Va retribuito il tempo che impiega un dipendente per la timbratura del badge e l’accensione del pc? Ecco cosa dice la Cassazione.
Per “orario di lavoro” s’intende quel tempo che i dipendenti dedicano al lavoro retribuito e il datore di lavoro ha l’obbligo di retribuirlo per intero.
L’inizio effettivo del lavoro, però, solitamente viene fatto coincidere con l’inizio delle attività vere e proprie e non con lo svolgimento di attività “accessorie”, come la timbratura del badge o l’accensione del pc.
Una recente sentenza della Cassazione ha chiarito la situazione.
Tempo timbratura badge e accensione pc: va retribuito?
Quando un dipendente va al lavoro, svolge solitamente alcune attività “preparatorie”, prima di iniziare il lavoro e proprio. Come, ad esempio, timbrare il badge per confermare la propria presenza all’inizio del turno oppure l’accensione del computer.
Ebbene, secondo la recente ordinanza n°14848, depositata lo scorso 28 maggio, della Corte di Cassazione, anche il tempo impiegato per svolgere queste azioni va retribuito.
I giudici hanno respinto il ricorso di una grande azienda di telecomunicazioni, dando ragione ai dipendenti. Secondo i giudici, infatti, ogni minuto passato all’interno dell’azienda va retribuito, non solo il tempo in cui il dipendente svolge le proprie attività di lavoro.
La Corte d’appello di Roma aveva accolto l’appello dei dipendenti, dichiarando che avevano diritto alla retribuzione dei cinque minuti giornalieri per la timbratura del cartellino in entrata e di altri cinque minuti di tempo per la timbratura relativa all’uscita.
La Cassazione, rifiutando il ricorso dell’azienda, ha confermato il diritto alla retribuzione di tutto il tempo passato nell’azienda. Compreso quello in cui il dipendente non svolge mansioni per cui è stato assunto.
Oltre alla timbratura del badge e all’accensione del computer, rientra in questa casistica anche il tempo impiegato per cambiarsi e indossare la tenuta da lavoro.
La normativa sull’orario di lavoro
La Suprema Corte ha, così, condiviso una conclusione già raggiunta dalla Corte d’Appello. Che è in linea con la normativa sul lavoro, prevista dal Dlgs 66/2003 e le direttive comunitarie 93/104 e 203/88.
Una pronuncia che si fonda sul principio, secondo il quale, il tempo retribuito richiede che le operazioni anteriori o posteriori della prestazione lavorativa siano necessarie e obbligatorie.
Come ricordato dalla Cassazione, è rilevante non solo
“il tempo della prestazione effettiva ma anche a quello della disponibilità del lavoratore e della sua presenza sui luoghi di lavoro. Per questo è orario di lavoro l’arco temporale comunque trascorso dal lavoratore medesimo all’interno dell’azienda nell’espletamento di attività prodromiche ed accessorie allo svolgimento, in senso stretto, delle mansioni affidategli, ove il datore di lavoro non provi che egli sia ivi libero di autodeterminarsi ovvero non assoggettato al potere gerarchico”.
Si tratta di una conclusione logica e fondata perché
“è la datrice di lavoro che ha deciso come strutturare la propria sede; dove collocare la postazione di lavoro dei ricorrenti ed il percorso da effettuare; è la datrice di lavoro che ha assegnato ai ricorrenti mansioni svolgibili solo tramite una postazione telematica ed ha quindi provveduto a scegliere il tipo di computer che ha ritenuto più opportuno e ne ha determinato con puntualità la procedura di accensione necessaria all’uso della stessa determinando così anche i tempi necessari; è la datrice che ha deciso che all’orario esatto di inizio turno i ricorrenti debbano essere già innanzi alla propria postazione già inizializzata e pronta all’uso”.
Fonte: articolo di redazione lentepubblica.it