L’articolo 33, comma 3-bis del d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163 stabilisce che i Comuni non capoluogo di provincia procedono all’acquisizione di lavori, beni e servizi nell’ambito delle unioni dei comuni di cui all’articolo 32 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ove esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici anche delle province, ovvero ricorrendo ad un soggetto aggregatore o alle province, ai sensi della legge 7 aprile 2014, n. 56.
La stessa disposizione prevede che, in alternativa, gli stessi Comuni possono acquisire beni e servizi attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da Consip S.p.A. o da altro soggetto aggregatore di riferimento. La ratio sottesa alla disposizione è quella di “limitare l’elevata frammentazione del sistema degli appalti pubblici e la concentrazione delle procedure di evidenza pubblica, al fine di ridurre i costi di gestione delle procedure e di far ottenere risparmi di spesa, quantificabili a consuntivo, per le conseguenti economie di scala” (Corte dei Conti, sez. reg. controllo Campania, delib. 1890/2014/PAR del 10 luglio 2014).
Nel ricorso ai modelli, i Comuni non capoluogo devono tenere in considerazione prioritaria le Unioni di Comuni, quando esistenti e quando effettivamente operanti. Le amministrazioni comunali assoggettate all’applicazione della norma possono, in assenza o in caso di mancata operatività delle Unioni, procedere all’acquisizione di lavori, servizi o beni facendo ricorso a Consip o alle centrali di committenza regionali (individuate come soggetti aggregatori), nonché alle stazioni uniche appaltanti presso le Province.
Ulteriore alternativa è offerta ai Comuni non capoluogo dalla possibilità di stipulare tra essi un “accordo consortile”, con il quale organizzare una propria struttura deputata ad acquisire per gli enti aderenti non solo beni e servizi, ma anche lavori, operando a tutti gli effetti come centrale (unica) di committenza.
L’art. 23-ter del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, conv. in l. 11 agosto 2014, n. 114 ha definito la tempistica applicativa delle disposizioni contenute nell’art. 33,. Comma 3-bis del Codice dei contratti pubblici, prevedendo che:
a) esse entrano in vigore il 1º gennaio 2015, quanto all’acquisizione di beni e servizi, e il 1º luglio 2015, quanto all’acquisizione di lavori, stabilendo anche che sono fatte salve le procedure avviate alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto stesso (comma 1);
b) esse non si applicano alle acquisizioni di lavori, servizi e forniture da parte degli enti pubblici impegnati nella mricostruzione delle località indicate nel decreto-legge 28 aprile 2009, n. 39, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 giugno 2009, n. 77, e di quelle indicate nel decreto-legge 6 giugno 2012, n. 74, convertito, con modificazioni, dalla legge 1º agosto 2012, n. 122 (comma 2);
c) i comuni con popolazione superiore a 10.000 abitanti possono procedere autonomamente per gli acquisti di beni, servizi e lavori di valore inferiore a 40.000 euro (comma 3).
Tra i vari modelli proposti dall’art. 33, comma 3-bis del d.lgs. n. 163/2006 per l’acquisizione in forma coordinata di lavori, servizi e forniture, senza dubbio assume particolare rilievo il c.d. “accordo consortile”, in ragione del possibile ricorso allo stesso in quanto strumento particolarmente flessibile. Numerose interpretazioni hanno evidenziato come il termine “accordo consortile” riportato nell’art. 33, comma 3-bis del d.lgs. n. 163/2006 costituisca una espressione atecnica, con la quale il legislatore ha inteso genericamente riferirsi alle convenzioni definibili in base all’art. 30 del d.lgs. n. 267/2000, come strumento alternativo all’unione dei comuni (Corte dei Conti, sez. reg. controllo Umbria, delib. 112/2013/PAR del 5 giugno 2013; sez. reg. controllo Lazio, delib. 138/2013/PAR del 26 giugno 2013.
La norma dispone infatti che, in caso di stipulazione dell’accordo consortile, ci si debba avvalere dei “competenti uffici”, con ciò sottintendendo la volontà di non dare vita ad un organismo autonomo rispetto agli enti stipulanti. Tale opzione interpretativa, oltre a trovare conferma nell’impianto complessivo della norma, si mostra maggiormente conforme alla scelta del legislatore, attuata:
a) da un lato con l’art. 2, comma 28 della legge n. 244/2007, il quale stabilisce che ai fini della semplificazione della varietà e della diversità delle forme associative comunali e del processo di riorganizzazione sovracomunale dei servizi, delle funzioni e delle strutture, ad ogni amministrazione comunale è consentita l’adesione ad una unica forma associativa per ciascuna di quelle previste dagli articoli 31, 32 e 33 del citato testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, fatte salve le disposizioni di legge in materia di organizzazione e gestione del servizio idrico integrato e del servizio di gestione dei rifiuti (nonché integrato dall’art. 1, comma 130-bis della legge n. 56/2014, inserito dall’art. 23, comam1 del d.l. n. 90/2014 conv. in l. n. 114/2014, il quale prevede che non si applica ai consorzi socio-assistenziali quanto previsto dal comma 28 dell’articolo 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, e successive modificazioni);
b) dall’altro con l’art. 2, comma 186, della legge 191/2009, il quale prevede la soppressione dei consorzi di funzioni tra enti locali.
In tale ottica interpretativa, quindi, l’espressione “accordi consortili” deve essere intesa non già come accordi istitutivi di un vero e proprio consorzio (quindi ai sensi dell’art. 31 del d.lgs. n. 267/2000), al quale spetterebbe successivamente la competenza a istituire una propria centrale di committenza, bensì come atti convenzionali volti ad adempiere all’obbligo normativo di istituire una centrale di committenza, in modo da evitare la costituzione di organi ulteriori e con essi le relative spese, risultando peraltro la convenzione per la gestione associata un modello di organizzazione che sembra conciliare, ancor più del consorzio o dell’unione, i vantaggi del coordinamento con il rispetto delle peculiarità di ciascun ente.
L’art. 30 del d.lgs. n. 267/2000 prevede che, al fine di svolgere in modo coordinato funzioni e servizi determinati, gli enti locali possono stipulare tra loro apposite convenzioni, stabilendo i fini, la durata, le forme di consultazione, i loro rapporti finanziari ed i reciproci obblighi e garanzie, mentre l’art. 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241 prevede che le amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune (comma 1).
Da tale combinazione di norme deriva per i Comuni non capoluogo la possibilità di definire il modello organizzativo per l’acquisizione di lavori, servizi e beni in forma congiunta o aggregata mediante una convenzione per la gestione associata della funzione di procurement, tenendo peraltro conto che il comma 4 dell’art. 30 del d.lgs. n. 267/2000 stabilisce che le convenzioni possono prevedere anche la costituzione di uffici comuni che operano con personale distaccato dagli enti partecipanti, ai quali affidare l’esercizio delle funzioni pubbliche in luogo degli enti partecipanti all’accordo, ovvero la delega di funzioni da parte degli enti partecipanti all’accordo a favore di uno di essi, che opera in luogo e per conto degli enti deleganti.
E’ utile far rilevare come alla convenzione possano aderire:
a) le Province, a fronte anche della possibilità, per i Comuni associati, di avvalersi degli uffici delle stesse, come esplicitamente previsto nello stesso art. 33, comma 3-bis del Codice dei contratti pubblici;
b) altre amministrazioni aggiudicatrici, a fronte dell’obiettivo di maggiore razionalizzazione possibile dei processi di acquisto sostenuto dall’art. 9 del d.l. n. 66/2014 conv. in l. n. 89/2014.
L’ambito applicativo dell’art. 33, comma 3-bis del d.lgs. n. 163/2006 è molto esteso e presenta poche deroghe. La principale e più rilevante è data nello stesso testo della disposizione, nella parte in cui consente ai Comuni non capoluogo di operare autonomamente, senza limiti di soglia, per l’acquisizione di beni o servizi mediante gli strumenti elettronici messi a disposizione da Consip o dai soggetti aggregatori di riferimento (le centrali di committenza regionali).
Particolare attenzione deve essere posta anche sulla deroga relativa al ricorso a procedure tradizionali per gli affidamenti entro i 40.000 euro, che prefigura un regime operativo facoltizzante a tale percorso i Comuni con popolazione superiore i 10.000 abitanti e contestualmente determinante per gli altri, con popolazione inferiore a 10.000 abitanti, l’obbligo di ricorso al modello organizzativo prescelto per l’acquisizione in forma aggregata. Sussistono peraltro diversi ambiti di non applicabilità della disposizione, immediatamente rilevabili dall’assenza dell’obbligo di acquisizione del CIG.
La scelta della soluzione organizzativa più idonea per la gestione associata delle acquisizioni di lavori, servizi e forniture di beni è rimessa alla piena autonomia degli enti locali aderenti. In tal senso le convenzioni devono comunque definire:
a) il modello prescelto;
b) i ruoli e le responsabilità rispetto alla struttura organizzativa deputata a gestire l’acquisizione in forma associata;
c) i processi e le interazioni tra i singoli Comuni (e altri enti) associati e la struttura organizzativa deputata alla gestione (operativa) delle acquisizioni in forma aggregata.
Particolare attenzione deve essere posta al ruolo del Responsabile del procedimento ed al suo intervento nelle varie fasi. Spetta inoltre agli enti, sempre in base alla loro autonomia, definire le modalità di utilizzo delle risorse umane nell’ambito della struttura organizzativa operante come Centrale (unica) di committenza. Al fine di consentire ai Comuni non capoluogo di sviluppare in modo coerente alle previsioni del Codice dei contratti i modelli organizzativi del c.d. “accordo consortile”, è stato elaborato uno schema di convenzione, proposto in allegato, che fornisce alle amministrazioni una serie di indicazioni operative.
Lo schema può essere adattato in relazione alle specificità di contesto (anche a fronte delle particolari previsioni di alcune leggi regionali nelle Regioni a Statuto speciale), nonché nell’ipotesi in cui sia utilizzato per definire l’esercizio della funzione nell’ambito del rapporto istituzionale dell’Unione di Comuni. L’utilizzo dello schema di convenzione può determinare problematiche applicative, in ragione delle differenti situazioni di contesto.
Per consentire ai Comuni di risolvere eventuali criticità, ANCI ed IFEL hanno istituito un gruppo di lavoro per rispondere ai quesiti che verranno eventualmente posti.
I quesiti devono essere inviati a: olivieri@anci.it
Le risposte ai quesiti saranno periodicamente pubblicate sul sito ANCI.
Consulta l’allegato: Schema_convenzione_19_gennaio_2015 _acquisizione_beni_servizi e lavori
FONTE: ANCI – Associazione Nazionale Comuni Italiani