studi-di-settore_0Finalmente ci siamo: dopo la pausa estiva continua il lavoro dei tecnici ministeriali che porterà al definitivo addio agli studi di settore.


 

Così come previsto dalla manovra correttiva approvata nella primavera scorsa, entro la fine di settembre il numero degli indicatori di affidabilità economica presentati alle categorie salirà a 37: 14 varati a luglio e i rimanenti 23 entro questo mese.  Prima della fine dell’anno, comunque, il debutto delle nuove “pagelle” fiscali relative all’anno di imposta 2017 salirà a quota 70.

 

“Per molti lavoratori sarà la fine di un incubo – esordisce il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo – anche se sarà necessario monitorare il periodo di transizione di questi nuovi strumenti. I nuovi indicatori di affidabilità fiscale che sostituiranno gli studi di settore, infatti,  dovranno garantire una riduzione delle tasse e una maggiore semplificazione nei rapporti con il fisco. Altrimenti, questa novità servirà a poco. Per questo è determinante che nella fase di gestazione di questi indicatori sia determinate  il ruolo delle associazioni di categoria dei lavoratori autonomi, che meglio di chiunque altro conoscono le specificità e le caratteristiche  fiscali delle attività interessate da questa novità fiscale”.

 

Negli anni gli studi di settore hanno garantito un grosso apporto di gettito alle casse del Stato. Dal 1998, anno della loro introduzione, al 2015 (ultimo dato disponibile), a fronte di 49,2 miliardi di euro di maggiori ricavi ottenuti attraverso l’adeguamento spontaneo in sede di dichiarazione dei redditi, questi si sono tradotti, secondo una stima elaborata dall’Ufficio studi della CGIA, in 19,6 miliardi di euro di tasse in più versate all’erario.

 

In allegato lo studio della CGIA Mestre.