ricorsoLa fattispecie affrontata dalla Corte di cassazione nella sentenza 25764/2014 ha a oggetto la contestazione, da parte dell’Amministrazione finanziaria, dell’intervenuta prescrizione del diritto di credito per l’eccedenza d’imposta vantato dalla società contribuente, relativamente alla dichiarazione Iva per l’anno 1990.

 

Nello specifico, la ricorrente aveva presentato istanza di rimborso del credito in data 5 marzo 1991, e, non vedendo soddisfatta la propria pretesa, solo nel 2004 sollecitava formalmente l’Amministrazione finanziaria a liquidare quanto di sua spettanza.

 

Nelle more, l’ufficio notificava un avviso di irrogazione sanzioni per violazioni Iva relative al medesimo periodo d’imposta 1990, avverso il quale veniva instaurato apposito giudizio tributario, definito con sentenza passata in giudicato nel 1995.

 

Tanto premesso, la Suprema corte è chiamata a pronunciarsi sulla valenza di un siffatto atto sanzionatorio ai fini dell’interruzione della prescrizione.

 

In via preliminare, la sentenza in epigrafe sottolinea l’idoneità dell’esposizione del credito d’imposta nella dichiarazione annuale Iva a costituire valido esercizio del diritto di rimborso, con la conseguenza che, come avvenuto nel caso di specie, il diritto di credito può dirsi cristallizzato in mancanza di rettifica della dichiarazione da parte dell’Amministrazione finanziaria nei termini di legge (ex multis: Cassazione 12 settembre 2012, n. 15229 e 8 giugno 2012, n. 9339).

 

Con riguardo all’atto di irrogazione delle sanzioni, contrariamente a quanto eccepito dalla società contribuente, i giudici di legittimità rilevano come un siffatto provvedimento non sia idoneo a impedire il decorso del termine di prescrizione ordinaria, non determinando di per sé la “sopravvenuta temporanea inesigibilità” del credito ai sensi dell’articolo 23 del Dlgs n. 472/1997.
Tale disposizione consente all’Amministrazione finanziaria di sospendere, in via cautelare, l’adempimento dell’obbligazione di rimborso, in presenza di altre esposizioni debitorie del medesimo contribuente, per le quali sarebbe possibile addivenire a una compensazione (in tal senso, Cassazione 11 novembre 2011, n. 23601).

 

A tal fine, l’ufficio dovrebbe emettere un apposito “provvedimento di sospensione” del rimborso dei crediti d’imposta, autonomamente impugnabile dinanzi al Giudice tributario.
Come osservato dalla Suprema Corte, un siffatto provvedimento non è mai stato notificato da parte dell’Amministrazione finanziaria; né potrebbe qualificarsi tale l’invito rivolto alla società contribuente, al fine di produrre documenti integrativi e prestare la garanzia fideiussoria di cui all’articolo 38-bis del Dpr n. 633/1972, vigente rationis temporis.

 

Sul punto, la Corte evidenzia come “la mancata prestazione della garanzia e la omessa consegna dei documenti richiesti, in quanto integranti condotta esclusivamente imputabile al creditore, configuravano un mero impedimento di fatto e non di diritto all’esercizio della pretesa di rimborso”; al contrario, “l’impossibilità di far valere il diritto, alla quale l’art.2935 cod. civ. attribuisce rilevanza di fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione (…) è solo quella che deriva da cause generiche che ostacolino l’esercizio del diritto e non comprende anche gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto”.

 

In aggiunta a tali considerazioni, i giudici di piazza Cavour escludono, altresì, che al caso di specie possa applicarsi analogicamente il disposto di cui all’articolo 38-bis, comma 3, del Dpr n. 633/1972, vigente rationis temporis, il quale prevedeva un’ipotesi di sospensione dell’esecuzione del rimborso in conseguenza della contestazione di illeciti penali per il medesimo periodo d’imposta.
Siffatta conclusione discende dalla stessa disciplina legale della prescrizione che, in quanto inerente all’ordine pubblico, è sottratta all’autonomia privata delle parti.

 

Inoltre, come giustamente osservato dalla Suprema corte, “le cause di sospensione della prescrizione (…) integrano disposizioni di carattere eccezionale, a norma dell’art.14 delle cosiddette preleggi, con la conseguenza che non sono suscettibili di applicazione oltre i casi e i tempi in esse considerati” (in senso analogo, Cassazione 4 giugno 2007, n. 12953).