L’eventuale cessione di immobili, effettuata dai soci a terzi in un momento successivo all’avvenuta assegnazione agevolata, non è in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario; in altre parole, non si configura un’ipotesi di abuso del diritto.
Nel momento in cui viene aperta la fase liquidatoria, gli immobili di proprietà dell’impresa possono rientrare nel favorevole regime di estromissione introdotto dalla Stabilità 2016.
Questo il chiarimento fornito dall’Agenzia delle Entrate con la risoluzione 93/E del 17 ottobre 2016.
Il caso
A chiedere il parere sulla liceità dell’operazione è stata una società esercente attività di commercio e rimessaggio di roulotte e camper, proprietaria di un terreno su cui si trovano un ufficio e un capannone. Per tali immobili, ha ricevuto una proposta di acquisto nel momento in cui i soci stavano decidendo di cessare l’attività; questi ultimi, tuttavia, sono intenzionati a rifiutare l’offerta, in quanto la conseguente rilevante plusvalenza comporterebbe anche in capo a loro un considerevole onere fiscale.
Ritiene, piuttosto, di poter fruire del regime agevolato introdotto dalla Stabilità 2016 (articolo 1, commi 115-120, legge 208/2015) per l’estromissione degli immobili dalle imprese, che richiede il pagamento di una meno onerosa imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell’Irap (è pari all’8% ovvero al 10,5%, in caso di società non operative o in perdita sistematica in almeno due dei tre periodi di imposta precedenti a quello in corso al momento dell’assegnazione). In pratica, la società, che sta per liquidare l’attività cedendo tutti i beni e risolvendo tutti i contratti, rendendo in tal modo gli immobili non più strumentali per destinazione, procederebbe alla loro assegnazione agevolata ai soci al valore di mercato, pagando la prescritta imposta. Successivamente, i soci venderebbero gli immobili all’acquirente che si era proposto di comprarli dalla società, realizzando, in questo modo, una plusvalenza imponibile inferiore, da calcolare sulla eventuale differenza tra il corrispettivo ricevuto e il valore di assegnazione.
Agendo in questo modo, chiede la società, c’è il rischio che l’operazione possa configurare una ipotesi di abuso del diritto?
Il parere dell’Agenzia
La risposta dell’Agenzia, negativa, prende le mosse dal dettato normativo dell’articolo 10-bis della legge 212/2000, secondo il quale, per poter considerare abusiva un’operazione, l’amministrazione finanziaria deve provare che si verificano congiuntamente tre presupposti:
- la realizzazione di un vantaggio fiscale “indebito”, rappresentato da benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o i principi dell’ordinamento tributario
- l’assenza di sostanza economica dell’operazione consistente “in fatti, atti e contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali”
- l’essenzialità del conseguimento di un vantaggio fiscale.
Per quanto riguarda invece l’agevolazione per l’estromissione dei beni, la risoluzione sottolinea che nell’ipotesi di società in fase di liquidazione (come nel caso esaminato), in cui non è esercitata alcuna attività d’impresa, gli immobili possono rientrarvi, in quanto scopo della norma è favorire la fuoriuscita dei beni non direttamente utilizzati nell’espletamento delle attività imprenditoriali. La successiva eventuale cessione degli immobili fatta dai soci non è vietata dalla legge: il risparmio di imposta che ne deriva non è indebito, poiché la ratio del regime agevolativo è proprio quella di estromettere dal regime di impresa, a condizioni fiscali più vantaggiose di quelle ordinarie, gli immobili al momento non utilizzabili con profitto; gli stessi potrebbero essere nuovamente immessi nel mercato, movimentando un mercato il cui andamento non è certo brillante.
Pertanto, il vantaggio fiscale che verrebbe a realizzarsi con la prospettata operazione non è in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario: in altre parole, non si configura un’ipotesi di abuso del diritto.