La mia impressione sulla vicenda di UberPop è che sia uno di quei fatti che, pur passando quasi inosservati nel quotidiano scorrimento degli eventi, siano invece destinati a cambiare la storia. Sono certo, infatti, che il dibattito sui temi della “sharing economy” occuperà ampio spazio negli anni a venire e che le risposte che la politica e la società civile sapranno dare al riguardo costituiranno un elemento decisivo per la rinascita o la decadenza del nostro Paese.
Per questo motivo, la prima considerazione che voglio fare è in realtà un auspicio: che la politica sia abbastanza energica e lungimirante da affrontare prontamente la questione, operando scelte coraggiose e dirompenti. Non è compito dei tribunali definire gli indirizzi strategici in uno stato democratico e ciò vale ancor di più su questioni che hanno una portata economica e sociale così ampia.
Entrando nel merito della vicenda, la posizione di Digiconsum è di un convinto sostegno alla proposta di emendamento al ddl Concorrenza presentata dall’on. Sergio Boccadutri, che peraltro riprende e sviluppa molti dei suggerimenti già forniti dall’Autorità dei Trasporti.
Poche regole, ma molto chiare:
- un registro regionale per garantire l’affidabilità dell’autista e del mezzo utilizzato (tra i requisiti: fedina penale pulita, una certa anzianità di guida, essere in regola con la periodica verifica dell’auto e con gli obblighi assicurativi);
- maggiori responsabilità per Uber (e per tutti i suoi concorrenti) che dovrà vigilare e segnalare eventuali violazioni e soprattutto agire come sostituto d’imposta del driver.
Si risolverebbero così i nodi principali della questione, ovvero l’aspetto fiscale e la sicurezza dei clienti, migliorando addirittura la situazione attuale.
Come presidente di un’associazione nata per promuovere la cittadinanza digitale, è naturale che io sia favorevole all’utilizzo delle nuove tecnologie per aumentare il benessere dei cittadini. Mi preme aggiungere, tuttavia, che il ruolo della politica deve essere quello di ascoltare e garantire tutti i cittadini, tassisti compresi, trovando il modo per compensare le inevitabili ripercussioni che questo cambiamento comporterà per loro.
Non sottovalutiamo l’aspetto sociale della questione: mi addolora osservare quanto la Rete diventi sempre più occasione per esprimere odio, piuttosto che solidarietà. I tassisti non sono dei mascalzoni, sono persone oneste che fanno un lavoro duro e spesso rischioso: questo concetto deve passare forte e chiaro, anche e soprattutto da parte di chi, come noi, è favorevole a Uber.
Per concludere, ritengo che con le dovute regole e con gli auspicabili “ammortizzatori”, tutti si renderanno conto che il corretto utilizzo della tecnologia garantisce trasparenza, legalità e maggiore sicurezza per tutti. Penso ad esempio alla tassista violentata a Roma poche settimane fa: se il cliente fosse stato registrato su una piattaforma non ci sarebbe stato bisogno di alcun identikit.