ufficio; il pc è un’apparecchiatura particolarmente delicata, che non può essere lasciata incustodita o accessibile ad altri né se ne può permettere a terzi un uso improprio; analogamente, non possono essere utilizzate le credenziali informatiche di un collega per l’accesso ad aree protette, anche se in nome e per conto di quest’ultimo. In altri termini, informazioni, applicazioni e apparecchiature devono essere utilizzati esclusivamente per motivi di ufficio, evitando che tali beni siano prestati o ceduti a terzi senza autorizzazione preventiva del responsabile dell’ufficio. Procedure, standard e politiche di sicurezza dell’Agenzia devono pertanto essere rispettate anche per proteggere e controllare i sistemi informatici.

 

L’Agenzia non è un’istituzione isolata e avulsa dal contesto in cui opera, ma è un soggetto in stretta relazione con la collettività. Per questo motivo, l’articolo 13, relativo ai rapporti con il pubblico, è fortemente modulato sull’attività propria dell’Agenzia. Vengono innanzitutto ribaditi i principi, espressi o sottesi, dell’articolo 97 della Costituzione (legalità, imparzialità e buon andamento) e dello Statuto dei diritti del contribuente, oltre alle regole contenute nei contratti collettivi, ferma restando l’autonomia tecnica, che è propria dell’Agenzia stessa.

 

Particolare attenzione è rivolta alla riservatezza e ai rapporti con i mezzi di informazione. Oltre al doveroso rispetto del segreto d’ufficio, il dipendente deve mantenere riservate le notizie e le informazioni apprese nell’esercizio delle proprie funzioni. Coerentemente, il dipendente consulta i soli fascicoli direttamente collegati alla sua attività e ne fa uso conforme ai doveri d’ufficio: ne consente perciò l’accesso solo a coloro che ne abbiano titolo, conformemente alle prescrizioni dell’ufficio, con la precisazione ulteriore che il divieto di divulgazione all’esterno, salvo specifica autorizzazione, deve riguardare ovviamente anche gli organi di informazione, attenendosi alle direttive impartite in materia dall’Agenzia.

 

Il codice di comportamento tiene conto anche della costante evoluzione organizzativa dell’Agenzia. Le disposizioni relative ai dirigenti si applicano, per specifica previsione, anche alle posizioni organizzative speciali e ai titolari di deleghe ex articolo 4-bis del Dl 78/2015. Il dirigente, prima di assumere le sue funzioni, tra le altre incombenze attribuitegli, dichiara se ha parenti entro il quarto grado o affini entro il secondo grado, coniuge o conviventi che esercitano in proprio ovvero alle dipendenze di società, associazioni o enti di qualsiasi natura, attività politiche, economiche o professionali che li pongano in contatti frequenti con l’ufficio che dovrà dirigere o che siano coinvolti nelle decisioni o nelle attività inerenti all’ufficio.

 

Sempre in ragione della più spesso richiamata particolarità delle funzioni affidate all’Agenzia, si possono notare alcune differenze con la disciplina del codice nazionale. In particolare, è elevato al quarto il grado relativo ai parenti, mentre è introdotta una specificazione relativa alle società, associazioni o enti, per le quali si fa riferimento all’esercizio in proprio ovvero alle dipendenze, con ciò evitando il rischio determinato da interpretazioni ambigue o da situazioni equivoche. Per ovvi motivi di conoscibilità da parte dell’Agenzia, il dirigente fornisce annualmente solo le informazioni sulla propria situazione patrimoniale e non quelle relative alle dichiarazioni annuali d’imposta.

 

Vengono infine significativamente rammentate due disposizioni normative che entrambe, pur se in materie diverse, mirano a situazioni di palese conflitto di interesse e di conseguente riverbero negativo sull’immagine dell’amministrazione: innanzitutto, l’articolo 63, quarto comma, del Dpr 600/1973 che vieta agli ex appartenenti all’amministrazione finanziaria, per due anni dalla cessazione del rapporto di impiego, di esercitare funzioni di assistenza e di rappresentanza presso gli uffici finanziari e innanzi alle commissioni tributarie; ancora, l’articolo 53, comma 16-ter, del Dlgs 165/2001, norma con finalità di prevenzione, mira a ridurre il rischio di situazioni di corruzione connesse all’impiego del dipendente successivamente alla cessazione del rapporto di lavoro. Essa mira a evitare che, durante il periodo di servizio, il dipendente stesso possa precostituirsi delle situazioni lavorative vantaggiose sfruttando la sua posizione e il suo potere all’interno dell’amministrazione per ottenere un lavoro presso il soggetto privato in cui entra in contatto. La disposizione prevede, quindi, in caso di violazione del divieto ivi previsto, le specifiche sanzioni della nullità del contratto e del divieto per i soggetti privati che l’hanno concluso o conferito, di contrattare con le pubbliche amministrazioni per i successivi tre anni, con contestuale obbligo di restituzione dei compensi eventualmente percepiti e accertati a essi riferiti.

 

Il codice di comportamento rappresenta un elemento fondamentale nell’organizzazione metodologica dettata dalla legge 190/2012: coniuga, infatti, la natura di strumento di prevenzione e di contrasto al fenomeno della bribery con quella di qualificato indirizzo per il dipendente nel suo quotidiano operare.

 

L’Agenzia, ben coscia dell’importanza del Codice, ha sviluppato un’attenta disamina delle sue specificità, giungendo all’emanazione e all’adozione di un autonomo strumento regolamentare, rispettoso delle disposizioni che ne dovevano informare la stesura (oltre alla legge 190/2012 e al Dpr 62/2013, linee guida Civit, Pna, Regolamento recante disposizioni per garantire l’autonomia tecnica del personale delle Agenzie fiscali, a norma dell’articolo 71, comma 2, del Dlgs 300/1999, documenti di prassi del Dfp) e ricettivo delle qualificate e corrette osservazioni degli istituzionali portatori di interesse. Il risultato è così un “valore aggiunto” al codice nazionale, in grado di contribuire fattivamente alla valorizzazione dell’etica nell’Amministrazione e al miglioramento dell’efficienza organizzativa.