Una nuova pronuncia del TAR del Lazio riapre il fronte della della cosiddetta cannabis light: sospeso il divieto imposto dal Ddl Sicurezza.
Questo testo normativo, infatti, introduce una serie di misure significative, tra cui il controverso divieto di produzione e commercializzazione di questo prodotto. La norma è stata proposta con l’obiettivo di rafforzare la sicurezza nazionale e combattere fenomeni di criminalità diffusa e organizzata. Il governo considera tali misure come necessarie per garantire la sicurezza dei cittadini e ridurre l’illegalità.
Tra i vari articoli contenuti nel disegno di legge, spicca sicuramente quello che introduce il divieto di produzione e vendita della cannabis light, rendendo illegali le infiorescenze di canapa industriale e i suoi derivati. Si tratta in particolare dell’art. 18, il quale prevede che “Sono vietati l’importazione, la cessione, la lavorazione, la distribuzione, il commercio, il trasporto, l’invio, la spedizione e la consegna delle infiorescenze della canapa coltivata ai sensi del comma 1 del presente articolo, anche in forma semilavorata, essiccata o triturata, nonché di prodotti contenenti o costituiti da tali infiorescenze, compresi gli estratti, le resine e gli oli da esse derivati.”
La norma, quindi, vieta completamente la coltivazione e la vendita di cannabis light. Il governo infatti sostiene che tale sostanza rappresenta un rischio per la salute pubblica e incentiva la diffusione di comportamenti illeciti.
Le polemiche per questo veto
Ebbene, l’intervento normativo in questione ha sollevato non poche polemiche, tanto da rendere necessario l’intervento del TAR Lazio e attirare l’attenzione della Commissione Europea.
Profonda la preoccupazione espressa dalle associazioni di categoria per il divieto previsto nel D.D.L., tra cui Confagricoltura e CIA-Agricoltori Italiani. Secondo tali associazioni, l’intervento normativo rischia di colpire duramente non solo il settore alimentare (avente ad oggetto la produzione di semi e proteine), ma anche quelli tessile ed edile, che sono strettamente legati alla coltivazione della Cannabis sativa industriale.
Trend in crescita per il mercato europeo della canapa industriale
In questi anni, il mercato europeo della canapa industriale ha avuto una rapida crescita. Infatti, secondo alcune previsioni, il volume di affari in tale settore potrebbe raggiungere un valore di circa 2,2 miliardi di euro. Molte sono le aziende agricole italiane che hanno deciso di puntare sulla coltivazione della canapa, sfruttando la versatilità di tale pianta in vari settori, tra cui quelli alimentare, tessile, edile e cosmetico.
Pertanto, il divieto in commento potrebbe mettere a rischio una filiera che, nel nostro Paese, conta circa 10.000 lavoratori, 2.000 aziende e 800 negozi.
Chiarimenti importanti sono giunti da parte del Dipartimento per le Politiche Antidroga, che ha ribadito che il D.D.L. non criminalizza né incide sulla coltivazione e sulla filiera agroindustriale della canapa, così come regolata dalla legge n. 242/2016. Tale normativa, infatti, consente la coltivazione della Cannabis Sativa L. solo per scopi industriali, in conformità alle norme europee e internazionali.
Il Dipartimento inoltre specifica che la legge del 2016 autorizza esclusivamente l’uso della canapa per fini alimentari, cosmetici, tessili ed edili, escludendo le infiorescenze e i suoi derivati dall’elenco dei prodotti legali.
L’intervento dell’OMS e della Commissione Europea
Importante al riguardo è anche la posizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che ha confermato che la cannabis light, contenente principalmente cannabidiolo (CBD) e con livelli di THC inferiori allo 0,2%, non produce effetti stupefacenti, motivo per cui non dovrebbe essere classificata come droga.
Sulla questione, inoltre è intervenuta anche la Commissione Europea, che in questi giorni sta valutando la conformità al diritto comunitario del decreto emesso dal Ministero della Salute italiano. L’intervento della Commissione è stato confermato dalla commissaria europea alla Salute, Stella Kyriakides, la quale ha dichiarato che la Commissione ha ricevuto alcune denunce aventi ad oggetto tale normativa, motivo per cui ne sta valutando la conformità al diritto dell’Unione Europea e in particolare alla previsione di cui all’art. 36 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), che disciplina i divieti o le restrizioni all’importazione, all’esportazione e al transito di beni e servizi nel mercato unico europeo.
Il TAR del Lazio sospende il divieto alla cannabis light
Tuttavia, il quadro appena delineato è stato di recente messo in discussione da alcune pronunce del TAR Lazio, che sospendono il decreto del Ministero della Salute, accogliendo i ricorsi avanzati da molte aziende della filiera.
Infatti, con un’ordinanza pronunciata in data 23 ottobre, il Tar ha confermato quanto già disposto in una precedente pronuncia del mese di settembre.
Il Tar ha ritenuto che “nella piena condivisione di quanto già statuito, sussistano, anche nella fattispecie, i presupposti per l’accoglimento della proposta istanza cautelare, confermandosi l’udienza pubblica del 16 dicembre 2024, già fissata, ai fini della trattazione congiunta dei ricorsi inerenti la vicenda di cui trattasi“.
In particolare, il giudice amministrativo ha affermato che sussistono elementi sufficienti per dubitare della legittimità del decreto, evidenziando che il CBD non presenta le caratteristiche chimiche e farmacologiche che ne giustificherebbero la classificazione come sostanza stupefacente. Nella sua decisione, il TAR ha citato una perizia tecnica, dalla quale emergeva che il CBD non provoca dipendenza né produce effetti psicoattivi significativi, rispetto alle sostanze riconosciute come stupefacenti.
Scenari futuri
In conclusione, l’emendamento proposto dal Governo italiano, che prevede il divieto totale di produzione e commercializzazione della cannabis light, solleva gravi preoccupazioni per la filiera economica legata a questo settore. Sebbene il Governo giustifichi tali misure come necessarie per garantire la sicurezza nazionale e combattere l’illegalità, il rischio di impatti devastanti sulle attività economiche già consolidate è palpabile. Le associazioni di categoria evidenziano come questa normativa possa non solo compromettere l’occupazione e l’innovazione in un mercato in rapida crescita, ma anche violare normative europee sul libero scambio. La questione, quindi, non riguarda solo la salute pubblica, ma tocca aspetti cruciali legati alla sostenibilità economica e alla legalità europea, richiedendo quindi un approccio più equilibrato.