La Corte di cassazione ha stabilito che l’esercizio in forma associata di una professione liberale rientra nell’ipotesi regolata dall’articolo 1, comma 1, lettera c), del Dlgs 446/1997, istitutivo dell’Irap, e costituisce, quindi, presupposto di imposta in base alla seconda parte del comma 1 dell’articolo 2 del medesimo decreto, dovendosi, perciò, prescindere completamente dal requisito dell’autonoma organizzazione.
Questo il principio di diritto stabilito dalla sezione tributaria della Cassazione, con la sentenza n. 25313 del 28 novembre 2014.

La vicenda processuale
La Ctr dell’Emilia Romagna accoglieva l’appello di uno studio legale associato, il quale aveva richiesto il rimborso dell’Irap versata per il quadriennio 2001/2004, poiché era risultato dagli atti e dai documenti prodotti che, nell’ambito dell’associazione professionale ricorrente, i due avvocati associati esercitavano la propria attività professionale senza ausilio di personale e con il supporto di mezzi di uso comune e corrente, indispensabili per l’esercizio di un’attività autonoma, e con l’impiego di beni strumentali di limitate dimensioni.
Il giudice regionale precisava che dall’esercizio professionale mediante associazione, evocante un minimo di organizzazione, non conseguiva necessariamente la debenza del tributo, dovendosi, invece, esaminare caso per caso se ricorresse il requisito dell’attività autonomamente organizzata, non ravvisabile nel caso di specie.

Il ricorso dell’Agenzia delle Entrate
Ricorreva per cassazione l’Amministrazione finanziaria, affidando il ricorso a due motivi di diritto.
Con il primo motivo, assumeva che dinanzi a uno studio associato tra professionisti dovesse ritenersi presunto il requisito dell’autonoma organizzazione, quale presupposto impositivo.
Con il secondo motivo, denunciava vizio di motivazione sulla ricorrenza del requisito dell’autonoma organizzazione, con riguardo agli elevati compensi e alle elevate spese per beni immobili, risultanti dalle dichiarazioni dei redditi dell’associazione professionale.

Le motivazioni della sentenza
La Cassazione ritiene fondato il primo motivo di ricorso, rilevando il mal governo, da parte della Ctr emiliana, delle norme evidenziate del decreto istitutivo del tributo in questione.
In materia di Irap, infatti, sostiene la Corte suprema, l’esercizio in forma associata di una professione liberale rientra nell’ipotesi regolata dall’articolo 1, comma 1 lettera c), del Dlgs 446/1997, secondo cui sono soggette all’imposta “le società semplici e quelle ad esse equiparate a norma dell’art. 5, comma 3, del Tuir esercenti arti e professioni di cui all’art. 49, comma 1, del medesimo t.u.”, e costituisce, quindi, presupposto di imposta in base alla seconda parte del comma 1 dell’articolo 2 del medesimo decreto legislativo, a tenore del quale “l’attività esercitata dalle società e dagli enti, compresi gli organi e le amministrazioni dello Stato, costituisce in ogni caso presupposto di imposta”, dovendosi perciò prescindere completamente dal requisito dell’autonoma organizzazione (cfr Cassazione, sentenza 16784/2010).

Da qui, l’assorbimento del secondo motivo e la cassazione della sentenza gravata, con contestuale decisione nel merito di rigetto del ricorso introduttivo, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, da demandare al giudice di merito.

Osservazioni conclusive
La pronuncia in commento si inserisce nel dibattito in ordine alla debenza dell’Irap da parte dell’associazione professionale, sostenendo la soggezione al tributo al di là di un’indagine in concreto sul requisito dell’autonoma organizzazione.

Per vero, in altri casi, la giurisprudenza di merito e un orientamento minoritario della Cassazione hanno avanzato alcune “aperture” rispetto alla perentorietà della descritta impostazione. In questo senso, la sentenza 14060/2012 della Corte suprema ha disposto che, ove l’attività di un professionista si svolga nella forma dello studio associato (nel caso di specie, con il coniuge), il giudice di merito deve, ai fini della applicazione dell’Irap, accertare specificamente l’entità e l’incidenza a fini reddituali della condivisione con altri professionisti dello svolgimento di parte dell’attività professionale dello studio.

Tuttavia, la maggioranza delle sentenze di Cassazione sull’argomento dispongono di prescindere da un’analisi in concreto, in presenza di associazione professionale.
Infatti, secondo la Corte, “l’esercizio in forma associata di una professione liberale è circostanza di per sé idonea a far presumere resistenza di una autonoma organizzazione di strutture e mezzi, ancorché non di particolare onere economico, nonché dell’ intento di avvalersi della reciproca collaborazione e competenze, ovvero della sostituibilità nell’espletamento di alcune incombenze, si da potersi ritenere che il reddito prodotto non sia frutto esclusivamente della professionalità di ciascun componente dello studio. Ne consegue che legittimamente il reddito dello studio associato viene assoggettato all’imposta regionale sulle attività produttive (Irap), a meno che il contribuente non dimostri che tale reddito è derivato dal solo lavoro professionale dei singoli associati” (cfrCassazione, sentenze 3676/2007, 3680/2007, 24058/2009, 16784/2010, 22386/2010, 14853/2012, 12507/2013 e 1575/2014).

In definitiva, alla luce della giurisprudenza di riferimento, la debenza dell’Irap appare una conseguenza necessaria dello svolgimento dell’attività professionale svolta in forma associata.

 

 

FONTE: Fisco Oggi – Rivista Telematica dell’Agenzia delle Entrate

AUTORE: Martino Verrengia

 

 

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