ricorsoCon le sentenze 26471 e 26472 del 2014, la Corte di cassazione è tornata a occuparsi del tema inerente i requisiti necessari a ritenere integrato l’obbligo motivazionale in relazione ad avvisi d’accertamento motivati per relationem.

 

Nella fattispecie sub iudice, l’avviso d’accertamento, avente a oggetto delle operazioni di compravendita intracomunitaria di autovetture, era stato motivato mediante rinvio espresso al processo verbale di constatazione, in precedenza notificato al contribuente. Detto processo verbale, tuttavia, conteneva un chiaro riferimento a delle indagini esperite “dall’organo collaterale britannico” presso la ditta venditrice, le cui risultanze erano solo in parte richiamate nel processo verbale medesimo.

 

In tale stato di cose, la Corte di cassazione ha ribadito che l’avviso d’accertamento costituisce l’atto con il quale l’Amministrazione finanziaria esercita la propria pretesa tributaria nei confronti del contribuente e che il medesimo deve ritenersi correttamente motivato ogni qualvolta l’Amministrazione abbia posto il contribuente in condizione di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestarne efficacemente l’an e il quantum debeatur.
Immediata conseguenza di siffatto principio è che, se l’avviso d’accertamento fa riferimento a un processo verbale di constatazione della Guardia di finanza, regolarmente notificato al contribuente, l’obbligo motivazionale deve ritenersi integrato, non essendo altresì necessario che a detto avviso vengano allegate anche le prove poste a fondamento del verificarsi di taluni fatti, né riportato il loro contenuto essenziale.

 

Con specifico riferimento ai fatti di causa, la Corte ha evidenziato che il contribuente aveva potuto apprendere il contenuto essenziale dei verbali degli atti ispettivi svolti all’estero sia dal processo verbale della Guardia di finanza (che li richiamava succintamente), sia dall’avviso d’accertamento medesimo; così da poter escludere il configurarsi di qualsivoglia vizio motivazionale nell’atto sub iudice.

 

Del resto, neppure la disciplina comunitaria prevede formalità specifiche di trasmissione e comunicazione ai soggetti interessati dei risultati delle indagini estere, né impone alcun obbligo specifico quanto al contenuto di detta comunicazione poiché, come affermato dalla medesima Corte europea, spetta solo agli ordinamenti nazionali fissare le relative norme (Corte di giustizia 22 ottobre 2013, causa c-276/12).

 

In tale pronuncia venne affermato, difatti, che il diritto dell’Unione, quale risulta in particolare dalla direttiva 77/799/Cee del Consiglio, del 19 dicembre 1977, relativa alla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri nel settore delle imposte dirette e delle imposte sui premi assicurativi, come modificata dalla direttiva 2006/98/Ce del Consiglio, del 20 novembre 2006, e dal diritto fondamentale al contraddittorio, deve essere interpretato nel senso che esso non conferisce al contribuente di uno Stato membro il diritto di essere informato della richiesta di assistenza inoltrata da tale Stato a un altro Stato membro al fine, in particolare, di verificare i dati forniti dallo stesso contribuente nell’ambito della sua dichiarazione dei redditi, né il diritto di partecipare alla formulazione della domanda indirizzata allo Stato membro richiesto né il diritto di partecipare alle audizioni di testimoni organizzate da quest’ultimo Stato.

 

Pertanto, è stato statuito che la direttiva 77/799, come modificata dalla direttiva 2006/98, non disciplina la questione delle condizioni alle quali il contribuente può contestare l’esattezza dell’informazione trasmessa dallo Stato membro richiesto e non impone alcun obbligo particolare quanto al contenuto di quest’ultima.