Se il giudice tributario intervenisse anche sulla validità della pretesa, si verificherebbe un’indebita sostituzione nell’attività amministrativa discrezionale del Fisco
In caso di diniego di autotutela, del resto, la questione relativa all’individuazione del giudice competente è stata definitivamente risolta dalle sezioni unite della suprema Corte di cassazione, la quale, già con la sentenza n. 7388/2007, ha affermato che la giurisdizione tributaria, dopo le modifiche legislative (articolo 12, legge 448/2001), ha assunto la caratteristica della giurisdizione a carattere generale, idonea quindi a dirimere tutti i tipi di controversie insorte in relazione a uno specifico rapporto tributario, compreso dunque il diniego di autotutela.
La Ctr della Toscana, con la sentenza 343/24/14 del 21 febbraio 2014, ha confermato tale indirizzo.
Limiti e condizioni all’impugnabilità del diniego
Contro il rifiuto espresso di autotutela potrà comunque esercitarsi solo un sindacato sulla legittimità del rifiuto stesso e non anche sulla fondatezza della pretesa tributaria, ciò che comporterebbe un’indebita sostituzione del giudice nell’attività amministrativa propria dell’Amministrazione finanziaria.
Sulla questione, è chiara la Corte suprema, la quale, con la sentenza 2870/2009, delle sezioni unite civili, ha stabilito che: “È devoluta alla cognizione del giudice tributario la controversia relativa all’impugnazione del provvedimento di rigetto – espresso o tacito – dell’istanza di autotutela promossa dal contribuente per l’annullamento di un atto impositivo dell’Amministrazione finanziaria in dipendenza del carattere generale assunto della giurisdizione speciale laddove sia comunque dedotto nel giudizio un rapporto giuridico d’imposta. È inammissibile il ricorso avverso il provvedimento di rigetto, espresso o tacito, dell’istanza di autotutela promossa dal contribuente volta ad ottenere l’annullamento di un atto impositivo divenuto definitivo (nella specie, per l’intervenuto giudicato formatosi sulla decisione di reiezione del ricorso davanti alla commissione tributaria provinciale), in conseguenza sia della discrezionalità nell’esercizio del potere di autotutela quanto dell’inammissibilità di un nuovo sindacato giurisdizionale sull’atto di accertamento munito del carattere di definitività”.
Come poi ribadito con l’ordinanza 10020/2012, contro il diniego dell’amministrazione di procedere all’esercizio del potere di autotutela può, quindi, essere proposta impugnazione soltanto per dedurre eventuali profili di illegittimità del rifiuto e non per contestare la fondatezza della pretesa tributaria.
La Corte afferma, in particolare, che deve essere ormai considerato come consolidato l’orientamento in base al quale il contribuente, che richiede all’Amministrazione finanziaria di ritirare, in via di autotutela, un avviso di accertamento divenuto definitivo, deve prospettare l’esistenza di “un interesse di rilevanza generale dell’Amministrazione” alla rimozione dell’atto: “ne consegue che contro il diniego dell’amministrazione di procedere all’esercizio del potere di autotutela può essere proposta impugnazione soltanto per dedurre eventuali profili di illegittimità del rifiuto e non per contestare la fondatezza della pretesa tributaria (cfr. Cass. n. 11457/2010; n. 16097/2009). Giacchè fuori dalla ridetta situazione, l’atto con il quale l’amministrazione finanziaria manifesta il rifiuto di ritirare in autotutela un atto impositivo divenuto definitivo – stante la relativa discrezionalità – non è suscettibile di essere impugnato innanzi alle commissioni tributarie (v. sez. un. n. 3698/2009)”.
Concludendo, essendo l’attività di autotutela contrassegnata da ampia discrezionalità non surrogabile in via giudiziaria, contro il diniego di procedere all’esercizio del potere non può essere proposta impugnazione in sede giurisdizionale (cfr Cassazione, sezioni unite, 3698/2009), salvo che per dedurre eventuali profili di illegittimità del rifiuto in sé, e in rapporto alla sua specifica funzione, al di là della contestazione della pretesa tributaria originaria (cfr Cassazione 11457/2010).
La sentenza della Ctr
Tali principi sono stati ribaditi dalla Ctr della Toscana, la quale, con la sentenza 343/24/2014 del 21 febbraio, osserva come “il provvedimento di rigetto dell’istanza di autotutela è sindacabile sotto il profilo della legittimità soltanto con riferimento agli aspetti dell’imparzialità e correttezza dell’azione amministrativa … Detto provvedimento non risulta sindacabile quanto al merito, ostando in proposito la discrezionalità dell’Amministrazione”.
Per tali motivi l’appello del contribuente veniva considerato inammissibile.
Il quadro giurisprudenziale sull’argomento è del resto ormai piuttosto consolidato.
Con l’ordinanza 11127/2012, la Cassazione, cassando una sentenza della Ctr di Milano, che aveva accolto l’appello di un contribuente dichiarando illegittimo il provvedimento di diniego di annullamento in autotutela impugnato, dopo aver sottolineato ancora che “la questione posta dal ricorso sembra possa essere definita sulla base dell’orientamento giurisprudenziale (Cass. n. 1219/2011, n. 11457/2000, n. 2870/2009), secondo cui è a ritenersi inammissibile l’impugnazione del provvedimento con il quale si opponga un rifiuto alla domanda di procedere in via di autotutela all’annullamento di precedente atto impositivo, trattandosi di attività discrezionale”, ha trattato dunque la causa in camera di consiglio, accogliendo il ricorso dell’Amministrazione per manifesta fondatezza.
E infine, con la sentenza 7687/2012, dopo aver “ribadito che l’elencazione tassativa degli atti impugnabili innanzi al giudice tributario (art. 19 cit.), nel termine perentorio fissato dal medesimo D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22, non esclude la facoltà del contribuente di impugnare innanzi al medesimo giudice anche atti diversi da quelli contenuti in detto elenco …”, conclude affermando che “questa Corte ha da tempo chiarito che, nel giudizio relativo al diniego di autotutela, il sindacato del giudice tributario ha per oggetto il corretto esercizio di un potere ampiamente discrezionale; sicché il giudice non può comunque sostituirsi all’amministrazione in valutazioni discrezionali, né ivi sindacare la fondatezza della pretesa tributaria (v. sez. un. n. 7388/2007). Questo per la ragione che, quanto all’esercizio del potere amministrativo di autotutela, il privato può dirsi titolare di semplici interessi di fatto …”.
Il procedimento di autotutela e i suoi possibili vizi
In sostanza, dunque, ciò che può essere censurato è solo l’eventuale illegittimità del procedimento.
L’autotutela nasce, infatti, come istituto di diritto amministrativo e rappresenta una manifestazione del potere di riesame dell’Amministrazione.
I riferimenti costituzionali di tale potestà sono da ricercarsi, in particolare, nei principi di buon andamento e imparzialità, di cui agli articoli 97 e 98 della Costituzione, cui la Pubblica amministrazione deve sempre uniformarsi.
Laddove tali principi non risultino rispettati, (solo) sotto tali profili saranno possibili eventuali censure al diniego.