beni immobili strumentaliI contratti di locazione di beni immobili strumentali soggetti a Iva possono essere legittimamente sottoposti al versamento dell’imposta di registro? Gli eurogiudici forniscono importanti chiarimenti.


Ecco le conclusioni cui sono giunti i giudici europei, a seguito di una domanda di pronuncia pregiudiziale sull’interpretazione dell’articolo 401 della direttiva 2006/112/Ce, nell’ambito di una controversia tra l’Amministrazione finanziaria italiana e una società attiva nel settore immobiliare, relativa al pagamento dell’imposta di registro su contratti di locazione di beni immobili strumentali, e relative pertinenze, soggetti anche all’imposizione ai fini Iva.

 

La Corte di giustizia Ue è intervenuta sull’ipotesi di contrasto della normativa nazionale con l’ordinamento comunitario: in discussione vi era la legittimità dell’assoggettamento ai fini dell’imposta di registro, nella misura dell’1%, di contratti di locazione già sottoposti a Iva.

 

A partire dal 2006, infatti, a seguito della modifica introdotta dal Dl 223/2006 all’articolo 40 del Dpr n. 131 del 1986, le locazioni di beni immobili strumentali devono essere registrate in termine fisso e assoggettate al pagamento dell’imposta di registro nella misura proporzionale dell’1%, indipendentemente dal regime di imponibilità ai fini Iva dei relativi contratti. Lo stesso Dl 223/2006 ha introdotto all’articolo 5 comma 1della Tariffa allegata al Dpr 131/1986 la lettera a-bis), per cui sono soggetti a registrazione in termine fisso nella misura dell’1% le locazioni e gli affitti “quando hanno per oggetto immobili strumentali, ancorché assoggettati all’imposta sul valore aggiunto, di cui all’articolo 10, primo comma, numero 8), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633”.

 

Procedimento principale e questione pregiudiziale

 

La società ricorrente, in sede di registrazione di una serie di contratti di locazione riguardanti immobili strumentali, aveva versato l’imposta nella misura proporzionale dell’1% del canone annuo, come previsto dalle disposizioni in materia di imposta di registro. Successivamente, ha prodotto un’istanza di rimborso per l’intero importo del tributo versato, in quanto riteneva l’assoggettamento all’imposta di registro dei canoni già gravati da Iva incompatibile con l’articolo 401 della Direttiva n. 2006/112/Ce, che vieta agli Stati membri di istituire o mantenere qualsivoglia imposta, diritto o tassa che abbia il carattere di imposta sul volume di affari.

 

Davanti al silenzio-rifiuto dell’amministrazione finanziaria alla richiesta di rimborso, la società ha presentato ricorso dinanzi ai giudici di primo grado che hanno ritenuto fondate le sue doglianze, affermando che l’imposta di registro avesse natura di imposta sul volume d’affari poiché condivide con l’Iva il principio di proporzionalità e la stessa base imponibile, data dall’ammontare del canone di locazione, e si differenzia dall’Iva solamente per il fatto che, non essendo presente un meccanismo di detrazione, è priva del carattere di neutralità.

 

L’Agenzia ha impugnato la sentenza dinanzi alla Commissione tributaria di secondo grado di Bolzano, sostenendo che l’imposta di registro in argomento, quale tassa d’atto e assolutamente estranea alla nozione di “volume d’affari”, assoggetta a imposta determinati atti giuridici in quanto indicativi di capacità contributiva.

 

Considerata anche l’assenza di una giurisprudenza di legittimità sull’argomento,  con l’ordinanza n. 50 del 25 ottobre 2016 la Ctr ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte europea la questione pregiudiziale per cui “l’articolo 401 della direttiva 2006/112/Ce (…), debba essere interpretato nel senso che l’imposta sul valore aggiunto e l’imposta di registro (a carico dei contratti di locazione di beni strumentali (…) possono essere riscosse in modo cumulativo ovvero che siffatto ultimo tributo abbia il carattere di un’imposta sul volume di affari”.

 

Decisione del giudice europeo

 

Sulla questione, con l’ordinanza del 12 ottobre 2017 emessa nell’ambito della causa C-549/16, i giudici europei hanno concluso che “l’articolo 401 della direttiva Iva dev’essere interpretato nel senso che esso non osta ad un’imposta di registro proporzionale che colpisce i contratti di locazione di beni strumentali, quale quella prevista dalla normativa nazionale di cui al procedimento principale, anche quando detti contratti siano parimenti soggetti ad Iva”.

 

La Corte di giustizia, richiamando giurisprudenza comunitaria consolidata, ha in primo luogo ricordato che l’articolo 401 della direttiva Iva consente il mantenimento o l’istituzione, da parte di uno Stato membro, di imposte, diritti e tasse gravanti sulle forniture di beni, sulle prestazioni di servizi o sulle importazioni solo se non hanno natura di imposte sul volume d’affari (per tutte, la sentenza dell’l1 ottobre 2007, C-283/06 e C-312/06). Per valutare, quindi, se un’imposta, un diritto o una tassa abbiano la natura di imposta sul volume d’affari occorre, in particolare, verificare se essi abbiano l’effetto di danneggiare il funzionamento del sistema comune dell’Iva, gravando sulla circolazione dei beni e dei servizi e colpendo le operazioni commerciali in modo analogo all’Iva.

 

La Corte ha precisato che le caratteristiche essenziali dell’Iva sono quattro. Specificamente: la generalità di applicazione alle operazioni aventi ad oggetto beni e servizi; la proporzionalità al prezzo percepito dal soggetto passivo quale contropartita dei beni e servizi forniti; l’applicazione in ciascuna fase del procedimento di produzione e di distribuzione, compresa quella della vendita al minuto, a prescindere dal numero di operazioni effettuate in precedenza; la possibilità di detrarre dall’imposta dovuta gli importi pagati in occasione delle precedenti fasi del processo, in modo tale che il tributo si applichi, in ciascuna fase, solo al valore aggiunto della fase stessa e, in definitiva, il peso dell’imposta resti a carico del consumatore finale.

 

In relazione alla prima caratteristica fondamentale dell’Iva, ossia l’applicazione generalizzata dell’imposta alle operazioni su beni o servizi, i giudici hanno affermato che l’imposta di registro oggetto della disputa non costituisce un’imposta generale, in quanto concerne solamente una categoria ristretta di operazioni, ovvero unicamente i contratti di locazione di beni strumentali, quindi non è destinata a gravare su tutte le operazioni economiche nello Stato membro considerato.

 

Già sulla base di questa prima considerazione i giudici europei hanno concluso che, in questo caso, l’imposta di registro non presenta le caratteristiche essenziali dell’Iva e non è quindi interessata dal divieto previsto all’articolo 401 della direttiva Iva.

 

Peraltro, evidenziano ancora i giudici, l’imposta non viene percepita come parte di un processo di produzione e di distribuzione né può essere detratta dagli importi versati nel corso delle fasi precedenti. Nel caso in esame, infatti, non vi è alcuna possibilità di detrazione dall’imposta versata in ragione di un’eventuale operazione anteriore.

 

Sottolineando, infine, che il diritto dell’Unione ammette l’esistenza di regimi fiscali in concorrenza con l’Iva, la Corte ha dichiarato quindi che l’imposta di registro sui contratti di locazione di immobili a uso strumentale può essere legittimamente mantenuta dallo Stato italiano.

 

Appare pertanto corretta la posizione adottata dall’Amministrazione finanziaria laddove si è opposta alla restituzione dell’imposta versata.