La non imponibilità al tributo di una cessione intracomunitaria rimane subordinata alla prova, a carico del cedente, del reale invio dei beni in un altro Stato dell’Unione. In materia di Iva, l’articolo 28-quater, parte A, lettera a), primo comma, della sesta direttiva del 1977 (v., ora, il corrispondente articolo 138, n. 1, della direttiva 2006/112/Ce del 28 novembre 2006, di rifusione del testo della sesta direttiva), in tema di cessioni intracomunitarie, stabilisce, tra l’altro, che, “Fatte salve altre disposizioni comunitarie e alle condizioni..fissate (dagli Stati membri) per assicurare una corretta e semplice applicazione delle esenzioni previste…e per prevenire ogni possibile frode, evasione ed abuso”, sono non imponibili al tributo “…le cessioni di beni.., spediti o trasportati, dal venditore o dall’acquirente o per loro conto, fuori dal territorio (di uno Stato membro) ma all’interno della Comunità, effettuate per un altro soggetto passivo…che agisce in quanto tale in uno Stato membro diverso dallo Stato di partenza della spedizione o del trasporto dei beni” (norma recepita nel nostro ordinamento, in linea generale, con l’articolo 41 del Dl n.331/1993, contenente la disciplina degli scambi intracomunitari).
In ambito nazionale, tale ultima norma, al comma 1, lettera a), dispone, tra l’altro, che costituiscono cessioni intracomunitarie, come tali non imponibili al tributo, le cessioni a titolo oneroso di beni, trasportati o spediti nel territorio di altro Stato membro, dal cedente o dall’acquirente, o da terzi per loro conto, nei confronti di cessionari soggetti passivi d’imposta.
In relazione a tali disposizioni, con la sentenza 5142/2016, la Corte di cassazione è stata chiamata a pronunciarsi in merito a una particolare fattispecie avente a oggetto un avviso di accertamento con il quale l’Amministrazione finanziaria nazionale aveva eccepito la mancata applicazione dell’Iva, da parte di un’impresa italiana, in relazione a talune cessioni di autoveicoli nuovi effettuate nell’anno 2003 in regime di non imponibilità nei confronti di cessionari comunitari, con consegna dei beni in Italia a soggetti che avevano utilizzato detti autoveicoli con “targhe prova”, destinate alla circolazione in territorio nazionale. Più in particolare, la contestazione aveva tratto origine dal fatto che, ad avviso dell’Amministrazione finanziaria, il cedente non aveva fornito prove valide circa la natura “intracomunitaria” delle operazioni in questione, conseguente all’effettiva introduzione dei veicoli venduti nei diversi Stati membri di residenza dei propri cessionari.
Investita della questione, la Corte – richiamando a sostegno numerosa giurisprudenza comunitaria (v., tra le varie sentenze citate, la decisione n. C-409/04 del 27 settembre 2007 – ha ricordato, in via generale, che, ai fini della non imponibilità a Iva di una cessione intracomunitaria, il citato articolo 41, comma 1, lettera a), del Dl n. 331/1993 richiede che l’operazione intercorra tra due operatori economici, che si tratti della cessione a titolo oneroso di un bene mobile materiale, che essa comporti l’acquisizione o il trasferimento del diritto di proprietà o di altro diritto reale sul bene medesimo, e che il bene ceduto sia effettivamente trasportato o spedito – indipendentemente dal fatto che il trasporto o la spedizione siano eseguiti dal cedente, dal cessionario o da terzi per loro conto – in altro Stato comunitario (in questi termini v., anche, la circolare del ministero delle Finanze n. 13/1994); perché una determinata operazione possa qualificarsi cessione intracomunitaria, inoltre, i predetti requisiti devono ricorrere congiuntamente, con la conseguenza che il trattamento di non imponibilità, anche in mancanza di uno solo di essi, non può trovare applicazione.
Ciò premesso, con riferimento al caso di specie, poiché – come detto – l’Amministrazione finanziaria aveva contestato l’applicazione del regime di non imponibilità, sostenendo che, per potersi avvalere di tale beneficio, il cedente avrebbe dovuto dimostrare l’effettiva introduzione dei beni nei territori degli Stati membri di appartenenza dei propri cessionari, nella decisione in commento il Collegio supremo ha ritenuto legittimo l’operato del Fisco, ribadendo infatti che l’elemento della movimentazione territoriale dei beni oggetto di cessione da uno Stato membro a quello del soggetto finale (cessionario) deve essere considerato elemento strutturale della fattispecie normativa, da cui non può prescindersi senza disconoscere lo stesso carattere “intracomunitario” dell’operazione.
In tale ottica, pertanto, la Cassazione ha affermato che la consegna in Italia dei beni in questione, posta in essere dall’impresa nazionale cedente nei confronti di soggetti, non meglio identificati, che avevano utilizzato gli autoveicoli con “targhe prova” (come tali destinate a consentire la circolazione dei veicoli solamente sul suolo nazionale), senza avere la stessa impresa nazionale acquisito alcuna documentazione in merito all’effettivo arrivo a destinazione dei beni negli Stati membri dei destinatari (cessionari), di per sé risulta essere sufficiente a escludere la buona fede del comportamento dello stesso soggetto cedente.
Sul punto, infatti, la Corte ha osservato che la norma tributaria in oggetto (il più volte citato articolo 41, comma 1, lettera a, del Dl n. 331) richiede espressamente, quale presupposto per la non imponibilità delle cessioni intracomunitarie, la destinazione effettiva dei beni nel territorio di un altro Stato membro, ponendo a carico di colui che intende avvalersi di tale beneficio (e cioè, appunto, il cedente) l’onere – nella specie, non adempiuto dal medesimo – di fornire la prova dei relativi fatti costitutivi (ad esempio, secondo la Corte, esibendo i documenti di scarico dei beni negli altri Stati membri con la sottoscrizione dei destinatari comunitari dei medesimi, o, anche, in alternativa, esibendo le ricevute di pagamento dei rifornimenti di carburante effettuati dai conducenti dei veicoli presso distributori ubicati al di fuori del territorio di partenza delle merci stesse, e sottoscritte dai titolari degli impianti di rifornimento).
I giudici di legittimità, quindi, hanno sostanzialmente ribadito il principio secondo cui, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti, recuperando l’imposta non versata, la non imponibilità a Iva di una cessione intracomunitaria di beni a titolo oneroso, grava sul cedente – avuto riguardo alla espressa previsione della norma suddetta, secondo cui, appunto, la cessione non imponibile si realizza mediante il trasporto o la spedizione dei beni nel territorio di un altro Stato membro – l’obbligo di fornire la prova dell’effettiva destinazione dei beni ceduti nel territorio dello Stato membro in cui il cessionario è soggetto d’imposta.
In definitiva, pertanto, il Collegio supremo ha concluso nel senso dell’assoggettamento a Iva delle operazioni in questione, dato che, nella specie, il cedente non ha fornito la dimostrazione della propria buona fede, ovvero dei fatti che consentano di escludere una sua partecipazione (o, comunque, una sua consapevolezza) in ordine alla mancata realizzazione della condizione di non imponibilità della operazione di cessione (nella specie, appunto, la mancata movimentazione intracomunitaria delle merci; v. anche, nello stesso senso, sia pure in ordine a una diversa fattispecie fattuale, la decisione n. 26062/2015).
Da parte nostra, si ricorda che, in merito alla concreta individuazione delle tipologie di prova valevoli a qualificare le cessioni di beni come “intracomunitarie”, con la risoluzione n. 477/E del 2008, l’Agenzia delle Entrate ha già in passato affermato il principio secondo cui la prova dell’avvenuto trasferimento fisico del bene in altro Stato comunitario può essere fornita dal cedente mediante idonea documentazione che attesti il trasporto in altro Stato dell’Unione europea diverso da quello di partenza (v. anche, sul punto, la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 345/E del 2007, che elenca espressamente tali tipologie di prova).
Si osserva, infine, che, con riferimento alle ipotesi di trasporti di beni ceduti con la clausola “franco fabbrica”, nell’ambito dei quali la responsabilità del trasporto in altro Stato comunitario ricade contrattualmente sul cessionario, nella stessa sopra citata sentenza della Corte di giustizia n. C-409/04 del 27 settembre 2007 è stato altresì affermato che l’applicabilità del trattamento di non imponibilità non può invece essere negata al cedente in caso (peraltro, obbiettivamente diverso da quello dedotto in controversia) di mancato trasferimento fisico del bene in altro Stato membro dovuto a causa imputabile al cessionario, il che si verifica, ad esempio, quando lo stesso cedente sia in grado di dimostrare di avere “..adottato tutte le misure ragionevoli in suo potere al fine di assicurarsi che la cessione intracomunitaria effettuata non lo conducesse a partecipare ad una frode..”.