Le censure formali, che non affrontano il merito di una eventuale strategia difensiva cui non si è potuto ricorrere per mancanza del confronto, non comportano caducazione dell’atto.
La Corte di cassazione, con sentenza n. 24119 del 29 novembre 2016, statuisce che è legittimo l’accertamento Iva senza contraddittorio preventivo, nell’ipotesi in cui il contribuente non assolva “l’onere di enunciare in concreto le ragioni, non puramente pretestuose, che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato”.
Evoluzione processuale della vicenda
La vicenda trae origine dalla notifica di un avviso di accertamento, con il quale l’Agenzia delle Entrate contestava l’illegittima detrazione dell’Iva sugli acquisti, al quale faceva seguito l’istanza di accertamento con adesione, culminata con esito negativo. La parte contribuente, allora, impugnava l’avviso di accertamento innanzi alla Commissione tributaria provinciale, prima, e alla Commissione tributaria regionale, poi. Sia in primo sia in secondo grado, la ricorrente risultava soccombente.
La società presenta ricorso per cassazione, affidato tra gli altri, ai seguenti motivi:
- inesistenza giuridica o nullità della notifica dell’avviso di accertamento, eseguita a mezzo del servizio postale
- nullità dell’avviso di rettifica notificato contestualmente al pvc di riferimento, per mancato rispetto del termine di 60 giorni
- violazione e falsa applicazione dell’articolo 12, legge 212/2000, per avere escluso la Ctr che la mancata instaurazione del contraddittorio con il contribuente in sede di verifica e il mancato rispetto delle norme sulle garanzie comportasse la nullità dell’accertamento (articolo 360, comma 1, n. 3, codice di procedura civile).
Pronuncia della Cassazione
Notifica a mezzo posta
La Corte suprema ribadisce il principio secondo il quale “la notificazione è una mera condizione di efficacia e non un elemento dell’atto di imposizione fiscale, sicché la sua nullità è sanata, a norma dell’art. 156, secondo comma, c.p.c., per effetto del raggiungimento dello scopo, il quale, postulando che alla notifica invalida sia comunque seguita la conoscenza dell’atto da parte del destinatario, può desumersi anche dalla tempestiva impugnazione dell’atto ad opera di quest’ultimo” (cfr Cassazione, 5057/2015 e 8374/2015).
Garanzie difensive del contribuente
La sentenza della Corte di cassazione a sezioni unite 24823/2015 ha precisato che, in ambito di indagini “a tavolino” (ossia quelle verifiche eseguite presso la sede dell’ufficio in base alle notizie acquisite da altre pubbliche amministrazioni o presso terzi o fornite direttamente dal contribuente mediante la compilazione di questionari o in sede di colloquio presso l’ufficio), in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, non sussiste per l’Amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti ai fini Irpeg e Irap (tributi non armonizzati), assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale; mentre per i tributi “armonizzati”, come l’Iva, “l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione tuttavia comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa”.
Si può dedurre, pertanto, che assumono rilievo dirimente, in merito alla indefettibilità del contraddittorio endoprocedimentale:
- l’origine dell’accertamento, se conseguito a un accesso presso i locali dell’impresa
- la natura armonizzata del tributo oggetto di accertamento.
Quanto all’origine dell’accertamento, dagli atti di causa è escluso che lo stesso sia seguito a un accesso presso i locali del contribuente, quanto piuttosto è inquadrabile tra gli accertamenti “a tavolino”. Infatti, la stessa Ctr, aderendo alla prospettazione dell’ufficio, aveva ritenuto che il pvc era stato formato nell’ambito dell’Agenzia delle Entrate da funzionari senza che questi accedessero ai locali dell’impresa e, inoltre, lo stesso pvc “tale non sarebbe a ogni effetto”, ma costituiva piuttosto “propriamente e soltanto una segnalazione”. Il mero problema nominalistico non ne precludeva pertanto l’utilizzazione.
In merito poi al secondo criterio (nominalistico dei tributi armonizzati), trattandosi nel caso in esame di rettifica afferente all’Iva, l’Amministrazione finanziaria era comunque gravata dell’obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale. Tuttavia, la violazione di tale obbligo comporta l’invalidità dell’atto solo nel caso in cui il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa.
A giudizio della Cassazione, “nel caso in esame le censure della ricorrente hanno un contenuto meramente formale e non affrontano in alcun modo il merito di una eventuale, ma sostanziale strategia difensiva alla quale il contribuente non aveva potuto ricorrere proprio per l’inosservanza del principio del contraddittorio, di guisa che non sarebbero state comunque idonee a far scattare l’effetto caducatorio invocato dalla parte privata”.
In conclusione, a giudizio della Corte suprema, quindi, nel caso di specie, la sentenza impugnata ha condivisibilmente riconosciuto all’Amministrazione finanziaria la correttezza del proprio operato e, nel respingere il ricorso presentato dalla società, ha condannato la stessa a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese del giudizio.