La Corte d’Appello di Brescia, con la sentenza n. 1620/2023, ha fornito alcune indicazioni sul tema del canone per le antenne e la giurisdizione relativa agli impianti su aree pubbliche.


In modo particolare la decisione chiarisce l’applicazione del cosiddetto “canone antenne” previsto per le strutture di comunicazione elettronica e il ruolo dei beni pubblici e privati in tale contesto.

Il caso

La controversia è sorta a seguito di un’ingiunzione di pagamento emessa da un comune che aveva richiesto a una società il pagamento per il canone di locazione di un terreno. Questa ingiunzione era basata sull’art. 2 del Regio Decreto 14 aprile 1910, n. 639, e riguardava gli anni 2021 e 2022.

Il Tribunale di Cremona, con sentenza n. 145/2023, ha annullato tale richiesta e ridotto l’importo dovuto , come previsto dall’art. 1 comma 831-bis della Legge n. 160/2019, stabilendo che il canone applicabile era quello previsto per gli impianti di comunicazione elettronica.

Il comune  ha impugnato questa decisione, sostenendo che la normativa applicabile fosse quella relativa ai beni pubblici e non ai beni facenti parte del patrimonio disponibile, come stabilito dal Decreto Legislativo 259/2003. In particolare, il Comune ha contestato l’interpretazione del Tribunale che applicava il canone ridotto previsto dalla legge del 2019 per gli impianti di comunicazione elettronica, sostenendo che tale disposizione si applicasse esclusivamente alle aree demaniali e indisponibili, e non ai beni del patrimonio disponibile.

Indicazioni sul Canone antenne e la giurisdizione degli impianti

La Corte d’Appello di Brescia ha dovuto affrontare due questioni principali.

In primo luogo, la compatibilità tra l’art. 93 del D.Lgs. n. 259/2003, ora sostituito dall’art. 54, e la normativa sui beni pubblici e privati. L’art. 93 stabilisce che le pubbliche amministrazioni non possono imporre oneri aggiuntivi non previsti per legge per gli impianti di comunicazione. Tuttavia, l’appellante ha sostenuto che questa norma si riferisca solo ai beni demaniali e indisponibili, escludendo quindi i beni facenti parte del patrimonio disponibile, che vengono trattati come beni privati.

In secondo luogo, il Comune ha contestato la decisione del Tribunale di Cremona di applicare il canone ridotto previsto per gli impianti senza occupazione permanente del suolo comunale, asserendo che tale riduzione non fosse applicabile ai beni del patrimonio disponibile. Inoltre, è stata sollevata la questione se, in caso di nullità della clausola sul canone, l’intero contratto dovesse essere dichiarato nullo, e se il giudice avesse omesso di pronunciarsi sulla domanda subordinata del Comune.

La Corte d’Appello ha riscontrato che la destinazione dell’area a fini di locazione per impianti di telecomunicazione non conferisce automaticamente alla stessa la qualifica di bene pubblico o patrimonio indisponibile. La giurisprudenza consolidata stabilisce che un bene non diventa pubblico solo perché appartiene a un ente pubblico, ma deve esserci un atto amministrativo specifico che ne definisca la destinazione a servizio pubblico.

In conclusione, la Corte ha confermato che il canone applicabile è quello previsto per gli impianti di comunicazione elettronica, e non quello più elevato richiesto dal Comune. Questo riconoscimento riflette una visione più moderna e coerente con le recenti normative, che privilegia un trattamento uniforme per le strutture di comunicazione elettronica, indipendentemente dalla loro collocazione su beni pubblici o privati.

Il testo della sentenza

Qui il documento completo.