bonus qualitativiCostituiscono la remunerazione di attività collaterali (marketing o promozione di marchi) a quella tipicamente svolta dal concessionario e devono essere tassati ordinariamente.


 

La Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 16128 del 28 giugno 2017, è tornata su un tema sempre molto controverso: il corretto trattamento fiscale in caso di bonus qualitativi. Nella fattispecie in esame, il contribuente, esercente attività di concessionario auto, impugnava per cassazione la decisione della Ctr dell’Abruzzo che, in riforma della decisione di primo grado, aveva ritenuto legittima la ripresa per l’omessa fatturazione dei premi corrisposti dalla casa madre automobilistica alla concessionaria auto per la ricorrenza di un rapporto sinallagmatico rispetto al raggiungimento degli standard contrattuali.

 

Il ricorrente lamentava, in particolare, insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, identificato nell’esistenza in capo al concessionario di una obbligazione di fare e di un rapporto di corrispettività tra bonus e prestazione dei servizi, nonché violazione e falsa applicazione degli articoli 1362, 1363 e 1371 del codice civile, in ordine all’interpretazione degli atti negoziali tra concedente e concessionario.

 

La contestazione scaturiva, infatti, dal mancato assoggettamento al regime Iva dei bonus che la casa produttrice di autoveicoli (attraverso il distributore nazionale) aveva corrisposto secondo contratto, somme che, per l’amministrazione finanziaria, si configuravano come corrispettivi per la prestazione di servizi, in quanto tali autonomamente fatturabili ai sensi dell’articolo 3, Dpr 633/1972.

 

Il contribuente, per contro, contestava tale qualificazione, ritenendo che l’erogazione, avendo a oggetto somme di denaro in assenza di corrispettività, non fosse assoggettata a Iva ex articolo 2 del medesimo Dpr.

 

La pronuncia

 

Secondo la Corte suprema, il ricorso è infondato. I giudici di legittimità ricordano infatti che, in materia di bonus o premi occorre distinguere tra “bonus quantitativi”, ossia erogazioni corrisposte a fronte dell’attività tipicamente svolta dal cliente/concessionario e incidente direttamente sul volume d’affari dell’impresa fornitrice/concedente, e “bonus qualitativi”, rispetto ai quali le erogazioni sono invece corrisposte non a fronte dell’attività tipicamente svolta dal cliente/concessionario, ma in relazione ad attività collaterali e distinte dalla prestazione principale, quali azioni dirette all’espansione delle vendite, lo svolgimento di attività di marketing ovvero attività legate, direttamente o indirettamente, alla fidelizzazione della clientela.

 

Oltre a questi casi, la prassi operativa ha poi individuato anche i cosiddetti “bonus misti”, per i quali l’erogazione è condizionata al raggiungimento di obiettivi di natura sia quantitativa che qualitativa (Cassazione, pronuncia 11398/2015).

 

La prima ipotesi (bonus quantitativi), rileva la Corte, si concretizza, dunque, in una remunerazione della medesima attività svolta in via ordinaria, derivandone l’applicazione dell’articolo 26, secondo comma, Dpr 633/1972, ossia del trattamento riservato agli abbuoni o sconti. Analoga conclusione vale per la terza ipotesi (bonus misti), ove il riconoscimento dello sconto sia collegato a obbligazioni qualitative non autonome ma funzionali alla realizzazione dell’obiettivo quantitativo (Cassazione, pronuncia 11398/2015).

 

Con riferimento alla seconda ipotesi (bonus qualitativi), invece, la prestazione è soggetta al regime ordinario qualora sussista un rapporto di corrispettività tra la somma erogata dal fornitore dei beni e lo svolgimento, da parte del percettore, di specifiche obbligazioni di fare, riconducibili alla categoria dei servizi, la cui definizione va ricercata nell’articolo 3, primo comma, Dpr 633 richiamato, che dispone “Costituiscono prestazioni di servizi le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d’opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere quale ne sia la fonte“.

 

La Ctr, nel caso all’esame della Corte, sulla base delle disposizioni dei contratti di concessione di vendita, aveva dunque ritenuto che “il bonus non può essere ascritto ad un premio che il concedente attribuisce al concessionario indipendentemente dalla qualità della attività da lui prestata nell’ambito del rapporto concessorio, ma costituisce il corrispettivo di una prestazione che il concessionario ha reso in adempimento di precisi obblighi di fare individuati contrattualmente in una serie di valori di riferimento assegnati agli standards organizzativi“, atteso che:

 

 “l’osservanza delle condizioni – standards organizzativi del concessionario – indicate nell’allegato 4” costituisce – ai sensi dell’articolo 1 del contratto – il “presupposto fondamentale del contratto
 le attività richieste nell’allegato 4, inoltre, sono state identificate “nello svolgimento di una corretta ed idonea attività commerciale anche al fine di migliorare l’immagine aziendale del concessionario e contestualmente della marca … il concedente consegna un fascicolo denominato standard organizzativi del concessionario
 i bonus per standard organizzativi sono attribuiti “a condizione che il concessionario abbia realizzato gli standard previsti nel contratto di concessione come da suo allegato 4
 l’esistenza di una ipotesi di risoluzione senza preavviso all’articolo 20, punto 6, del contratto ove indica “il mancato conseguimento per più di una volta e in notevole misura degli obbiettivi di vendita o di mercato da parte del concessionario“;

 

precisando poi la stessa Ctr che tali obiettivi “non possono essere che quelli indicati negli standards del concessionario, i cui valori di riferimento una volta realizzati danno diritto al pagamento del bonus qualitativo“, senza essere collegati “alla sola vendita degli autoveicoli” attesa l’esplicita finalità, racchiusa nel richiamato allegato 4, “di migliorare l’immagine del concessionario … e della marca“.

 

La motivazione e le argomentazioni logiche della Commissione tributaria regionale, evidenzia la Cassazione, si articolavano, dunque, su un duplice livello:

 

 

  1. l’accertata relazione di corrispettività tra i bonus riconosciuti e i risultati concernenti standard qualitativi richiesti alla concessionaria e dipendenti dallo svolgimento di specifiche attività (qualificate fiscalmente come servizi)
  2. l’assunzione in contratto dell’impegno da parte della concessionaria della esecuzione di dette attività, ritenute pertanto oggetto di obbligazione, risultando sanzionato con clausola risolutiva espressa l’inadempimento (grave e ripetuto).

 

 

E tutti tali elementi venivano riconosciuti dalla Ctr come indicativi della pattuizione di bonus qualitativi in senso proprio, che dovevano, pertanto, essere fatturati dal concessionario. La decisione di merito, secondo la Corte, era dunque rispettosa dei canoni ermeneutici, avendo ancorato la soluzione al tenore letterale delle disposizioni contrattuali e, prioritariamente, all’articolo 1 che definiva, in termini inequivoci, che “il presupposto fondamentale del presente contratto è l’osservanza delle condizioni – standard del concessionario – indicate nell’allegato 4“.

 

La fattispecie dei bonus qualitativi ha dato adito, nel tempo, a un vasto contenzioso. Alla luce dell’andamento giurisprudenziale, ciò che rileva sono, comunque, le specifiche circostanze fattuali relative a ogni caso concreto e la effettiva sussistenza dei presupposti per la (efficace) contestazione della pretesa tributaria. È usuale, infatti, che, nel settore automobilistico, la casa produttrice riconosca ai propri concessionari di vendita, al raggiungimento di determinati obiettivi, ovvero a fronte dell’adeguamento delle rispettive aziende a determinate caratteristiche esteriori e organizzative, somme a titolo di bonus, che, come detto, possono essere di tipo quantitativo o qualitativo (o anche misto).

 

I primi rappresentano, in particolare, gli incentivi erogati dalla società concedente per far realizzare al concessionario un maggior numero di vendite, concretizzandosi in una riduzione dei prezzi dei prodotti già forniti, al momento del raggiungimento di un determinato obiettivo di vendita. Tali benefici attengono, dunque, all’attività di compravendita normalmente svolta e sono, quindi, da considerarsi come “abbuoni o sconti“, per i quali la società concedente potrà emettere “note di accredito” a favore del concessionario sulle fatture inizialmente emesse tra fornitore e concessionario o comunque, più semplicemente, tali sconti costituiscono, di fatto, cessioni di denaro al di fuori dell’applicazione dell’Iva.

 

I bonus qualitativi costituiscono, invece, incentivi che la società concedente utilizza al di fuori dell’attività tipicamente svolta dal concessionario, a fronte dello svolgimento di altre attività, quali, per esempio, attività promozionali e di marketing. Si tratta di somme che vengono, quindi, erogate al concessionario in contropartita dell’effettuazione (prevista quale specifica obbligazione contrattuale) di prestabilite prestazioni di servizi, comunque, riconducibili a un interesse della società che, di fatto, utilizza tale strumento per attuare le proprie strategie di marketing e promozione dei marchi.

 

Se così è, per questi bonus è, dunque, chiaramente individuabile l’esistenza di un sinallagma: le somme corrisposte a tale titolo costituiscono, infatti, per il concessionario il corrispettivo per i maggiori costi organizzativi e finanziari sostenuti per l’espletamento delle medesime attività. I bonus “qualitativi” costituiscono, dunque, la remunerazione di attività che il concessionario svolge in aggiunta a quella principale di compravendita e, pertanto, i relativi importi sono da assoggettare a Iva, in quanto costituenti il corrispettivo di specifiche obbligazioni di fare, ai sensi dell’articolo 3 del Dpr 633/1972.

 

Laddove, dunque, sussistano i suddetti presupposti contrattuali, il recupero dell’amministrazione finanziaria sarà corretto, venendo in particolare smentita la linea difensiva di solito adottata dai contribuenti oggetto di accertamento, secondo la quale, nel rapporto tra il rivenditore e la casa madre, vi sarebbe un unico scopo prevalente e assorbente rispetto a tutte le obbligazioni reciproche che da esso derivano, e le singole obbligazioni scaturenti dal rapporto di concessione tra la casa madre e la concessionaria si riferiscono tutte, comunque, alle cessioni di beni (autovetture), cioè all’attività tipica della concessionaria.