Avviso accertamento: nella motivazione non è necessario allegare gli atti. L’Amministrazione deve consentire al contribuente la conoscenza degli elementi essenziali della pretesa, ma non è tenuta a includere nel provvedimento la notizia delle prove.
La motivazione “per relationem” di un avviso di accertamento è legittima non solo quando l’atto richiamato sia allegato all’avviso, ma anche quando di tale atto sia riprodotto nell’avviso il contenuto essenziale in tal modo consentendo al contribuente il corretto esercizio del proprio diritto alla difesa. Pertanto, l’ufficio dell’Amministrazione finanziaria non è tenuto ad allegare all’avviso di accertamento i files rinvenuti e acquisiti dalla Guardia di finanza in sede di verifica, essendo sufficiente che l’atto impositivo ne riproduca il contenuto essenziale: è questo l’importante principio di diritto sancito dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 20416/2018, depositata lo scorso 1 agosto.
La vicenda processuale
Nel corso di una verifica fiscale a carico di un’altra società, la Guardia di finanza aveva rinvenuto alcuni files informatici riferiti alla società contribuente e relativi a presunte cessioni di merce “in nero”. Sia la Commissione tributaria provinciale sia la Commissione tributaria regionale ritenevano la nullità dell’avviso di accertamento poiché allo stesso non risultavano allegati i predetti files, nonché per omesso espletamento del contraddittorio endoprocedimentale, obbligatorio per tutti i procedimenti amministrativi.
La decisione della Suprema corte
La Corte di cassazione ha cassato la sentenza impugnata, ritenendo che, ai fini della motivazione di un avviso di accertamento, non è sempre necessaria la materiale allegazione della documentazione (nella specie i files informatici). Secondo i giudici, in particolare, “la motivazione per relationem di un avviso di accertamento è legittima non solo quando l’atto richiamato sia allegato all’avviso, ma anche quando di tale atto sia riprodotto nell’avviso il contenuto essenziale (Cassazione n. 10085 del 2012). I giudici, peraltro, richiamano il regime introdotto dalla legge 27 luglio 2000, n. 212, articolo 7, sottolineando che “l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche “per relationem”, ovverosia mediante il riferimento a elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente – e al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento” (Cassazione n. 1907 del 2008, conf., ex multis, Cassazione n. 6914 del 2011)”.
Secondo la Corte, inoltre, è sufficiente che gli atti e i documenti su cui è fondato l’avviso “siano solo menzionati nel processo verbale di constatazione, regolarmente notificato al contribuente, atteso che (…) l’Amministrazione finanziaria deve porre il contribuente in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali, ma non è tenuta a includere nell’avviso la notizia delle prove”.
Anche in ambito comunitario, del resto, “è sufficiente che le indicate informazioni siano in qualche modo accessibili al contribuente, anche in forma riassuntiva, e possano essere contestate attraverso l’impugnazione dell’atto che le reca” (Cassazione n. 26472 del 2014).
Con la sentenza in commento, infine, la Corte ha ribadito che non sussiste un diritto generalizzato e indistinto al contraddittorio con l’Amministrazione finanziaria: invero, sia la giurisprudenza comunitaria (Corte di giustizia Ue, sentenza 3/7/2014, causa C-129/13 e C-130/13, Kamino) sia quella domestica (Cassazione n. 24823/2015) hanno sancito il principio di diritto secondo cui:
- in tema di tributi non armonizzati il diritto al contraddittorio endoprocedimentale spetta solo quando normativamente previsto
- in tema di tributi armonizzati il diritto al contraddittorio endoprocedimentale sussiste, ma per aversi nullità dell’atto impositivo occorre che il contribuente in sede giudiziale dia prova delle ragioni che avrebbe potuto far valere qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio) si riveli non puramente pretestuosa, anche alla luce dell’articolo 88 c.p.c.
Ulteriori considerazioni
La sentenza in esame esprime il principio di “conoscibilità” degli atti e dei documenti richiamati nei provvedimenti dell’Amministrazione finanziaria, da intendersi quale concreta possibilità per il contribuente di accedere a tutte le informazioni utili a comprendere le ragioni della pretesa tributaria, consentendogli il sindacato di merito in ordine alla stessa. La Corte precisa, altresì, il significato dell’espressione “contenuto essenziale” di atti e documenti richiamati nell’atto impositivo.
Il contenuto essenziale, invero, è costituito da “oggetto, contenuto e destinatari” dell’atto (o documento) richiamato “…la cui indicazione consente al contribuente – e al giudice (…) – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento”.
Si tratta, dunque, di un approccio concreto e non meramente formale al tema della motivazione degli atti tributari, approccio che merita di essere condiviso, anche alla luce del principio di leale cooperazione tra le parti sancito dall’articolo 12 dello Statuto del contribuente, al fine di escludere eccezioni meramente dilatorie.
Sul punto si segnala, altresì, la recente sentenza della Cassazione n. 20798/17, secondo cui “in tema di motivazione per relationem degli atti d’imposizione tributaria, la legge 27 luglio 2000, n. 212, articolo 7, comma 1 (…) nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’amministrazione finanziaria ogni documento richiamato nella motivazione di esso, non intende certo riferirsi ad atti di cui il contribuente abbia già integrale e legale conoscenza per effetto di precedente notificazione, ponendosi altrimenti un’interpretazione puramente formalistica in contrasto con il criterio ermeneutico che impone di dare alle norme procedurali una lettura che, nell’interesse generale, faccia sì salva la funzione di garanzia loro propria, limitando al massimo le cause d’invalidità chiaramente irragionevoli” (si vedano altresì le sentenze n. 407/2015 e n. 18073/08).