accertamento-da-studi-di-settoreAccertamento da Studi di Settore: per la Corte di Giustizia UE è valido. La sentenza è stata emessa nell’ambito di una controversia vertente tra una professionista e l’Agenzia delle entrate.


Valido l’accertamento Iva basato sugli studi di settore. L’utilizzo del metodo analitico-induttivo, fondato sulle gravi divergenze fra redditi dichiarati e stimati, non interferisce con i principi di proporzionalità e neutralità dell’imposta.

 

L’ufficio, dopo aver notificato un invito a comparire e respinto le giustificazioni addotte in merito allo scostamento dagli standard risultanti dall’applicazione degli studi di settore, ha emesso un avviso di accertamento concernente, tra l’altro, la maggiore Iva non dichiarata.

 

Nel ricorso dinanzi alla Ctp, la contribuente – oltre a lamentare l’errata individuazione del cluster di riferimento – ha dedotto che l’importo dell’Iva era stato calcolato sulla base di uno studio di settore che non consentirebbe di fornire un’adeguata rappresentazione dei redditi prodotti dalla propria attività in termini di proporzionalità e di coerenza.

 

Pertanto, la Ctp ha sottoposto alla Corte di giustizia, ai sensi dell’articolo 267 Tfue, la questione della compatibilità con la direttiva Iva (112/2006/Ce) della normativa in tema di studi di settore (articoli 62-bis e 62-sexies, comma 3, Dl 331/1993, n. 331) “nella parte in cui consente l’applicazione dell’IVA ad un volume d’affari globale induttivamente accertato, sotto il profilo del rispetto della detrazione e dell’obbligo di rivalsa e, più in generale, in relazione al principio di neutralità e traslazione dell’imposta”.

 

Le conclusioni dell’Avvocato generale

 

Come evidenziato dall’Avvocato generale nelle conclusioni del 22 marzo 2018, si tratta del primo caso in cui è portata all’attenzione della Corte la questione della compatibilità di una normativa nazionale che consente l’individuazione di un volume d’affari “presunto” con le regole e i principi che disciplinano il sistema dell’Iva. In particolare, secondo il giudice del rinvio, i fondamentali principi di proporzionalità e neutralità dell’imposta rischiano di essere pregiudicati dalla possibilità che il contribuente rimanga l’unico soggetto “inciso” dal tributo.

 

Dopo una sintetica ma esaustiva descrizione del funzionamento degli studi di settore, l’Avvocato ritiene che tale metodo accertativo non contrasti di per sé con il principio di proporzionalità ovvero che non ecceda quanto necessario ad assicurare che l’Iva dovuta sia interamente riscossa e a prevenire l’evasione. Al fine di combattere l’economia sommersa, è ragionevole dotare le Amministrazioni finanziarie degli Stati membri di strumenti che consentano di stimare i risultati economici delle attività mediante presunzioni o parametri elaborati sulla base di dati statistici. Pertanto, “la scelta di usare uno strumento quale gli studi di settore […] appare, dunque, rientrare nel margine di discrezionalità che la direttiva IVA riconosce agli Stati membri per assicurare la riscossione dell’IVA per intero e prevenire l’evasione”.

 

Oltretutto, lo scostamento dalle risultanze degli studi di settore “non conduce automaticamente ad una decisione sfavorevole da parte dell’amministrazione [ma] può meramente comportare l’apertura di un contraddittorio procedimentale”, come statuito dalla Corte di cassazione a partire dalle sentenze n. 26635/2013, 26636/2013, 26637/2013 e 26638/2013 (espressamente citate nelle conclusioni), che ne hanno affermato la natura di presunzione semplice, non idonea a invertire l’onere della prova. Ciò comporta che la normativa italiana non si pone in contrasto, di per sé, con il principio di neutralità, purché sia applicata in conformità con gli articoli 47 (“Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale”) e 48 (“Presunzione di innocenza e diritti della difesa”) della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

 

Quanto al principio di neutralità dell’Iva, le conclusioni non ravvisano interferenze con il diritto di detrazione dell’Iva pagata “a monte” e adeguatamente documentata, né tantomeno con le esigenze di “traslazione” dell’imposta accertata.

 

Infatti, richiamando i principi espressi dalla Corte nella sentenza Maya Marinova, C-576/15, l’Avvocato ricorda che nella fase “patologica” il principio di neutralità dell’Iva può legittimamente subire un’attenuazione, in quanto

 

i soggetti passivi che hanno commesso un’evasione consistente, fra l’altro, nel dissimulare operazioni imponibili ed entrate ad esse relative, non si trovano in una situazione comparabile a quella dei soggetti passivi che rispettano i loro obblighi in materia di contabilità, dichiarazione e pagamento dell’IVA”.

 

La decisione della Corte

 

Nel decidere la questione sottopostale, la Corte premette che il considerando 59 della direttiva Iva (“È opportuno che, entro certi limiti e a certe condizioni, gli Stati membri possano adottare o mantenere misure speciali che derogano alla presente direttiva, al fine di semplificare la riscossione dell’imposta o di evitare talune forme di evasione o elusione fiscale”) consente agli Stati membri l’utilizzo di metodi induttivi o analitico-induttivi.

 

Ricorda, inoltre, che l’articolo 273, primo comma, della direttiva Iva consente agli Stati membri di stabilire obblighi ulteriori rispetto a quelli previsti dalla direttiva da essi ritenuti necessari al fine di garantire l’esatta riscossione del tributo ed evitare l’evasione (oltre alla sentenza Maya Marinova, citata anche nelle conclusioni dell’Avvocato generale, si veda Corte di giustizia, C-85/95, John Reisdorf contro Finanzamt Köln-West; nella giurisprudenza italiana, Cassazione 20698/2014, in tema di omessa tenuta del registro delle fatture d’acquisto), purché tali obblighi siano proporzionati, non diano luogo all’istituzione di formalità connesse con il passaggio di una frontiera né pregiudichino la neutralità dell’imposta.

 

Ne deriva che

 

L’articolo 273 della direttiva IVA non osta quindi, in linea di principio, ad una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che, al fine di garantire l’esatta percezione dell’IVA e di prevenire l’evasione fiscale, determini l’importo dell’IVA dovuta da un soggetto passivo sulla base del volume d’affari complessivo, accertato induttivamente sulla scorta di studi settoriali approvati con decreto ministeriale”.

 

Nel punti successivi, la Corte ribadisce la centralità del fondamentale principio di neutralità ovvero del diritto dei soggetti passivi di detrarre dall’Iva di cui sono debitori quella “dovuta o versata” a monte per i beni acquistati e i servizi loro prestati, al fine di sollevarli dall’onere del tributo che – come noto – “incide” soltanto sul consumatore finale. Purché sia garantito al soggetto passivo il diritto di detrazione dell’imposta assolta a monte, una rettifica induttiva dell’Iva è compatibile con le regole unionali.

 

Quanto al principio di proporzionalità, esso non osta a una misura, quale è l’accertamento per “scostamento” dagli studi di settore, che consenta la rettifica solo in ipotesi di gravi incongruenze, preveda un contraddittorio preventivo e si limiti a introdurre presunzioni relative, confutabili dal contribuente mediante prova contraria (purché tale livello “non sia eccessivamente elevato”, ove si tratti di provare fatti negativi). È solo il caso di osservare che la disciplina in tema di studi di settore, come interpretata dal diritto vivente, risponde pienamente ai requisiti indicati nella sentenza.

 

In conclusione, la Corte di giustizia ha stabilito che

 

La direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, nonché i principi di neutralità fiscale e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che non ostano ad una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che consenta all’Amministrazione finanziaria, a fronte di gravi divergenze tra i redditi dichiarati ed i redditi stimati sulla base di studi di settore, di ricorrere ad un metodo induttivo, basato sugli studi di settore stessi, al fine di accertare il volume d’affari realizzato dal contribuente e procedere, di conseguenza, a rettifica fiscale con imposizione di una maggiorazione dell’imposta sul valore aggiunto (IVA), a condizione che tale normativa e la sua applicazione permettano al contribuente stesso, nel rispetto dei principi di neutralità fiscale, di proporzionalità nonché del diritto di difesa, di contestare, sulla base di tutte le prove contrarie di cui disponga, le risultanze derivanti da tale metodo e di esercitare il proprio diritto alla detrazione dell’imposta ai sensi delle disposizioni contenute nel titolo X della direttiva 2006/112, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare”.