Con ordinanza n. 19257 del 28 settembre 2016, la Corte di cassazione ha reso definitivo il giudizio della Commissione tributaria regionale relativo a un accertamento sintetico (redditometro) emesso ai sensi dell’articolo 38, comma 4, Dpr 600/1973, a carico di una contribuente che aveva ricevuto in eredità una grossa somma di denaro. Il giudice del riesame ha confermato la ripresa fiscale perché la contribuente non ha fornito la prova di aver mantenuto la disponibilità di quanto ricevuto in eredità oppure di averla impiegata per fare fronte alle normali spese di gestione familiare. Di contro, come rivelato “dalle registrazioni bancarie”, il denaro ereditato era invece stato utilizzato “per altri scopi”, quali donazioni ai figli e accrediti su conti correnti altrui. Nel ricorso per cassazione, la contribuente denuncia violazione della norma implicata, laddove la sentenza impugnata ha ritenuto necessaria la prova dell’effettivo e puntuale utilizzo delle somme ricevute in eredità.
Premessa
Occorre ricordare in premessa che, ai sensi dell’articolo 38, Dpr 600/1973, tanto nella formulazione vigente quanto in quella antecedente alle modifiche recate dall’articolo 22 del Dl 78/2010, l’ufficio può determinare sinteticamente il reddito del contribuente sulla base degli incrementi patrimoniali (ovvero “sulla base delle spese di qualsiasi genere”, come recita l’attuale formulazione del comma 4). Il previgente comma 6 dello stesso articolo 38 consentiva, poi, al contribuente di dimostrare che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta. Il comma aggiungeva, altresì, che “l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione”. La seconda parte del nuovo articolo 38, comma 4, invece, fa salva la prova del contribuente che il finanziamento relativo alle spese è avvenuto con redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo d’imposta, o con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o, comunque, legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile.
L’Agenzia delle Entrate, in relazione tanto al vecchio strumento sintetico quanto a quello nuovo, ha stabilito che il contribuente, ai fini della prova contraria, deve fornire la dimostrazione dell’utilizzo del reddito “ulteriore” rispetto a quello dichiarato proprio e specificamente per il sostenimento delle spese contestate (circolare 24/2013). In sostanza, per l’Amministrazione finanziaria, il contribuente può assolvere al suo onere probatorio soltanto dimostrando che, ad esempio, il denaro necessario per l’acquisto di un immobile deriva esattamente da quello incassato per la precedente vendita di un immobile di proprietà.
La decisione
La suprema Corte respinge il ricorso, atteso che la contribuente che vuole difendersi dal redditometro e giustificare al Fisco determinati acquisti deve fornire la prova non solo della disponibilità, ma anche della durata del possesso di redditi esenti (per esempio, eredità). Non basta infatti dimostrare di aver tenuto un certo tenore di vita grazie al patrimonio ereditato, se poi dalle movimentazioni bancarie risulta che tale patrimonio è stato donato ai figli. La norma prevede qualcosa in più della prova della mera disponibilità di ulteriori redditi, richiedendo espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (cfr Cassazione nn. 25104/2014 e 14855/2015).
Tra l’altro, va aggiunto che la stessa norma prevede che la prova documentale non è “particolarmente onerosa”, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione dei conti correnti bancari del contribuente, utili a dimostrare la durata del possesso dei redditi (Cassazione, 8995/2014). In tal senso va inteso lo specifico riferimento alla prova – risultante da idonea documentazione – dell’entità di tali ulteriori redditi e della durata del loro possesso, prova che ha la finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi, per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi (cfr Cassazione nn. 1332/2016 e 17504/2016).
In sintesi, la mancata prova della durata stabile e non temporanea del possesso di redditi esenti conferma la presunzione del Fisco in ordine alla maggiore capacità contributiva non dichiarata. Nel caso in esame, la Commissione regionale ha fatto buon governo dei principi su richiamati, non ritenendo assolto l’onere probatorio gravante sul contribuente, muovendosi “lungo tale solco interpretativo laddove, peraltro, con accertamento in fatto rimasto incontrastato, il giudice di appello ha affermato che, per contro, come risultato, il denaro ricevuto in eredità era stato utilizzato per altri scopi, quali donazioni ai figli e accrediti su altri conti correnti, come emerso dalle registrazioni delle movimentazioni bancarie”.