giudici di paceLa Corte di cassazione, con la sentenza n. 2605 del 10 febbraio 2016, ha chiarito che la tardiva fatturazione non può essere qualificata come mera violazione formale, perché tale comportamento arreca pregiudizio alle azioni di controllo da parte del Fisco.

 

Il fatto trae origine dalla notifica di due avvisi di accertamento, il secondo sostitutivo del primo, mediante i quali l’Agenzia delle Entrate aveva recuperato a tassazione l’extra premio corrisposto da una società alla propria controllata, perché considerato non inerente rispetto all’attività svolta; in più, era stata rilevata l’errata emissione (temporale) di fatture fiscali, per alcune operazioni imponibili, nei confronti della società controllante.

 

Avverso la pretesa impositiva del Fisco, la società aveva proposto ricorso adducendo, a propria difesa, che il ritardo dell’emissione delle fatture non aveva, di fatto, arrecato alcun danno all’Erario, non andando a incidere sui versamenti trimestrali, incorrendo, in sostanza, in un semplice errore formale, non sanzionabile ai sensi dell’articolo 10-ter del Dlgs 74/2000.

 

La Ctr ha respinto il ricorso della contribuente e legittimato le prove documentali raccolte dagli uffici finanziari chiarendo che, in effetti, la funzione dell’elargizione del premio corrisposto dalla società controllante alla sua controllata fosse del tutto estranea alle politiche commerciali dell’impresa, anzi ha evinto che tale premio era a copertura di movimentazioni finanziarie tra le due società e che la controllata ricevente aveva il bilancio in perdita.

 

Contro la sentenza dei giudici di merito, la società ha presentato ricorso in Cassazione, basando la motivazione su due punti. Secondo la tesi della contribuente, la Ctr non avrebbe correttamente valutato che il mero ritardo nella fatturazione non aveva affatto inciso sul versamento del tributo. L’azione tardiva dell’emissione del documento fiscale avrebbe dovuto essere qualificata come violazione meramente formale, proprio perché le imposte, anche se versate in ritardo rispetto alle scadenze fissate dalla legge, sono ugualmente affluite nel bilancio dello Stato. Dunque, l’unico danno evidenziabile si sarebbe dovuto quantificare nell’ammontare degli interessi dovuti al Fisco per il ritardato versamento.

 

Sul punto, la Corte di cassazione ha affermato che, nel caso di violazioni meramente formali, ai sensi dell’articolo 10 dello Statuto del contribuente, non trovano applicazione le sanzioni tributarie, se la condotta tenuta non comporta un pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e, al contempo, non incide sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo. Nel caso in esame, invece, continua il Collegio di legittimità, “il ritardo nella fatturazione integra una violazione sostanziale e non formale dell’art. 21, quarto comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in quanto arreca pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo, ed è, pertanto, punibile anche quando non determina omesso versamento dell’IVA” (cfr Cassazione n. 27211/2014).

 

Pertanto, secondo la suprema Corte, il ritardo nelle fatturazioni comporta la violazione di un obbligo direttamente e strettamente strumentale alla determinazione e alla riscossione dell’imposta ed è potenzialmente idoneo a ostacolare il controllo, incidendo sulla quantificazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento della stessa. Dunque, è evidente che il ritardo nell’emissione della fatturazione da parte della società controllante non può essere considerato come una mera violazione formale, anche se, come si evince dal caso concreto, di fatto non abbia comportato sottrazione di base imponibile.

 

Per quanto concerne la seconda motivazione del ricorso, riguardante la rilevata indeducibilità delle spese sostenute dalla società controllante al fine di elargire l’extra premio alla controllata, considerato dai giudici di merito come strumento distrattivo di somme conferite a una società in perdita, la ricorrente aveva evidenziato che le modalità di erogazione del premio erano state fissate in base a un regolare contratto sottoscritto precedentemente dalle parti e che a nulla rilevava che fosse privo di data certa.

 

La Corte ha rigettato anche questa parte del ricorso, per difetto di competenza che è demandata al giudice di merito. Infatti, “il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti” (cfr Cassazione, sezioni unite, n. 7931/2013).