Tante aziende sfruttano i benefici previsti dal provvedimento senza necessità.
Ciò che avevamo paventato, si sta puntualmente verificando. Potremmo definirlo: effetto furbizia jobs act. Sono tante le aziende che stanno sfruttando i benefici previsti dal provvedimento, senza che ve ne sia effettiva necessità.
Ecco un caso che si sta concretamente verificando in questi giorni. Un’azienda, che non ha alcun problema di mercato, opera, complessivamente, con circa 400 addetti: 200 risultano nel suo libro paga a tempo indeterminato, 182 sono lavoratori di cooperative che, tuttavia, godono degli stessi diritti di quei loro colleghi.
Questi ultimi, però, sono stati licenziati e stanno per essere riassunti dalla stessa azienda “madre” utilizzando le norme del Jobs Act. Dunque, saranno per sei mesi in somministrazione e, poi, avranno il cosiddetto contratto a tutele crescenti.
Risultato finale: quei 182 addetti continueranno sì a lavorare, ma con una riduzione delle tutele e dei diritti rispetto alla loro precedente condizione e con un risparmio annuo per l’impresa di circa 4 milioni di euro. Certamente non c’è inganno, perché non è contra legem, ma sicuramente c’è un bel trucco che lo stesso provvedimento non impedisce.
Già un mese fa la UIL teneva una linea critica con il segretario Carmelo Barbagallo, per il quale «il governo ha fatto solo un favore agli imprenditori e sta eseguendo i compitini assegnati dalla Merkel». Per il leader della Uil, «nemmeno il governo Berlusconi era riuscito ad abolire l’articolo 18, monetizzando i licenziamenti». Di qui l’invito di Barbagallo a Cgil e Cisl a predisporre «un percorso comune e iniziative unitarie» anche per correggere gli «errori» che scaturiranno dai decreti attuativi del provvedimento.
FONTE: UIL – Unione Italiana del Lavoro
AUTORE: Guglielmo Loy