Con la sentenza 451/2015 la Corte di cassazione conferma il proprio orientamento in ordine all’applicazione dell’abuso del diritto, rinviando alla nota sentenza delle sezioni unite 30055/2008 e alla decisione della Corte di giustizia europea 13 febbraio 2014, n.18/13, peraltro emessa in materia di Iva, ossia in un ambito definito con direttive ove è sempre stato previsto per gli Stati membri la possibilità di inserire clausole antielusione.
La decisione della Suprema corte, invece, non rinvia al proprio precedente 22016/2014, secondo cui, qualora la variazione delle quote di ammortamento non sia stata giustificata nella nota integrativa al bilancio, quest’ultimo è da considerare nullo (rectius, annullabile) ai fini civilistici e la deficienza ne giustifica il disconoscimento anche ai fini fiscali, ancorché la relativa disciplina ammetta l’ammortamento nel limite dei coefficienti tabellari di formazione ministeriale.
I giudici di legittimità, invece, citano un altro precedente espresso nella successiva sentenza 25758/2014, la quale, in tema di leasing back (e sempre in forza del principio dell’indisponibilità pel contribuente dei criteri di deducibilità degli ammortamenti), aveva statuito che “l’eventuale utilizzazione abusiva di un differente regime di ammortamento, volta ad anticipare indebitamente la deducibilità del componente negativo di reddito, inciderebbe sul principio costituzionale di capacità contributiva”.
A conferma di tale orientamento, la decisione in commento indica pure la sentenza 25972/2014, per la quale nella valutazione, a fini fiscali, dei processi di riordino aziendale realizzati mediante contratti di sale and lease back, integra gli estremi della condotta abusiva – e non l’illiceità della causa ovvero l’illiceità del motivo – quella costruzione che, tenuto conto sia della volontà delle parti implicate, sia del contesto fattuale e giuridico, ponga quale elemento essenziale dell’operazione economica lo scopo di ottenere vantaggi fiscali, con l’effetto che il divieto di comportamenti abusivi non vale ove quelle operazioni possano spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi d’imposta e manchi il presupposto dell’esistenza di un alternativo strumento giuridico che sia comunque idoneo e funzionale al raggiungimento dell’obiettivo economico perseguito.
In tale decisione, il Supremo collegio aveva rilevato che neppure il più favorevole ammortamento dei canoni di locazione finanziaria rispetto alla deduzione delle quote di ammortamento derivanti dall’acquisizione/costruzione immobiliare gravata da mutuo, legittima la qualificazione dell’operazione quale volta a ottenere un illegittimo risparmio d’imposta, se non venga dimostrato dall’ufficio finanziario l’inesistenza di valide ragioni economiche (come quelle di liquidità monetaria, di ripartizione del rischio e di garanzia patrimoniale) in base alla rigorosa prova comparativa del vantaggio fiscale globalmente considerato tra acquirente utilizzatore e società di locazione finanziaria.
La decisione della Corte di legittimità in nota non affronta la questione interpretativa offerta dall’articolo 1, comma 34, della legge 244/2007, il quale ha stabilito che gli ammortamenti effettuati a partire dal 2008 (ossia dal momento dell’abrogazione della facoltà di dedurre ammortamenti anticipati) possono essere disconosciuti “se non coerenti con i comportamenti contabili sistematicamente adottati nei precedenti esercizi, salva la possibilità per l’impresa di dimostrare la giustificazione economica di detti componenti in base a corretti principi contabili”.
A ogni modo, la decisione della Cassazione in commento ha risolto la controversia evidenziando come, nonostante fosse stato attivato sin dall’origine il contraddittorio procedimentale sulla natura elusiva di tale modalità di ammortamento, la società contribuente non avesse mai non solo provato, ma nemmeno allegato – anche in corso di causa – qualsivoglia “ragione extrafiscale” tantomeno “non marginale” (ritenuta necessaria dalle pronunce della Cassazione 8772/2008, 10257/2008 e 25972/2014) dell’improvviso raddoppio dei coefficienti di ammortamento, che potesse valere a inquadrare il contestato vantaggio fiscale “indebito” come legittimo risparmio di imposta.
Peraltro, il Supremo collegio, nella sentenza 528/2007, aveva affermato che l’avvenuta abrogazioneex articolo 5 del Dpr 695/1996 dell’obbligo di registrazione nell’apposito registro dei beni ammortizzabili, previsto dall’articolo 75, comma 6, del Tuir (ante 2004) che riconosceva la deducibilità delle relative quote di ammortamento, sempreché fossero state annotate in altre scritture contabili, aveva natura retroattiva.
In merito all’abuso del diritto nei riguardi delle deduzione delle quote di ammortamento, la Corte regolatrice del diritto era già intervenuta più volte con la decisione 8481/2009 ove, dopo aver ritenuto che il gruppo di società dev’essere individuato quale unico imprenditore, rinviene l’effetto che il contratto di locazione finanziaria di beni ammortizzabili stipulati tra due società del medesimo gruppo realizza un abuso di diritto tributario.
Nella successiva decisione di legittimità 17190/2009, si era statuito come l’atto di autonomia privata, con il quale i soggetti del leasing regolino il loro rapporto, adattandolo alle loro sopravvenute esigenze attraverso una riduzione della sua durata, produca un effetto – la riduzione della durata del contratto a un periodo inferiore agli otto anni (ossia al termine previsto dalla norma tributaria) – che, a prescindere dagli altri profili della sua natura giuridica, è di per sé sufficiente per escludere la deducibilità di tutti i canoni di leasing.
Il Supremo collegio giustifica tale affermazione dalla constatazione che, se non fosse così, sarebbe sufficiente, per poter dedurre dall’imponibile i canoni di un leasing di durata inferiore agli otto anni, stipulare dapprima un contratto di tale natura per una durata superiore agli otto anni e, poi, prima che sia decorso l’intero periodo previsto per la sua efficacia, adottare un qualsiasi atto negoziale che ne decurti la durata inizialmente prevista, eludendo così il divieto della legge fiscale.