È consentito chiedere il rimborso del tributo indebitamente versato, ma non quando il pagamento sia stato preceduto da un provvedimento impositivo non contestato dal contribuente.
L’omessa tempestiva impugnazione dell’avviso di liquidazione notificato dall’ufficio determina la definitività della pretesa tributaria, con conseguente preclusione per il contribuente del diritto a chiedere il successivo rimborso dell’imposta ritenuta erroneamente versata in esecuzione dello stesso avviso. Il principio è stato affermato dalla Corte di cassazione, nella sentenza n. 17617 del 5 settembre 2016, emessa con riguardo a una specifica controversia concernente l’ambito applicativo della norma di carattere transitorio contenuta nell’articolo 79 del Testo unico dell’imposta di registro in linea con i pronunciamenti adottati in sede di legittimità sulla questione controversa.
La vicenda processuale
Il contenzioso esaminato dalla suprema Corte trae origine dall’impugnazione del silenzio rifiuto dell’ufficio, in ordine a una richiesta di rimborso dell’imposta di registro proporzionale dell’1% versata da una società in relazione a una delibera di abbattimento e ricostituzione del capitale sociale per perdite (articolo 4 della Tariffa, parte I, allegata al Dpr 634/1972, all’epoca vigente). In particolare, la società contribuente aveva versato l’imposta nel luglio del 1983, a seguito di notifica da parte dell’ufficio di apposito avviso di liquidazione, non impugnato; successivamente, nel gennaio del 1984, la stessa società aveva chiesto il rimborso dell’imposta versata sul presupposto di una errata applicazione della predetta disposizione.
Il giudizio di primo grado, instaurato anch’esso nel gennaio 1984, vedeva soccombente la società, mentre la Commissione tributaria di secondo grado, in riforma della decisione, accoglieva l’appello di parte alla luce del combinato disposto degli articoli 4 della Tariffa, parte I, e 79 del Dpr 131/1986, entrato in vigore dal 1° luglio 1986 nelle more del contenzioso.
La Commissione tributaria centrale, interpellata dall’ufficio, confermava la spettanza del rimborso, respingendo la tesi dell’Amministrazione finanziaria secondo cui la mancata impugnazione dell’originario avviso di liquidazione dell’imposta aveva determinato l’inapplicabilità delle disposizioni più favorevoli nel frattempo intervenute.
Avverso la decisione, l’ufficio ha proposto ricorso in Cassazione eccependo la violazione di legge.
La decisione di legittimità
La Corte di cassazione, con la pronuncia in argomento, aderendo a un orientamento consolidato, ha ritenuto fondata la censura mossa dall’Amministrazione finanziaria in relazione alla specifica questione sollevata, concernente l’ambito applicativo della “clausola di salvaguardia” (articolo 79, Dpr 131/1986), che fa salvo il trattamento più favorevole introdotto dal Dpr 131/1986 rispetto a quello precedentemente previsto, con possibilità di richiedere il rimborso dell’imposta di registro già pagata; ciò, tuttavia, a condizione che – nel caso in cui il pagamento sia stato preceduto da un provvedimento impositivo ritualmente notificato al contribuente – lo stesso sia stato tempestivamente impugnato alla data di entrata in vigore delle nuove disposizioni.
La sentenza in argomento, che ha posto fine a un contenzioso di lunga data, si segnala per l’affermazione secondo cui la pronuncia della Commissione tributaria centrale ha eluso un principio generale “che risalta dal ribadito indirizzo di legittimità”.
La Corte di cassazione, infatti, ha più volte affermato che la mancata impugnazione dell’avviso di liquidazione – che costituisce atto autonomamente impugnabile ai sensi dell’articolo 19 del Dlgs 546/1992 (e in precedenza dell’articolo 16 del Dpr 636/1972) – lo rende “irretrattabile” e preclude la possibilità per il contribuente di far valere, in un momento successivo e attraverso un’istanza di rimborso di “quanto asseritamente senza titolo versato”, seppure nel rispetto del termine triennale previsto a pena di decadenza dall’articolo 77 del Dpr 131/1986, il carattere indebito del relativo versamento.
In altri termini, in difetto di rituale e tempestiva impugnazione dell’avviso di liquidazione dell’imposta di registro, il rapporto tributario viene fissato – in modo definitivo e non più contestabile – dall’atto impositivo e l’istanza di rimborso non è idonea a riaprire un termine scaduto per contestare un rapporto ormai esaurito, fatto salvo – sussistendone i presupposti – l’esercizio del potere di autotutela da parte dell’Amministrazione finanziaria.