Nell’ambito della contestazione di indeducibilità di costi documentati da fatture emesse a fronte di operazioni in tutto o in parte inesistenti, l’incidenza minimale sul volume complessivo degli acquisti delle false fatturazioni, nonché la questione delle differenze tra acquisti e vendite, tra carico e scarico di merce, non è di per sé un argomento idoneo a neutralizzare l’elemento della natura cartiera delle società fornitrici. È quanto affermato dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 23067 dell’11 novembre 2015.
La vicenda processuale
A seguito dell’attività ispettiva condotta dalla Guardia di finanza, che portava all’emersione di un sistema fraudolento di evasione dell’Iva e delle imposte dirette, perpetrata attraverso l’emissione e l’utilizzo di fatture per operazioni commerciali fittizie, l’ufficio delle Entrate procedeva al recupero a tassazione – nei confronti di una società marchigiana – dei costi indebitamente dedotti, in quanto afferenti a operazioni soggettivamente e oggettivamente inesistenti poste in essere con soggetti compiacenti ( “società cartiere”), e della relativa Iva indebitamente detratta. Avverso detto atto impositivo, la parte proponeva ricorso, ottenendone l’accoglimento dalla competente Commissione tributaria provinciale.
L’appello dell’ufficio, contro la pronuncia sfavorevole di prime cure, veniva quindi rigettato dalla Ctr delle Marche, sulla base di un’argomentazione articolata in tre punti:
- in primo luogo, è stata sottolineata la scarsa incidenza sul volume complessivo degli acquisti della contestazione delle false fatturazioni, avuto riguardo al fatturato delle merci vendute
- in secondo luogo, la Ctr ha evidenziato la circostanza che risultano accertate fattispecie di frode fiscale nei confronti di altre società che non annoverano la contribuente quale “società cartiera”
- da ultimo, è stato affermato che non vi è alcuna prova della retrocessione di contanti o assegni di importo pari ai corrispettivi indicati in fattura.
La pronuncia della Cassazione
Con l’unico motivo di ricorso per cassazione, l’Agenzia delle Entrate deduce il vizio di carente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’articolo 360, n. 5, del codice di procedura civile (nella previgente formulazione). In particolare, l’ufficio lamenta come i giudici di secondo grado abbiano omesso di considerare gli elementi di prova desumibili già dal processo verbale di constatazione elevato nei confronti della società contribuente, dal quale si evinceva che la stessa aveva contabilizzato e utilizzato in dichiarazione fatture emesse da soggetti privi dei requisiti di struttura e di mezzi (oltre che di sedi e contabilità) necessari a effettuare le forniture.
Nell’accogliere le doglianze dell’ufficio, i giudici di legittimità evidenziano le contraddizioni in cui è caduta la Ctr nella richiamata pronuncia:
- in primo luogo, non è dato comprendere se siano state contemplate nell’itinerario logico che ha condotto alla decisione “… le circostanze richiamate nel pvc … incentrate sul diverso profilo della natura cartiera delle società fornitrici, oltre che sulle dichiarazioni rese dal legale rappresentante della fornitrice di non aver mai intrattenuto rapporti commerciali con la contribuente”
- inoltre, si evidenzia l’irrilevanza – nell’ambito di una contestazione relativa a costi indeducibili perché afferenti a operazioni inesistenti – del rilievo della natura “non cartiera” della società contribuente, atteso che in tale contesto la stessa figura in qualità di acquirente e non già di fornitrice
- in merito, poi, al riferimento – contenuto nella motivazione della sentenza d’appello – all’incidenza minimale delle false fatturazioni sul volume complessivo degli acquisti, la Corte precisa che questo, così come la connessa questione delle differenze tra acquisti e vendite, tra carico e scarico di merce, “non è di per sé un argomento in grado di neutralizzare l’elemento della natura cartiera delle società fornitrici”, né, del resto, quello della dichiarazione sulla mancanza di rapporti commerciali. Invero, ad avviso della Corte suprema “la Ctr sembra affermare che una significativa fatturazione di acquisti inesistenti si sarebbe dovuta riflettere in uno scompenso evidente fra acquisti (di ammontare decisamente superiore) e vendite”. La mancanza di tale scompenso dimostrerebbe, secondo i giudici del gravame, l’esistenza e l’effettività delle operazioni. Tale conclusione viene tuttavia disattesa dalla Corte che, sul punto, chiarisce come “l’equivalenza fra fatturazioni in entrata e fatturazioni in uscita non da conto … dell’esame della circostanza della natura cartiera delle ditte fornitrici, nonché della dichiarazione sulla mancanza di rapporti commerciali, perché, ove risulti dimostrata … l’inesistenza delle operazioni, quella equivalenza si rivelerebbe puramente cartolare”.
Peraltro, conclude la Corte, neppure la mancata prova della retrocessione dei pagamenti è elemento idoneo a escludere la natura cartiera delle fornitrici, posto che tale questione è indipendente dalla natura reale o fittizia delle stesse.