Secondo un rapporto preliminare dell’Antitrust europeo, due commercianti su cinque subiscono raccomandazioni sui prezzi dai parte dei produttori; uno su cinque è contrattualmente obbligato a non vendere online la merce; uno su dieci è obbligato a non vendere su siti che mettono i prezzi a confronto e a non vendere fuori dal suo Paese.
ll commercio online è in continua crescita ma produttori e commercianti al dettaglio attuano una serie di pratiche che secondo la Commissione Ue possono danneggiare la concorrenza e limitare la scelta dei consumatori: è quanto emerge dal rapporto preliminare dell’Antitrust europeo sull’e-commerce, voluto a maggio scorso dalla commissaria Margrethe Vestager per fare luce su un mondo in evoluzione le cui pratiche sono spesso frutto di accordi diretti tra produttore e commerciante a cui Bruxelles vuole mettere fine. Il rapporto indica alcune delle pratiche ‘scorrette’, che la Commissione suggerisce agli interessati di eliminare già ora, prima che l’indagine vada avanti.
Tra queste: due commercianti su cinque subiscono raccomandazioni sui prezzi dai parte dei produttori; uno su cinque è contrattualmente obbligato a non vendere online la merce; uno su dieci è obbligato a non vendere su siti che mettono i prezzi a confronto e a non vendere fuori dal suo Paese. Il geo-blocking è una pratica già finita nel mirino di Bruxelles che a marzo scorso constatò come sia utilizzata nel 60% di vendite di contenuti digitali. L’inchiesta non è ancora finita, ma per la Commissione c’è già l’evidenza che quando il geo-blocking è frutto di accordi tra fornitore e distributore, c’è il rischio che sia anticoncorrenziale. “Le aziende dovrebbero avere la libertà di determinare le proprie strategie di vendita online. L’antitrust deve assicurarsi che non utilizzino modalità anticoncorrenziali, che restringono la scelta dei consumatori”, ha detto la Vestager.