La Legge di bilancio 2018 (c. 1008 e 1009) ha modificato le modalità di tassazione dei dividendi provenienti da Stati paradisiaci.
A seguito di tali modifiche, i dividendi percepiti da società di capitali/enti commerciali sono attualmente soggetti a tre possibili distinti regimi di tassazione:
– il regime ordinario di esclusione dal reddito per il 95% del relativo ammontare, con riferimento a tutti i dividendi di fonte italiana ed estera, con esclusione di quelli “black list” salvo quelli in relazione ai quali sia dimostrato (tramite interpello preventivo o successivamente) che “non sia conseguito l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori a regime fiscale privilegiato” (cd. “2° esimente”);
– il nuovo regime di esclusione dal reddito per il 50% del relativo ammontare dei dividendi black list, a condizione che sia dimostrato (tramite interpello preventivo o successivamente) che il soggetto non residente svolga effettivamente, come sua principale attività, un’attività industriale o commerciale nel mercato dello Stato/territorio di insediamento (cd. “1° esimente”); in tal caso all’impresa italiana viene concesso un credito per imposte estere “indiretto” (riferito alle imposte estere dal soggetto black list maturate durante il periodo di possesso della partecipazione, in proporzione alla quota imponibile degli utili conseguiti e nei limiti dell’imposta italiana relativa a tali utili)
– il regime di totale imponibilità, con riferimento ai dividendi black list, per i quali non sia applicata la tassazione per trasparenza (CFC) e non sia dimostrata nessuna delle 2° esimenti di cui sopra.
Un ultimo regime riguarda il regime di trasparenza “CFC”, per i dividendi derivanti da soggetti black list controllati (direttamente o indirettamente) dall’impresa italiana.
La legge 208/2015 ha rivoluzionato ulteriormente la base normativa in materia. Il comma 142, infatti, ha abrogato la disciplina speciale che prevedeva, in caso di operazioni intercorse con soggetti operanti in Paesi con regime fiscale privilegiato, la deducibilità dei costi nei limiti del valore normale dei componenti negativi, a meno che non fosse stato provato che le operazioni compiute non rispondessero a un effettivo interesse economico, concretamente eseguito.