Con l’odierna pronuncia, resa nelle cause riunite 374 e 375 del 2016, la Corte di giustizia è stata chiamata a pronunciarsi su due diversi interrogativi posti dai giudici nazionali in materia di Iva.
La prima questione verte sull’interpretazione da fornire in merito al requisito, previsto dall’articolo 226, punto 5, della direttiva Iva 2006/112, concernente l’indicazione in fattura dell’indirizzo del soggetto passivo; il giudice del rinvio chiede, in buona sostanza, se la nozione di “indirizzo” debba essere interpretata nel senso che lo stesso debba indicare precisamente il luogo in cui il soggetto svolge la propria attività economica o se sia sufficiente un riferimento al quale lo stesso possa essere semplicemente contattato.
Con la seconda questione, invece, si chiede se e nell’ambito di quali procedimenti un soggetto passivo possa eccepire di essere stato in buona fede in ordine alla correttezza formale delle fatture, quando lo stesso è coinvolto in un caso di evasione o abuso finalizzato alla detrazione dell’Iva assolta a monte.
Essendo, come visto, la decisione resa in cause riunite, le controversie che hanno portato alla deliberazione dei giudici sovranazionali sono due.
La prima (causa C 374/16) vede opposti una società di diritto tedesco commercializzante autovetture e l’amministrazione fiscale del medesimo paese. Nella sua dichiarazione Iva detta società dichiarava cessioni di veicoli all’interno dell’Unione esenti da imposta, e un ingente importo, a titolo di detrazioni di imposta assolta a monte, relativo a numerosi veicoli acquistati da un’altra società tedesca.
Il Fisco nazionale contestava, però, detta dichiarazione Iva e, specificatamente, venivano dichiarati non detraibili gli importi detratti a monte dal momento che la società acquirente veniva considerata una “società di comodo” in quanto priva di una sede effettiva presso l’indirizzo indicato in fattura.
Ne nasceva, dunque, un contenzioso dinanzi alla magistratura tedesca che vedeva soccombere in primo grado la società in quanto i giudici avevano constatato che il riferimento indicato in fattura dall’impresa acquirente era null’altro che una casella postale e non un indirizzo fisico corrispondente a una sede ove venissero effettivamente svolte le attività commerciali dell’impresa stessa.
Dinanzi all’impugnativa sollevata dalla ricorrente, i giudici tedeschi di secondo grado decidevano, però, di sospendere la decisione per domandare ai colleghi sovranazionali se, ai fini del diritto a detrazione previsto dalla normativa Iva comunitaria, il requisito dell’“indirizzo completo” richiesto dall’articolo 226, punto 5, della direttiva 112/2006, può considerarsi soddisfatto da una fattura riportante un indirizzo presso il quale la società è raggiungibile per posta ma in cui non svolge alcuna attività economica.
Nella seconda controversia (causa C-375/16), invece, parti in causa sono sempre il Fisco tedesco e un privato gestore di un autosalone in Germania, che detraeva l’Iva a monte su alcuni veicoli acquistati dall’impresa X, operante solamente via internet.
L’amministrazione, infatti, contestava la detrazione a monte operata dal contribuente in quanto l’indirizzo in fattura indicato dalla società X era errato, perché relativo solamente a una casella postale, che non dimostrava neanche la stabile organizzazione in Germania della società venditrice.
Ne nasceva un contenzioso che vedeva questa volta soccombere in primo grado il Fisco tedesco. Il giudice, infatti, aveva ritenuto che l’indicazione dell’indirizzo nell’ambito di una fattura, non implicasse l’esercizio in loco dell’attività economica e che alla luce del progresso tecnico e delle mutate prassi commerciali, la preesistente giurisprudenza nazionale doveva considerarsi ormai superata.
L’amministrazione fiscale impugnava la decisione dinanzi ai giudici di seconde cure che decidevano di sospendere il giudizio per chiedere alla Corte di giustizia se l’articolo 226, punto 5, della direttiva Iva presupponga l’indicazione di un recapito del soggetto passivo presso il quale esso svolga effettivamente le proprie attività economiche e se in caso di risposta negativa sia sufficiente o meno un recapito di casella postale, e ancora, se in assenza dei requisiti formali per l’emissione delle fatture specificati all’articolo 226 richiamato, sia già sufficiente, ai fini della concessione della detrazione dell’imposta versata a monte, l’insussistenza di evasione fiscale ovvero che il soggetto passivo non fosse al corrente di una frode né potesse esserlo.
Passando ad analizzare il contesto normativo di riferimento e iniziando con il diritto comunitario, vediamo come l’articolo 168 della direttiva Iva 112/2006 prevede per il soggetto passivo il diritto, nello Stato membro in cui effettua operazioni legate alla sua attività, di detrarre dall’importo dell’imposta di cui è debitore l’Iva dovuta o assolta in tale Paese, per i beni che gli sono o gli saranno ceduti e per i servizi che gli sono o gli saranno resi da un altro soggetto passivo, a condizione di essere in possesso di una valida fattura redatta secondo le indicazioni della direttiva medesima. In proposito, il successivo articolo 226 della direttiva Iva prevede espressamente che nelle fatture emesse sono elementi obbligatori, tra l’altro, il nome e l’indirizzo completo del soggetto passivo e dell’acquirente o del destinatario (articolo 226, punto 5).
Per quel che riguarda, invece, il diritto nazionale in materia, ai sensi dell’articolo 14 della legge tedesca relativa all’imposta sulla cifra d’affari, costituisce una fattura qualsiasi documento emesso per regolare una cessione o altra prestazione e, obbligatoriamente, lo stesso deve riportare, tra glia altri elementi, il nome e l’indirizzo completo del fornitore e del cliente. In ragione del successivo articolo 15 l’imprenditore è legittimato a detrarre, come imposta assolta a monte, quella dovuta per legge per cessioni di beni o prestazioni di servizi eseguite da un altro operatore per la sua azienda. Il diritto a tale procedura è subordinato al possesso da parte dell’imprenditore stesso di fattura redatta secondo i requisiti previsti dall’articolo 14.
Chiamati a pronunciarsi sulla questione, i magistrati sovranazionali hanno innanzitutto ricordato come, per unanime giurisprudenza, ai fini dell’interpretazione di una disposizione di diritto dell’Unione, si deve tener conto non soltanto del tenore letterale della stessa, ma anche e soprattutto del suo contesto e degli scopi dalla medesima perseguiti.
Per quel che concerne l’articolo 226, punto 5, della direttiva Iva, che come abbiamo visto richiede l’indicazione in fattura dell’indirizzo del soggetto passivo, la Corte ha rilevato come il termine stesso “indirizzo” (che nella trasposizione normativa in alcuni Pesi membri è stato fatto seguire dall’aggettivo “completo”) ha una accezione talmente generica che fa propendere per l’interpretazione che vuole che al suo interno sia ricompresa ogni tipologia di indirizzo, ivi compresa una semplice casella postale, a condizione ovviamente che alla stessa il soggetto possa essere effettivamente contattato.
Inoltre, in merito alla redazione formale delle fatture, i giudici di Lussemburgo hanno chiarito come non sia permesso agli Stati membri prevedere maggiori e più stringenti obblighi rispetto a quelli previsti dalla direttiva Iva, con la diretta conseguenza che non è possibile per il singolo Stato membro subordinare il diritto a detrazione Iva al rispetto di condizioni concernenti il contenuto delle fatture diverse e ulteriori rispetto a quelle previste dalle disposizioni comunitarie in materia.
Ricordato poi come l’indicazione dell’indirizzo del soggetto che emette la fattura, unitamente al suo nome e al suo numero d’identificazione Iva, ha come scopo primario quello di identificare con precisione il contribuente permettendo così all’Amministrazione fiscale di effettuare gli eventuali controlli di competenza, la Corte ha evidenziato come per raggiungere tale finalità non sia affatto necessario prevedere l’obbligo di indicare l’indirizzo del luogo in cui il soggetto che emette la fattura eserciti effettivamente la propria attività economica.
Sulla base delle affermazioni e delle considerazioni innanzi viste, i giudici comunitari sono arrivati alla chiara conclusione in base alla quale per l’esercizio del diritto alla detrazione dell’Iva da parte del destinatario dei beni o dei servizi, non è richiesto che le attività economiche del fornitore siano esercitate per forza di cose all’indirizzo indicato nella fattura emessa da quest’ultimo.
Gli interrogativi principali sollevati dalla magistratura tedesca hanno così trovato risposta nel principio emesso dalla Corte per cui “l’articolo 168, lettera a), e l’articolo 178, lettera a), della direttiva IVA, in combinato disposto con l’articolo 226, punto 5, di tale direttiva, devono essere interpretati nel senso che gli stessi ostano a una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nei procedimenti principali, che subordina l’esercizio del diritto di detrazione dell’IVA assolta a monte all’indicazione sulla fattura dell’indirizzo del luogo in cui il soggetto che emette quest’ultima esercita la sua attività economica”.
Infine, i magistrati sovranazionali, visto il tenore dell’interpretazione sopra fornita hanno ritenuto di non rispondere agli ulteriori quesiti loro posti dai giudici tedeschi.