Il tempo limite per effettuare i controlli “a casa” è meramente ordinatorio, nessuna norma lo dichiara perentorio o stabilisce la nullità degli atti compiuti dopo il suo decorso.
Il termine di permanenza degli operatori, civili o militari, dell’Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente e della società deve essere computato non sulla base dei giorni trascorsi tra l’inizio e la fine delle operazioni di verifica, ma considerando i giorni lavorativi di effettiva permanenza presso la stessa sede. Trattandosi di termine ordinatorio, il legislatore non ricollega alla sua violazione l’inutilizzabilità delle prove raccolte o la nullità degli atti di accertamento compiuti.
Lo ha precisato la Cassazione, con l’ordinanza n. 10481 del 27 aprile 2017.
I fatti
A seguito di accesso presso la sede dell’impresa (coincidente con l’abitazione del legale rappresentante) e di verifica fiscale conclusasi con Pvc, l’ufficio ha accertato maggiori Ires, Irap e Iva relative all’anno d’imposta 2005, nei confronti di una società di trasporti. Nei gradi di merito i giudici hanno accolto il ricorso della contribuente, dichiarando la nullità dell’atto impositivo per violazione dell’articolo 12, comma 5, legge 212/2000, visto che la permanenza dei verificatori si era protratta nei locali dell’impresa per oltre 30 giorni.
In particolare, la Commissione regionale ha precisato che i termini di 30 – 60 giorni previsti dallo Statuto del contribuente, erano stati violati poiché:
a) la verifica, iniziata il 13 gennaio 2010 e conclusasi il 26 maggio 2010, si era estesa per più di 60 giorni (quindi, anche oltre gli ulteriori 30 giorni di proroga dei primi 30, previsti per casi particolari, giustificati solo da specifiche ragioni motivate con provvedimento del dirigente dell’ufficio)
b) non potevano essere prorogati per più di una volta, invocando la necessità di reperire ulteriore documentazione, né essere non continuativi, salvo estendere a tempo indefinito l’attività di controllo
c) hanno natura perentoria, indipendentemente dalle modalità con le quali l’Amministrazione intende svolgere la propria attività di controllo.
Di diverso avviso l’Agenzia delle Entrate, che ha proposto ricorso per cassazione, lamentando violazione e falsa applicazione dell’articolo 12, comma 5, legge 212/2000. La Corte lo ha accolto e ha ribadito (cfr nn. 17002/2012, 14020 e 19338 del 2011) che, “in tema di verifiche tributarie, il termine di permanenza degli operatori civili o militari dell’Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente è meramente ordinatorio, in quanto nessuna disposizione lo dichiara perentorio, o stabilisce la nullità degli atti compiuti dopo il suo decorso, né la nullità di tali atti può ricavarsi dalla ‘ratio’ delle disposizioni in materia, apparendo sproporzionata la sanzione del venir meno del potere accertativo fiscale a fronte del disagio arrecato al contribuente dalla più lunga permanenza degli agenti dell’Amministrazione“.
Osservazioni
L’articolo 12, comma 5 della legge 212/2000, nel testo vigente ratione temporis, disponeva che “la permanenza degli operatori… , dovuta a verifiche presso la sede del contribuente, non può superare i trenta giorni lavorativi, prorogabili per ulteriori trenta giorni nei casi di particolare complessità dell’indagine individuati e motivati dal dirigente dell’ufficio. Gli operatori possono ritornare nella sede del contribuente, decorso tale periodo, per esaminare le osservazioni e le richieste eventualmente presentate dal contribuente dopo la conclusione delle operazioni di verifica ovvero, previo assenso motivato del dirigente dell’ufficio, per specifiche ragioni“.
A tale riguardo, i giudici di legittimità hanno evidenziato gli strumenti di difesa che la stessa legge 212 mette a disposizione del contribuente per le eventuali irregolarità commesse dai verificatori durante l’ispezione, tra le quali devono essere compresi anche i casi di ingiustificata protrazione delle operazioni di verifica.
In particolare, il contribuente, oltre a formulare a verbale osservazioni e rilievi (articolo 12, comma 4), può rivolgersi al Garante (articolo 12, comma 6). Quest’ultimo, in seguito alla segnalazione, esercita i poteri istruttori richiesti dal caso (articolo 13, comma 6), richiamando gli uffici al rispetto di quanto previsto dagli articoli 5 e 12 della stessa legge (articolo 13, comma 9). Inoltre, ove rilevi comportamenti che determinano un pregiudizio a danno del contribuente ovvero conseguenze negative nei suoi rapporti con l’amministrazione, trasmette le relative segnalazioni ai titolari degli organi dirigenziali al fine di un eventuale avvio del procedimento disciplinare (articolo 13, comma 11).
Con riferimento alle conseguenze derivanti dal superamento del termine di durata delle operazioni di verifica, la Cassazione ha precisato che nessuna norma (sanzionatoria) rende invalidi gli atti compiuti o inutilizzabili le prove raccolte o comporta la nullità derivata dell’atto impositivo ovvero prevede la sopravvenuta carenza del potere di accertamento ispettivo dell’Amministrazione finanziaria. Tale scelta del legislatore risulta giustificata razionalmente dal mancato coinvolgimento di diritti del contribuente costituzionalmente tutelati (Cassazione, nn. 7584/2015 e 24690/2014). Infatti, nonostante la formula lessicale del divieto utilizzata nel comma 5 (“la permanenza….non può superare i trenta giorni…“) appaia analoga a quella impiegata nel comma 7 dell’articolo 12 (“l’avviso non può essere emanato prima della scadenza….“), non può istituirsi una diretta corrispondenza tra le due fattispecie, essendo diversi sia gli “oggetti” (provvedimento tributario; comportamento materiale dei funzionari pubblici) sui quali hanno effetto i rispettivi divieti sia la rilevanza degli interessi sostanziali sottesi (corretta formazione del rapporto tributario; interesse negativo del soggetto alla presenza di soggetti estranei nei locali in cui si svolge l’attività economica – Cassazione, n. 7870/2015).
I giudici di legittimità, inoltre, hanno escluso che le prospettate nullità possano derivare dalla natura perentoria del termine (Cassazione, sentenza n. 16323/2014). Si tratta, infatti, di un termine meramente ordinatorio, sia perché nessuna disposizione lo dichiara perentorio o stabilisce la nullità degli atti compiuti dopo il suo decorso sia perché tale sanzione è sproporzionata rispetto al disagio arrecato al contribuente dalla più lunga permanenza degli agenti del Fisco (Cassazione, n. 26732/2013).
E se nessuna sanzione, in termini di inutilizzabilità delle prove acquisite e di nullità dell’atto emanato, è prevista dal legislatore in caso di maggiore permanenza dei verificatori presso la sede dell’impresa, tali conclusioni a maggior ragione valgono se la durata delle operazioni di verifica è stata sospesa più volte, come certificato nei verbali giornalieri.
Nel caso in esame, infatti, la Corte ha dato atto che la Commissione regionale, per il computo dei 30 – 60 giorni lavorativi, si era limitata a tener conto solo della data di inizio della verifica e della data di consegna del Pvc (computando quindi anche quelli impiegati per verifiche eseguite al di fuori della sede della contribuente – Cassazione, sentenze nn. 3762/2013 e 23595/2011) senza, invece, considerare che l’articolo 12, comma 5, legge 212/2000, non si riferisce alla durata delle attività di verifica ma alla durata della permanenza nella sede della contribuente (Cassazione, n. 5315/2015).