Abuso edilizio su veranda: chi ha la responsabilità? Ne parla la Corte di Cassazione, sez. II Civile, con sentenza 19 maggio – 16 settembre 2015, n. 18140.
Con atto di citazione notificato il 31 dicembre 2003 M. P. proponeva opposizione, dinanzi al Tribunale di Palermo – Sezione distaccata di Carini, avverso il decreto ingiuntivo n. 137 del 2003 emesso il 4.11.2003, per €. 2.943,78, dal Presidente del medesimo ufficio in favore di P. C., quale titolare della I.I., a titolo di provvigione per la mediazione prestata in relazione alla vendita di appartamento sito in Capaci di proprietà di A. L., deducendo che seppure aveva formulato proposta di acquisto per l’immobile su modulo predisposto dallo stesso mediatore (sottoscritta anche dalla proprietaria venditrice), l’accordo era stato per mutuo consenso annullato in data 19.7.2003, con restituzione della caparra, per avere accertato solo dopo la proposta che il bene era pervenuto alla proprietaria in forza di donazione e che la veranda, adibita a cucina, era abusiva; tanto premesso, chiedeva revocarsi il d.i., anche per non avere dato l’opposto prova di essere iscritto ad apposito albo, e spiegava domanda di risarcimento dei danno da patema d’animo procuratogli dalla vicenda, da liquidarsi in via equitativa, venuto meno il mediatore agli obblighi ex art. 1759 c.c..
Instaurato il contraddittorio, nella resistenza del C., il giudice adito respingeva l’opposizione e per l’effetto confermava il d.i. opposto. In virtù di rituale appello interposto dal P., con il quale formulava cinque censure, la Corte di appello di Palermo, nella resistenza dell’appellato, accoglieva il gravame e per l’effetto – in riforma della decisione di prime cure – accoglieva l’opposizione e revocava il dì. A sostegno della decisione adottata la corte territoriale evidenziava che dalla consulenza tecnica espletata emergeva la non condonabilità della veranda adibita a cucina dell’immobile oggetto di mediazione, che aveva una posizione centrale nella destinazione (cucina), peraltro di ampia metratura, per cui doveva ritenersi che detta disposizione fosse stata determinate al fine del consenso prestato dal P., `costituendo una qualità essenziale per l’uso del bene che egli si accingeva ad acquistare’.
Di detta circostanza il C. non aveva dato alcuna informazione al P., pur essendo a ciò tenuto a mente dell’art. 1759 c.c., dovendo egli impiegare la diligenza qualificata richiesta dall’art. 1176, comma 2, c.c.. Avverso la indicata sentenza della Corte di appello di Palermo ha proposto ricorso per cassazione il C., sulla base di due motivi, cui ha replicato con controricorso il P..
Con il primo motivo il ricorrente deduce la falsa interpretazione dell’art. 1759 c.c. in relazione all’art. 1176, comma 2, c.c. giacchè ad avviso dello stesso non sarebbe imposto al mediatore uno specifico obbligo di diligenza qualificata, rispondendo solo della competenza tecnica e della diligenza per controllare la veridicità della documentazione utile.
Con il secondo motivo il ricorrente, nel denunciare un vizio di motivazione, lamenta che la corte di appello si sia discostata dalle conclusioni del c.t.u. quanto alla incidenza della abusività della veranda rispetto alla vendita, senza dimostrarne la erroneità con appropriate argomentazioni. Rispetto all’esame delle doglianze appare incongruo il rilievo preliminare contenuto in controricorso, secondo il quale le censure sarebbero inammissibili ex art. 360 bis n. 1 c.p.c., perché non riconducibili a una violazione dei principi regolatori dei giusto processo.
Premesso che il ricorso sfugge al regime dei quesiti ex art. 58, comma 5, legge n. 69 del 2009 e che la censura ex art. 360 c.p.c., n. 5 non è stata espunta dalla legge n. 69 del 2009 cit., che ha riformato il giudizio di cassazione, l’interpretazione fin qui prevalsa ha confinato la portata limitatrice di cui all’art. 360 bis c.p.c., n. 2 alla materia processuale, senza intaccare le facoltà previste in ordine alla denuncia sia della violazione di legge sia del vizio di motivazione, la cui corretta formulazione implica comunque il rispetto dei canoni da tempo individuati, rivisti con la riforma di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006 (cfr Cass. Sez. U. n. 19051 del 2010; da ultimo, Cass. n. 7558 del 2012).
Ciò posto, i due mezzi, tra loro connessi, possono essere congiuntamente esaminati. In particolare, il primo motivo contesta la sussistenza della responsabilità del mediatore per la parziale abusività dell’immobile oggetto di compravendita; il secondo mezzo si duole dei fatto che la corte distrettuale si sia discostata dalle conclusioni del c.t.u. nel valutare l’incidenza dell’abuso sull’affare concluso.
Le censure sono infondate. È acquisito l’indirizzo interpretativo di questa Corte (cfr. Cass. 26.5.1999 n. 5107), secondo cui l’art. 1759, 1″ comma, c.c., laddove impone al mediatore di comunicare alle parti le circostanze a lui note, relative alla valutazione e alla sicurezza dell’affare, che possono influire sulla sua conclusione, deve essere letto in coordinazione con gli artt. 1175 e 1176 dello stesso codice, nonché al lume della disciplina dettata dalla legge n. 39 del 1989, attuativa della Direttiva CE 2006/123, che ha posto in risalto la natura professionale dell’attività del mediatore, subordinandone l’esercizio all’iscrizione in un apposito ruolo, che richiede determinati requisiti di cultura e competenza (art. 2), e condizionando all’iscrizione stessa la spettanza del compenso (art. 6). Con la conseguenza che il mediatore, pur non essendo tenuto, in difetto di un incarico particolare in proposito, a svolgere, nell’adempimento della sua prestazione, specifiche indagini di natura tecnico-giuridica (come l’accertamento della regolarità edilizia ed urbanistica dell’immobile oggetto del trasferimento), al fine di individuare circostanze rilevanti circa la conclusione dell’affare a lui non note, è gravato, tuttavia, di un obbligo di corretta informazione, secondo il criterio della media diligenza professionale, il quale comprende, in senso positivo, l’obbligo di comunicare le circostanze a lui note o comunque conoscibili con la comune diligenza che si richiede al mediatore, nonché, in senso negativo, il divieto di fornire non solo informazioni non veritiere, ma anche informazioni su circostanze delle quali non abbia consapevolezza e che non abbia controllato, poiché il dovere di correttezza e quello di diligenza gli imporrebbero in tal caso di astenersi dal darle.
Ne consegue che, qualora il mediatore dia informazioni su circostanze di cui non abbia consapevolezza e che non abbia controllato, le quali si rivelino poi inesatte e non veritiere, owero ometta di comunicare circostanze da lui non conosciute ma conoscibili con l’ordinaria diligenza professionale, è legittimamente configurabile una sua responsabilità per i danni sofferti, per l’effetto, dal cliente (Cass. 24 ottobre 2003 n. 16009). Alla stregua di tale principio – cui questo Collegio si adegua – non può che condividersi il paradigma argomentativo posto a base della decisione impugnata che ha sul punto affermato sussistere l’inadempimento da parte del ricorrente dell’obbligo di informazione previsto dall’art. 1759 c.c., giacchè – accertata la centralità della veranda abusiva, non condonata né condonabile, nell’economia dell’affare, sia per la destinazione funzionale (adibita a cucina e dunque a servizio) sia per le caratteristiche strutturali (la posizione centrale della stessa rispetto alla disposizione degli altri locali e l’ampia metratura) – nello stesso modulo sottoscritto dalle parti, predisposto dal mediatore, si dava atto della regolarità edilizia ed urbanistica dell’immobile (v. pag. 15 della sentenza impugnata).
Ne discende che trattandosi di circostanza a lui nota ovvero in ordine alla quale aveva l’onere di controllare la veridicità delle informazioni ricevute, non ha assolto l’obbligo di corretta informazione, in base al criterio della media diligenza professionale, il quale comprende l’obbligo di comunicare non solo le circostanze note al mediatore ma anche quelle conoscibili con la diligenza professionale richiesta al mediatore, per quanto sopra esposto. I giudici di appello hanno, pertanto, correttamente fatto riferimento alla media diligenza professionale che avrebbe imposto un’indagine del mediatore in ordine alla situazione urbanistica dell’immobile in questione, prima di attestarne la regolarità, anche indipendentemente dalla possibilità che il contraente avesse di acquisire mediante gli ordinari mezzi di pubblicità ogni utile notizia, poiché era operante un obbligo specifico professionale nell’ambito dell’attività mediatoria, che, da una parte, integra una valida ragione per resistere, in tutto o in parte, alla pretesa dei pagamento della provvigione e, dall’altra, fonda la domanda di risarcimento dei danni nei confronti del mediatore.
Sotto altro profilo si ravvisa la inconsistenza anche della asserita incongruenza della sentenza impugnata rispetto alle conclusioni del c.t.u., dal momento che il giudice distrettuale ha utilizzato i rilievi tecnici forniti dal consulente tecnico, quanto alla difformità edilizia ed urbanistica dell’appartamento in questione, per poi farne discendere – con valutazione di merito, incensurabile nel giudizio di legittimità – la rilevante incidenza economica dell’abuso sull’affare. Pertanto nessun apprezzabile discostamento vi è stato rispetto alle conclusioni del c.t.u., ma solo una diversa valorizzazione delle circostanze acquisite.
Conclusivamente il ricorso va rigettato, con condanna del ricorrente alla rifusione delle spese dei giudizio di legittimità.