agricolturaIn tema di agevolazioni fiscali per i trasferimenti nei territori montani di fondi rustici (imposta di registro e ipotecaria in misura fissa ed esenzione dalle imposte catastali), la Corte di cassazione, con ordinanza 11 gennaio 2016, n. 228, ha ribadito che, se non si assolve l’onere probatorio circa la qualifica di coltivatore diretto, non si possono avanzare diritti sul mantenimento dei benefici previsti per tale categoria di contribuenti in zone montane.
 

Esposizione del fatto

 

La vicenda riguarda l’impugnativa di un avviso di liquidazione per l’imposta di registro, notificato al contribuente in seguito a revoca dei benefici di cui all’articolo 9 del Dpr 601/1973, concessi all’atto di acquisto di terreni agricoli montani. L’esito di prime cure favorevole al contribuente è stato capovolto in appello, ove la Commissione tributaria regionale ha confermato la revoca delle agevolazioni. Nel ricorso per cassazione, il coltivatore sostiene violazione di legge, laddove il giudice del riesame si è limitato a valorizzare nel ricorrente l’esistenza di un’attività professionale (nel caso, ingegnere) per escludere quella di coltivazione dei fondi.
 

La decisione

 

Anche in sede di legittimità, la Corte suprema disattende il ricorso del contribuente, affermando il principio che, se non si assolve l’onere probatorio circa la qualifica di coltivatore diretto, non si possono avanzare diritti sul mantenimento dei benefici previsti per tale categoria di contribuenti in zone montane.

 

A tal fine, il giudice regionale, nell’accogliere l’appello erariale, ha escluso nella specie la ricorrenza della qualifica di coltivatore diretto, per non avere il ricorrente fornito alcuna prova circa i requisiti necessari per la coltivazione dei fondi, “limitando la propria difesa a generiche argomentazioni circa la rilevanza o meno dell’iscrizione previdenziale all’Inps”.

 

Nel merito, con il disposto di cui all’articolo 9, comma 2, Dpr 601/1973, il legislatore fiscale ha voluto riconoscere il particolare trattamento agevolato a tutti quegli atti di trasferimento aventi per oggetto fondi rustici, siti in territori montani e destinati ad arrotondare o ad accorpare proprietà diretto-coltivatrici che, per loro natura, dovrebbero scontare l’imposta di registro e le imposte di trascrizione.

 

Secondo la giurisprudenza di legittimità (cfr Cassazione, 8303/1993, 14294/2003 e 22001/2014), la nuova dizione, contenente il riferimento alle “proprietà diretto-coltivatrici” non può che riferirsi al fatto che l’acquirente di terreni montani, che invoca le agevolazioni in argomento, deve rivestire la qualità di coltivatore diretto, nei limiti indicati dalle leggi in materia. La legislazione agraria non denega, infatti, tale qualifica a chi utilizza, oltre alla propria, anche forza lavoro altrui, purché nelle proporzioni previste dalla predetta normativa.

 

E tale riferimento va posto in relazione all’articolo 31 della legge 590/1965, il quale, nel definire il coltivatore diretto, si limita a stabilire che la forza lavoro del coltivatore e della sua famiglia deve costituire almeno un terzo di quella occorrente per le normali necessità di coltivazione del fondo, senza prescrivere, al contempo, l’esclusività o la prevalenza dell’attività coltivatrice rispetto ad altre eventualmente esercitate, né prevedere comparazioni di sorta tra i redditi ritratti da ciascuna delle attività svolte. Tale qualifica può, infatti, permanere anche in caso di coltivazione della terra in forma mediata, mediante l’utilizzo di dipendenti estranei al nucleo familiare, purché tale utilizzo si mantenga nei limiti indicati nella certificazione dell’Ispettorato (cfr Cassazione, 17714/2002).

 

Peraltro, proprio in quanto la definizione di coltivatore diretto va ricercata solo nella norma predetta, deve escludersi che possa avere una sia pur minima rilevanza la sussistenza o l’assenza dei requisiti richiesti per la qualità di imprenditore agricolo ex articolo 2135 del codice civile o di piccolo imprenditore agricolo ex articolo 2083 cc (cfr Cassazione, 1840/1988 e 1334/1991).
 

È stato, altresì, chiarito (cfr Cassazione 1948/2013) che dette ulteriori attività possono avere una rilevanza indiretta quando impediscono la possibilità di un effettivo esercizio dell’attività di coltivazione del fondo, laddove la secondarietà o la sussidiarietà di tale attività rispetto alle altre è, di per sé, del tutto irrilevante.
La qualità di coltivatore diretto, nel senso ora precisato, che è necessaria per il godimento delle agevolazioni fiscali in esame, può essere provata con qualunque mezzo dal contribuente che invoca il beneficio (cfr Cassazione, 10248/2013), e il relativo accertamento costituisce valutazione di fatto, riservata, in quanto tale, al giudice del merito e censurabile in sede di legittimità per vizio di motivazione.
 

In conclusione, il giudice di legittimità ha negato il riconoscimento dell’agevolazione al contribuente, il quale, nell’acquistare immobili da terzi, aveva posto in essere un comportamento confliggente con la stessa ratio della disposizione agevolatrice, volta a favorire l’accorpamento o l’arrotondamento di proprietà diretto-coltivatrici.