A stabilirlo è una recente sentenza della Cassazione: l’Agenzia delle Entrate non può accanirsi contro il contribuente se il suo errore è scusabile e risulta fatto in buona fede.
Nel caso in esame, infatti, la Corte Suprema ha respinto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate contro una contribuente riguardante una controversia sulla rateizzazione dell’Irpef dovuta per l’anno 2011.
La decisione conferma la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia (C.T.R.) che aveva annullato la cartella di pagamento emessa per il recupero delle imposte non versate.
Il fatto
L’Agenzia delle Entrate aveva contestato alla contribuente il ritardo nel pagamento della terza rata del debito, avvenuto il 3 marzo 2014 anziché entro il 28 febbraio 2014, come stabilito dalla legge. La contribuente aveva richiesto la rateizzazione del debito e sostenuto che la data corretta fosse quella del 3 marzo, come risultava da un prospetto online dell’Agenzia stessa.
In primo grado, la Commissione Tributaria Provinciale (C.T.P.) aveva accolto il ricorso della contribuente. La decisione si basava sulla documentazione presentata, che mostrava un prospetto con scadenza al 3 marzo 2014, e sulla mancata replica da parte dell’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate, il quale non aveva fornito prova contraria. Pertanto, l’iscrizione a ruolo era stata ritenuta illegittima.
L’Agenzia delle Entrate aveva quindi presentato appello alla C.T.R., sostenendo che la data di scadenza dovesse essere quella del 28 febbraio 2014, come previsto dalla legge. Tuttavia i giudici tributari siciliani avevano confermato la decisione di primo grado, sottolineando la buona fede della contribuente e la presenza di un errore scusabile, vista la discrepanza tra le date riportate nei prospetti.
Infine l’amministrazione finanziaria aveva impugnato quest’ultima decisione davanti alla Corte Suprema, denunciando la violazione di varie disposizioni di legge. Tra i motivi di ricorso, si lamentava la preminenza data al prospetto della contribuente rispetto alla normativa vigente, e la presunta erroneità della valutazione dell’errore scusabile.
Agenzia delle Entrate “bloccata” se l’errore del contribuente è in buona fede
La Corte Suprema ha rigettato il ricorso, ritenendo infondate le censure dell’Agenzia delle Entrate. In primo luogo, la Corte ha ribadito che la Commissione Tributaria Regionale (C.T.R.) aveva applicato correttamente il principio della tutela del legittimo affidamento del cittadino. Questo principio, sancito dall’articolo 3 della Costituzione Italiana e dalla legge tributaria, è fondamentale per garantire che i contribuenti possano fidarsi delle informazioni e delle indicazioni fornite dagli organi fiscali.
Nel caso specifico, la contribuente aveva agito in buona fede basandosi su un prospetto ufficiale dell’Agenzia delle Entrate, che indicava come data di scadenza della terza rata il 3 marzo 2014. Questo prospetto era stato ottenuto dal sito ufficiale dell’Agenzia e, quindi, appariva del tutto affidabile. La C.T.R. aveva riconosciuto questa buona fede, ritenendo che la contribuente fosse stata tratta in errore da informazioni contrastanti fornite dalla stessa Agenzia delle Entrate.
La Corte Suprema ha inoltre rilevato un’incongruenza significativa nei documenti presentati dall’Agenzia delle Entrate. I prospetti della rateizzazione forniti dalla contribuente e dall’Agenzia riportavano date diverse per la scadenza delle rate. L’Agenzia delle Entrate non è riuscita a fornire una spiegazione convincente per questa discrepanza, limitandosi a sostenere che solo uno dei prospetti fosse conforme alla legge. Tuttavia, la Corte ha giudicato insufficiente tale argomentazione, ritenendo che l’Agenzia dovesse dimostrare in modo chiaro e univoco la correttezza delle proprie informazioni.
Le conclusioni dei giudici
Di conseguenza, la Corte Suprema ha confermato la legittimità dell’operato della contribuente e ha rigettato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, condannandola a rifondere le spese del giudizio, riconoscendo così il diritto della contribuente a un risarcimento per i costi sostenuti nel contenzioso.
Questa sentenza rappresenta una significativa vittoria per i contribuenti, riaffermando l’importanza della buona fede e del legittimo affidamento nei rapporti con l’amministrazione fiscale. La decisione della Corte Suprema sottolinea che l’Agenzia delle Entrate deve fornire informazioni precise e coerenti ai cittadini, e che eventuali errori o incongruenze nelle comunicazioni ufficiali non possono ricadere sui contribuenti. In tal modo, si ribadisce la necessità di un comportamento trasparente e affidabile da parte delle autorità fiscali, a tutela dei diritti dei cittadini.