aumento-compenso-revisori-enti-localiIl Viminale, di concerto con il Mef, riconosce che le funzioni del revisore contabile degli enti locali, nell’ultimo decennio, sono esponenzialmente aumentate alla luce della legislazione della finanza pubblica e decreta l’aggiornamento del limite massimo dei compensi. Un provvedimento che non comporta l’adeguato aumento della retribuzione dei revisori dei conti, ma solo la possibilità per i Consiglio Comunale di tenere conto del nuovo parametro di riferimento.


Una facoltà concessa agli Enti che hanno fissato il compenso nel limite massimo del vecchio decreto interministeriale del 20 maggio 2005 o l’hanno parametrizzato ad esso, preclusa agli Enti che l’hanno determinato, in sede di delibera di nomina, in misura fissa, in valore monetario assoluto.

 

I revisori dei conti, dopo più di un decennio dall’ultimo decreto del Ministero degli Interni, vedono finalmente adeguarsi il proprio compenso massimo.

 

Il Viminale, di concerto con il Mef, riconosce che le funzioni del revisore contabile degli enti locali, nell’ultimo decennio, sono esponenzialmente aumentate alla luce della legislazione della finanza pubblica e che questo impone l’adeguamento dei compensi base, anche per rispettare i principi sull’equo compenso, di cui all’art. 13 bis della legge 31 dicembre 2012, n. 247.

 

Il problema, però, è la normativa ed, in particolare, il comma 1 dell’art. 241 del D.Lgs. n. 267/2000 che il Decreto interministeriale vengano fissati solamente dei limiti massimi del compenso base spettante ai revisori, e non un compenso predeterminato o, almeno, dei limiti minimi.

 

Il nuovo Decreto interministeriale 21 dicembre 2018, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 3 del 4 gennaio 2019, potrebbe, quindi, alimentare speranze di aumento dei compensi destinate ad andare deluse.

 

Il provvedimento, infatti, si limita ad aggiornare i limiti massimi del compenso base spettante ai revisori dei conti degli enti locali.

 

Il decreto stabilisce un aumento dei compensi del 20,3% per il tasso d’inflazione e distingue gli enti locali in due fasce di popolazione, esclusivamente ai fini dell’incremento dell’ulteriore 30%, e precisamente:

 

  • gli enti locali con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, per i quali si applica esclusivamente l’aumento del tasso d’inflazione;
  • gli enti locali con popolazione superiore a 5.000 abitanti, per i quali si applica anche l’ulteriore incremento del 30%.

 

Il comma 3, dell’art. 1, del D.M. 21 dicembre 2018, però, parla di “eventuale adeguamento del compenso” e di delibera del Consiglio dell’Ente, in relazione ai nuovi limiti massimi fissati dal Decreto.

 

L’adeguamento, quindi, non è dovuto ma facoltativo e va, in ogni caso, deliberato dal Consiglio comunale.

 

Qualora l’organo assembleare abbia fissato il compenso nella misura massima consentita (o lo abbia comunque parametrizzato ad essa) sarebbe coerente che adeguasse il compenso ai nuovi limiti.

 

Nei casi in cui, con la delibera di nomina, sia stato fissato un valore fisso del compenso, non appare legittimo provvedere ad adeguarlo.

 

Il rapporto che s’instaura tra l’Ente locale ed il professionista che svolge le funzioni di revisore dei conti, seppure veicolato da un provvedimento amministrativo, è di natura civilistica ed è rimesso alla libertà contrattuale delle parti (Sezione regionale di controllo per il Veneto, deliberazione n. 355/2016/PAR, e Sezione regionale di controllo per il Veneto, deliberazione n. 569/2015, cit.).

 

Per la sezione Autonomie della Corte dei Conti (deliberazione 16/SEZAUT/2017/QMIG) le indicazioni sulla misura massima del compenso non intaccano la natura privatistica e convenzionale del rapporto che viene ad instaurarsi tra il revisore e la Pubblica Amministrazione.

 

Nemmeno la scelta tramite sorteggio incide sull’assetto civilistico del rapporto, trovando la propria ratio nella necessità di garantire la professionalità e indipendenza dei prescelti nell’esercizio delle rilevanti funzioni del controllo.

 

Così come il compenso non può essere abbassato in corso di mandato non può essere nemmeno aumentato.

 

La Sezione Autonomie, con la citata deliberazione 16/SezAut/2017/QMIG, ha chiarito che corso di rapporto non si possano verificare variazioni incrementali con maggiori oneri, in osservanza del comma 7 dell’art. 241 TUEL che prevede che il compenso possa essere stabilito esclusivamente con la delibera di nomina.

 

Sullo stesso solco si inserisce la deliberazione n. 5/2018/Par della sezione regionale di controllo della Corte dei Conti dell’Emilia Romagna, la quale rileva che la pubblicazione del Decreto interministeriale del 21 dicembre 2018 non muta i principi sanciti dalla magistratura contabile.

 

Seguendo lo stesso ragionamento appare logico che la popolazione da prendere a riferimento per l’eventuale aggiornamento del compenso dei revisori dev’essere quella rilevata al momento della delibera di nomina, non essendo possibile variare, in corso di mandato, la retribuzione dei revisori in base alla fluttuazione del numero di abitanti.

 

Diverso è il caso in cui la delibera avesse un diretto riferimento al limite massimo previsto dal Decreto interministeriale 20 maggio 2005.

 

Cambiando il valore di riferimento, il Consiglio Comunale può tornare a deliberare sulla misura del compenso.

 

Per la Sezione Autonomia, però, non esistono, ad oggi, dei limiti minimi del compenso dei revisori e, quindi, oggi si può dedurre che le deliberazioni consiliari che stabiliscono il compenso in misura inferiore al minimo sono legittime e non automaticamente adeguate dal Decreto interministeriale.

 

Secondo la sezione Autonomie, quello che rileva è l’art. 2233, comma 2, del codice civile dispone che, nei rapporti d’opera intellettuale, “in ogni caso la misura del compenso dev’essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione” e ciò a maggior ragione a seguito dell’abrogazione delle tariffe professionali operata dall’art. 9 del d.l. n. 1/2012.

 

Il corrispettivo non può essere subordinato ad alcuna condizione e neppure essere stabilito in funzione dei risultati della revisione, mentre dev’essere congruamente determinato al fine di assicurare l’effettività e l’indipendenza dell’attività di supervisione, d’indirizzo e di verifica intestato ai revisori.

 

L’interesse ad un adeguato corrispettivo trova le proprie garanzie nell’ambito dell’ordinamento civilistico e si realizza, allo stato della normativa, mediante lo strumento contrattuale o in sede giudiziaria, qualora la remunerazione fissata unilateralmente dall’ente appaia incongrua.

 

L’eventuale adeguamento del compenso deliberato dal Consiglio dell’ente riguardo ai nuovi limiti massimi fissati dal decreto interministeriale 21 dicembre 2018 non ha, in ogni caso, effetto retroattivo.